Lo Stato mondiale. Organismo e organizzazione di Ernst Junger

Prefazione di Quirino Principe | Titolo originale: Der Weltstaat. Organismus und Organisation | Traduzione di Alessandra Iadicicco | © Ernst Klett, Stuttgart 1980© | 1998 Ugo Guanda Editore S.p.A.


3. Questa grandezza plastica, il monumento del grande uomo, corrisponde in modo particolare a ciò che consideriamo come grandezza storica. Questa a sua volta è strettamente connessa al nostro modo di interpretare, alla valutazione che diamo della libertà umana. In essa si cela il fermento di quel capitolo di storia della terra che consideriamo come «storia del mondo». Per libertà incondizionata, per libertà del volere si intende ciò che, in quel periodo, fa risplendere opere e imprese cui furono sacrificate, nelle battaglie e nelle sofferenze, vittime innumerevoli. È tale libertà che distingue l’uomo storico, la sua arte, il suo diritto, i suoi commerci, tanto dalle popolazioni barbariche, quanto dalle teocrazie, che lo solleva, per la coscienza che ha di sé, al di sopra dei palazzi babilonesi, delle piramidi e dei menhir. Solo per lui e per opera sua è possibile che si dia una storia dello Stato, dell’arte e della cultura; la storia è tanto una sua invenzione, quanto la sua sostanza. Il suo è
uno sguardo storico: tutto ciò che esso incontra e mette a fuoco, sia pure l’antichità più remota, