L’INNOCENZA VIOLATA

V. anche
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Addì, 26 settembre 2006

Il Centro di Documentazione falsi abusi sui minori, come è noto, si impegna quotidianamente a diffondere via internet notizie e documenti riguardanti il doloroso problema dei falsi abusi o falsi positivi. Un problema che esiste e tocca molte più persone di quanto non si creda.

Al ns. staff è parsa una buona iniziativa scegliere un episodio tra i tanti, considerato che ci indigniamo per la formazione del “partito dei pedofili” e non ci accorgiamo che i nostri figli e/o nipoti sono abusati da chi (dalle Istituzioni) dovrebbe difenderli e proteggerli, per richiamare l’attenzione di tutti sugli errori giudiziari a seguito di abusi legalizzati.

Se tutti noi saremo uniti potremo prevenire i veri abusi e sconfiggere quelli falsi, allontanando quelle associazioni e organismi che creano psicosi collettive per i loro pregiudizi, stereotipi e interessi, attenendoci scrupolosamente a un protocollo condiviso a livello nazionale (attualmente inesistente) e alla letteratura scientifica maggiormente accreditata.

Vittorio Apolloni

*** Il caso Torino ***

Tragica Verità: Una violenza sessuale gratuita e impunita perpetrata con il consenso di operatori della salute mentale!

Lettera aperta alla cittadinanza

Il 26 ottobre 2006 ricorre l’anno quinto dalla triste vicenda del falso caso di “pedofilia” per cui furono accusati gratuitamente e ingiustamente perseguitati di un reato infamante l’ex Presidente e l’ex Direttrice didattica della scuola materna “G. BOVETTI” di La Loggia TO. In questo infausto anniversario è doveroso segnalare ai più la tragica Verità emersa dopo anni di verifiche giurisprudenziali e psicologiche, a seguito di una minuziosa disamina degli atti del processo, celebrato a carico di persone assolutamente rispettabili.

Una premessa è però necessaria: l’epifania della Verità potrebbe essere fortemente strumentalizzata da qualche benpensante o rappresentante delle Istituzioni come un fatto non rilevante o non rilevato da operatori professionalmente accreditati e appartenenti alle stesse. Chiunque poi sostenga che lo scrivente sia privo di specifica competenza trascura che la conoscenza in materia (come in altre) comunque deriva dallo studio e non prescinde mai dal buon senso, perché non sempre il contenitore corrisponde fedelmente al contenuto!!!

In Italia oggigiorno si commettono gli stessi errori compiuti oltre venticinque anni fa in America, senza che gli operatori del settore abbiano fatto tesoro delle insidie che celano i casi di presunto abuso. Al contrario, essi continuano a speculare (non certo nell’interesse dei minori) sulle emozioni e i sentimenti dei genitori, facendo loro credere che figli o nipoti siano stati preda di persone antisociali, tese a soddisfare le personali perversioni.

Inoltre a condizionare maggiormente il sereno svolgimento delle indagini è il processo mediatico: un attento lettore di quotidiani può accorgersi di come spesso i mass media riportino dichiarazioni (naturalmente in forma virgolettata) e circostanze di cui né l’imputato né i suoi familiari sono al corrente, perché la legge impone a questi il divieto di ottenere copia degli atti processuali fino a quando le indagini non siano concluse.

L’imputato non può quindi difendersi né dalle umiliazioni inferte dai mass media con subdole affermazioni, né dalle reazioni della gente di fronte a un reato tanto grave quanto presunto, poiché non conosce la reale consistenza delle accuse. L’imputato e i suoi familiari vengono ammoniti anche dai propri difensori a non riferire alcunché, per non alimentare ulteriori menzogne, favorire successivi travisamenti o indisporre giudici e inquirenti.

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Le sentenze della Suprema Corte di Cassazione dal 1997 in poi stabiliscono che la dizione “atti sessuali” contenuta nell’art. 609 bis c.p. include tutti quegli atti idonei a compromettere, offendere e violare la libera autodeterminazione sessuale del soggetto passivo e a entrare nella sua sfera sessuale, con manifesta illiceità di tutti quei comportamenti che non rispettino la persona umana e ledano i diritti di terzi non consenzienti o non in grado di esprimere un valido consenso.

La sfera sessuale è disancorata dall’indagine sull’impatto di tali atti e comportamenti nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, in quanto punto focale è la sua disponibilità da parte della persona che ne è titolare.

È vietata ogni condotta che comprenda - se connotata da costrizione (violenza, minaccia o abuso d’autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni d’inferiorità fisica o psichica - qualsiasi atto, anche non esplicito, attraverso l’interazione con il soggetto passivo, comunque finalizzato e idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell’individuo.

Il reato di violenza sessuale si manifesta parimenti nello stato d’inferiorità psichica o fisica quando l’azione sia conseguente a induzione e abuso. L’induzione è intesa nell’opera di persuasione mediante la quale il soggetto passivo è convinto a compiere o subire l’azione, l’abuso consiste invece nella distorta utilizzazione da parte dell’agente delle sue condizioni di menomazione o non coscienza.

È altresì interessante sapere che un bambino può essere manipolato affinché racconti una versione delle circostanze che meglio soddisfi le attese dell’adulto, sia essa suggerita in modo volontario o involontario, anche attraverso semplici domande poste in modo errato.

Queste modalità operative sono frutto delle più disparate o disperate teorie degli operatori del diritto e della salute mentale, anche appartenenti alle Istituzioni, i quali considerano le proprie impressioni alla stregua di dogmi, nonostante siano smentiti dalla letteratura scientifica. È bene sapere che: [1]

ü i bambini, in genere, ritengono gli adulti onniscienti, sinceri, competenti e credibili, riconoscendo loro un’intrinseca superiorità e conformandosi ai loro desideri, con la conseguenza non solo che le domande poste dagli adulti appaiono logiche e devono necessariamente ottenere una risposta, ma anche che gli infanti durante un’intervista rispondono a tutte le domande, anche quelle più bizzarre, pur di compiacere le aspettative degli interlocutori;

ü il consulente tecnico (psicologo, psichiatra, assistente sociale) - consapevole che sintomi quali la paura, l’angoscia, l’umore depresso, la rimozione dei ricordi, le rilevazioni a grappolo, la promiscuità sessuale, la masturbazione, l’esibizionismo, l’inadempienza scolastica, i disegni di eventuali organi sessuali, le fantasie, la curiosità… sono in realtà solo indicatori di un generico, per quanto forte, disagio psichico e non possono essere usati per trarre conclusioni diagnostiche (poiché la valutazione di un abuso richiede un processo lungo e complesso in cui vengono vagliate informazioni provenienti da fonti diverse) - deve prendere comunque in considerazione una serie di indicatori (nessuno escluso) comportamentali, emotivi, testimoniali e le sue conclusioni sono pur sempre aspetti neutri, privi di qualsiasi valore indiziario, perché si tratta solo di una sua impressione, che può essere difforme da quella di un altro esperto (ma entrambe accettabili), senza mai dimenticare che la psicologia è una teoria proveniente da una branca della filosofia (consacrata allo studio dell’“anima”) e dalla medicina neurologica;

ü gli accademici di psicologia (e non solo) sono intervenuti con l’emanazione della “Carta di Noto” per enunciare una serie di linee guida circa la condotta da osservare nei casi di abuso sessuale, sia sottolineando come non possa essere formulato un quesito o prospettata una questione relativa alla compatibilità tra quadro psicologico del minore e ipotesi di reato di violenza sessuale, sia invitando l’esperto a rappresentare, a chiunque gli conferisca l’incarico, che le attuali conoscenze in materia non consentono di individuare dei nessi di compatibilità o incompatibilità tra sintomi di disagio e supposti eventi traumatici (l’esperto, anche se non richiesto, non deve esprimere pareri sul punto della compatibilità, né formulare alcuna conclusione in merito, tanto meno trasferire l’aspetto clinico in quello giudiziario o confondere il processo con la terapia);

ü la medicina conferma che i fattori determinanti per l’identificazione di abusi sessuali si esauriscono nelle 24-36 ore, a patto che non siano intervenuti comportamenti che ne abbiano eliminato le prove (es. pulizia igienica). Vi sono altresì patologie (es. infezioni) che rimangono oltre l’arco temporale menzionato, ma non è possibile determinare se le lesioni riscontrate in tempi successivi siano riconducibili ad abusi, concretizzandosi in prove neutre;

ü la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che l’attendibilità della prova rimane tra i compiti del giudicante e la perizia dello psicologo - di cui il giudice può avvalersi, pur non costituendo né un indizio né un vero mezzo di prova, ma un ausilio nella ricerca dell’interpretazione del materiale processuale - è limitata a due aspetti fondamentali: “l’attitudine del bambino a testimoniare e la sua credibilità”;

ü l’art. 499 c.p.p. vieta le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte e i bambini in età prescolare sono facilmente manipolabili con l’aspettativa di premi e punizioni, con il timore della disapprovazione e dell’abbandono, non essendo in grado di distinguere tra bene e male (sono infatti pervasi da categorie maggiormente edonistiche) e di discernere la realtà dalla fantasia, vulnerabili alla suggestione in rapporto a diversi argomenti, inclusi quelli che contengono temi sessuali e coinvolgono il loro corpo. Scientificamente è stato dimostrato che la resistenza alla suggestione diminuisce in funzione del numero di interviste compiute e che i ricordi vengono alterati dalle informazioni non corrette contenute nelle domande, a causa degli attivatori sintattici di presupposizione utilizzati, del ricorso a interrogativi incalzanti e del travisamento delle risposte ricevute;

ü per ottenere una risposta compiacente o falsata da parte di minori o adulti è sufficiente formulare quesiti in linea con i desideri dell’intervistatore, ricorrendo a interrogatori ripetitivi e ripetuti, talvolta con toni incisivi e aggressivi. Queste pratiche coercitive, ingannevoli e forzate sarebbero, secondo la letteratura maggiormente accreditata, di uso comune e teorizzate come strumenti volontari o involontari per indurre il soggetto a riportare circostanze “veritiere”. Peraltro sarebbero efficaci se applicate a un bambino che si sospetta abbia subito forme di abuso sessuale, introducendo informazioni fuorvianti che modificano i suoi ricordi episodici e quelli semantici. In particolare il fatto di condurre l’intervista con domande che “presuppongono” modalità condivise, porta a un circolo vizioso di autoconferma dell’ipotesi stessa, anche nel caso in cui sia falsa;

ü secondo la letteratura scientifica delle neuroscienze il contenuto di un ricordo testimoniale non può mai essere una pura riproduzione fotografica di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti, in parte soltanto dati dagli elementi di quel fatto obiettivo, ma in parte costituiti dalla natura stessa della personalità psichica del testimone e da tutti gli elementi esterni che hanno agito nel passato e che attualmente agiscono sul testimone stesso;

ü è dato pacifico come i bambini manifestino, sia nell’attività ludica sia nel comportamento, interessi e curiosità sessuali a seconda delle caratteristiche di personalità, del livello cognitivo e dei condizionamenti socio-culturali derivanti non solo dai modelli familiari, ma soprattutto dai divieti o dalle permissività negli orientamenti e nelle impostazioni educative dell’ambiente circostante (variabili che possono favorire o inibire desideri, fantasie, suggestioni imitative). I cosiddetti “giochi sessualizzati” non devono essere ritenuti a priori indicatori di abuso, perché si tratta in primo luogo di elementi relativi allo sviluppo psicosessuale dei minori. Il fatto poi che gli infanti siano attualmente esposti, attraverso i mezzi di comunicazione, a forti stimoli (anche di emulazione) concernenti la sessualità, ha incrementato la loro dimestichezza con la tematica sessuale (malgrado non possano liberamente acconsentirvi con totale consapevolezza) ed è pertanto difficile attribuire “conoscenze sessuali inappropriate all’età” a delle specifiche esperienze sessuali;

ü secondo alcune ricerche il 20% dei professionisti del diritto e della salute mentale intervistati ritiene gli abbracci e le coccole dei genitori o di terzi nei confronti dei bambini un comportamento sospetto (leggi violenza sessuale), la percentuale sale al 67% nel caso in cui questi diano un bacetto sulla bocca ai loro figli o nipoti prima di recarsi al lavoro e al 75% nel caso in cui siano apparsi nudi davanti alla prole;

ü anche la Corte europea di Strasburgo ha inflitto all’Italia numerose condanne per la mancanza di trasparenza nella gestione sia delle denunce di abuso sessuale da parte di associazioni e servizi territoriali (sebbene dotati di operatori “professionalmente” accreditati!), sia delle fonti di finanziamento. Nella stessa direzione, in ambito nazionale, sono intervenute varie interpellanze parlamentari durante la scorsa legislatura.

Inoltre un accertamento di un abuso sessuale infantile e il dibattimento unicamente volto ad appurare la versione dei fatti fornita dalla presunta parte offesa non devono essere considerati persecutori al punto da prescindere dai normali criteri di valutazione degli elementi processuali e delle mendaci testimonianze, in quanto la responsabilità è determinata dalla legge e dalla prova logica, non dall’eventuale impressione del giudicante. Ovvero è sbagliato sostenere che un bambino sia incapace di mentire (“a differenza di un adulto”), perché il minore può essere suggestionato e indotto a travisare le circostanze, essendo privo di identità quantitativa [2], quindi soggetto alla trasposizione dei suoi ricordi (immagini e luoghi).

In sostanza ci troviamo dinanzi al totale fallimento delle concezioni psicopatologiche che animano la lotta alla pedofilia.

*****

Stante le premesse, è doveroso segnalare ai più la dinamica dei gravi fatti illeciti emersi. È assodato che il panico morale generato nella Comunità loggese nell’ottobre 2001 fu opera di un gruppo di persone che hanno ritenuto una minaccia (per le proprie brame!) l’operato del nuovo esecutivo della scuola materna “G. BOVETTI”, presentandolo in modo pregiudizievole. A queste si aggiunga il contributo di un tale che ha disseminato falsi allarmi di pedofilia perché due innocenti venissero designati come capri espiatori, favorendo una tensione sociale in seno alla cittadinanza e un interesse mediatico spasmodico. Il tutto è stato poi condito dall’intervento di “esperti”, appartenenti alle Istituzioni, attraverso le loro personali diagnosi.

Quando la notizia del presunto abuso divenne di dominio pubblico, si creò un pulpito moralistico di giornalisti, operatori del diritto, politici, psicologi, assistenti sociali, educatrici e altri ipocriti benpensanti, senza conoscere il background storico e nascondendo perfino la tragica Verità del trauma consumato a danno dei due bambini durante l’audizione protetta (in violazione delle norme legislative e del buon senso), sì da traslare su terzi la responsabilità oggettiva delle madri e della psicologa [3] per gli atti da loro commessi.

ecco dunque i fatti

Ben sette giorni prima di emettere la richiesta di custodia cautelare nei confronti degli indagati, il 19 ottobre 2001 fu predisposta un’audizione protetta videoregistrata per ascoltare gli infanti, onde poter verificare le affermazioni riportate dalle genitrici.

Come enunciato nella sentenza di assoluzione perché i fatti non sussistono, i piccoli non hanno mai confermato alcuna delle accuse boccaccesche riferite dalle madri. La bambina durante l’interrogatorio dichiarò di non conoscere l’allora Presidente,

- Psicologa: “Allora, ma chi è [V.A.]?”

- Bambina: “No, tu me lo devi dire.”

dimostrando di non aver avuto familiarità con l’imputato, e alla successiva richiesta obiettò

- Psicologa: “Oltre a [V.A.], chi c’era a fare questo gioco?”

- Bambina: “Tu… tu… tu… i… tu me lo raccontavi.”,

attestando oltre ogni ragionevole dubbio di essere stata manipolata e indotta a raccontare un presunto abuso.

Non paghi delle risposte ricevute, il colloquio continuò fino a quando avvenne la tragica violazione della libera autodeterminazione sessuale dei due minori.

Gravissimo episodio, occorso durante l’ascolto “protetto” e non per visita medica, fu infatti l’incitazione nei confronti della bambina di soli quattro anni, la quale, per le incalzanti pressioni della madre, peraltro avallate dalla psicologa, fu costretta a denudarsi integralmente davanti a loro e ad assumere posizioni scabrose e fortemente sessualizzate, contro la propria volontà, dovendosi sdraiare sul pavimento con le gambe in posizione ginecologica o a rana dinanzi alla telecamera che effettuava un primo piano della zona vaginale, affinché gli inquirenti potessero sostenere il presunto abuso contro i capri espiatori [4]. Il tutto accadde nonostante i reiterati e purtroppo vani dinieghi della piccola, che non voleva affatto sottostare a un simile obbligo.

Questo increscioso fatto, che non ha precedenti né in giurisprudenza né in psicologia, è stato denunciato alle Procure competenti [5] ai danni di coloro che hanno commesso o non hanno rilevato e perseguito la grave violenza sessuale, al fine di accertare le eventuali responsabilità. In effetti alcuni comportamenti tenuti successivamente dall’infante dimostrano la consistenza immediata della ferita psicologica infertale.

La denudazione dei bambini ha concretizzato una diagnosi di “trauma psicologico da violenza sessuale”, non sostanziato sul piano penale nei confronti dei veri responsabili, che hanno invece strumentalizzato le proprie azioni.

Si ribadisce che la scena scabrosa della bambina in posizione ginecologica è stata realizzata ben sette giorni prima degli arresti dell’ex Presidente e dell’ex Direttrice didattica. Simile contesto ha indotto emotività e ansia in chi ha rivisitato le immagini, senza che potesse cognitivamente accertare la violazione di legge, poiché condizionato da una circolarità di pregiudizi e stereotipi. Né tanto meno può considerarsi spontaneo l’atto da parte dei minori di togliersi gli indumenti di dosso, in quanto dalla videoregistrazione si evince che una madre aveva suggestionato la figlia molto prima dell’ascolto, l’altra invece ha minacciato il figlio durante l’audizione protetta qualora non avesse riferito quanto concordato in precedenza.

Si evidenzia altresì che il panico diffuso tra i genitori dei bambini e in seno alla cittadinanza, amplificato dai mass media con i loro articoli o servizi dai toni apocalittici, fu certamente prodotto dagli operatori della salute mentale, i quali, ancor prima di vagliare attentamente le dichiarazioni dei minori, avevano già manifestato i loro pregiudizi e i loro stereotipi, nonostante la letteratura più accreditata non contempli la possibilità di determinare un abuso da un disagio o da un comportamento sessualizzato.

Un esempio concreto è stato già indicato nell’opuscolo “Vivere nella Verità” [6], quando a distanza di un anno dall’inizio della triste vicenda si voleva ritenere pregiudizialmente abusata un’altra bambina per la paura manifestata: la madre della piccola sconfessò la psicologa, le insegnanti e gli inquirenti.

Inoltre non si può reputare che il comportamento delle madri, della psicologa e le relative immagini pedopornografiche rientrino nelle linee di tutela dell’infanzia promosse dalla Regione Piemonte e dalle A.S.L., perché sarebbe come istituzionalizzare la violenza nei confronti dei minori. Questi metodi devono essere repressi, non solo censurando qualsiasi condotta professionale che favorisca traumi e disagi, ma attivando anche severi controlli preventivi da parte delle Istituzioni, mediante procedure condivise a livello nazionale, affinché operatori del diritto e della salute mentale si attengano scrupolosamente alle linee programmatiche.

In effetti dall’attenta analisi della documentazione processuale (e a opinione di molti) si evince che quanti ebbero un ruolo attivo nella gestione del caso erano ben consci di aver precipitato una tranquilla Comunità nel panico morale, dipingendola come le antiche città bibliche Sodoma e Gomorra, condannandola a una triste nomea per gli anni a venire. Pertanto era necessario procedere su posizioni comuni che potessero creare emotività tra coloro che avrebbero rivisitato le immagini scabrose o pedopornografiche, salvaguardando quel contesto istituzionale che nessuno aveva l’interesse di sovvertire per non rompere gli equilibri e il corporativismo del sistema.

È la paura che plasma in modo pervasivo la ns. capacità di azione,

è la paura che i deboli hanno dei potenti a fondare il controllo sociale!

Lo stesso documentario [7] proposto dalla Televisione Svizzera Italiana in data 02 marzo 2006 e relativo alla vicenda loggese non solo ha evidenziato strane alleanze tra accusa e La Stampa, ma ha raccolto pure testimonianze che gettano ombre pesanti sull’attendibilità dell’imputazione: giornalisti e accusa sembrano fin troppo complici e il ruolo giocato dal reporter [8] che ha condotto l’inchiesta (e non ha voluto fornire spiegazioni sul suo operato, a differenza di altri colleghi) è a tinte forti.

Quanto esposto consente di porsi alcuni interrogativi, ad esempio come sia possibile che una professionista “qualificata” (per di più giudice onorario del Tribunale dei minori del Piemonte e Valle d’Aosta) abbia espresso un giudizio di compatibilità con atti di abuso sessuale al di fuori del contesto familiare, dai soli racconti delle genitrici, nonostante la più arida assenza di conseguenti emozioni da parte degli infanti e di vissuti con adulti, senza neppure accorgersi di aver commesso lei stessa un illecito sulla piccola assecondando la vergognosa incitazione della madre. È poi paradossale che un operatore del diritto appartenente alle Istituzioni non abbia rilevato il comportamento traumatico nei confronti della minore perpetrato dall’operatore della salute mentale, preposto al solo ascolto dei due bambini.

Inoltre in una missiva dell’Ordine degli Psicologi di Torino, pervenuta dopo la sentenza di assoluzione, si dichiara che la psicologa ha soltanto eseguito le disposizioni del Pubblico Ministero [9], come a dire che forse la sua condotta era dettata dalle esigenze, deontologicamente non accettabili, ma ormai necessarie perché nessuno potesse disapprovare o stigmatizzare il suo intervento.

Peraltro un implicito consenso a una pur marginale denudazione degli infanti costituirebbe un grave precedente giudiziario, perché chiunque sarebbe autorizzato a violare impunemente dei minori sostenendo o pur di sostenere presunti abusi (al di là del fatto, comunque, di infrangere non solo la legislazione interna e gli accordi internazionale in difesa dei bambini, ma anche le massime della Corte Costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione circa l’autodeterminazione sessuale degli infanti). Oltretutto saremmo dinanzi a un assurdo profilo giuridico nella definizione di “atti sessuali” e a un’antigiuridicità del sistema giurisprudenziale, perché sarebbero esenti da censura alcuni comportamenti che oggi sono classificati reati, sostanziando due pesi e due misure (se la denudazione, non per accertamento medico, dei minori avallata dagli inquirenti non è reato, è giuridicamente inspiegabile che lo sia in altri casi analoghi).

Questa è la tragica Verità di quanto realmente avvenuto nella Comunità loggese. A provare i fatti non sono le dichiarazioni indirette, le supposizioni, le illazioni o il sentito dire… delle madri, degli operatori del diritto e della salute mentale, dei perbenisti, dei benpensanti… ma le immagini dei fotogrammi scabrosi o pedopornografici realizzati da chi doveva o avrebbe dovuto ascoltare e difendere i bambini da presunti abusi e violenze.

Una violenza sessuale gratuita e impunita,

perpetrata con il consenso di operatori della salute mentale!

Non dobbiamo permettere che simili episodi siano tollerati dalle Istituzioni e dai soggetti preposti alla tutela dei ns. figli e nipoti. È indegno giungere a conclusioni così aberranti! Insieme dobbiamo prodigarci affinché le forze politiche, i magistrati, gli amministratori locali… si adoperino quanto prima a rispettare un protocollo condiviso nell’ascolto dei minori e perché non vi sia un trasferimento di responsabilità dal giudicante all’operatore della salute mentale. Si eviterebbero in questo modo condanne di innocenti e abusi legalizzati, migliorando le tecniche investigative per individuare i veri colpevoli, senza indugiare in stereotipi quali: il bambino dice sempre la verità oppure è mitologicamente vittima, è solo l’uomo ad abusare, una persona accusata non è credibile in quanto è ovvio che neghi, se un adulto non confessa è pur sempre responsabile…

Non dimentichiamo che quanto occorso nella Comunità loggese

può accadere a chiunque, in qualsiasi momento e contesto!

Per il Centro di Documentazione

Falsi Abusi sui Minori

Vittorio APOLLONI

P.S.

Chi desidera ricevere gratuitamente il DVD con il documentario della Televisione Svizzera Italina “Mostri di Carta” e il servizio di Rai Uno “Errori giudiziari” telefoni al n. 011 6405460 o invii un’e-mail a info@falsiabusi.it.

Informazione redatta ai sensi dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana e della Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 29232 del 2004

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[1] La bibliografia di riferimento è presente sul sito www.falsiabusi.it.

[2] Vedi Jean PIAGET in “Cos’è la psicologia”.

[3] Dott.ssa Maria G. in forza presso l’Azienda Sanitaria Locale n. 8 di Moncalieri TO.

[4] “I criteri che sorreggono la valutazione della prova … anche in costanza della odiosità dei fatti in esame devono [sempre] presiedere al ragionamento probatorio”. A riguardo si veda la missiva del G.I.P. al P.M. in data 29/10/2001 (due giorni dopo l’interrogatorio di “garanzia”), per la quale ha rimesso il suo incarico…

[5] Il testo dell’esposto è reperibile all’indirizzo internet www.falsiabusi.it/torino/to_06.htm.

[6] Opuscolo disponibile all’indirizzo internet www.falsiabusi.it/torino/vivere.html e distribuito a La Loggia TO nell’ottobre 2005.

[7] Chi desidera ricevere gratuitamente il DVD può telefonare al n. 011 6405460.

[8] Alberto GAINO del quotidiano “La Stampa”.

[9] Il Pubblico Ministero Marco B. avrebbe impartito disposizioni verbali alla Dr.ssa Maria G., senza conferirle qualsivoglia incarico scritto di consulente tecnico ai sensi e per gli effetti della normativa vigente in materia.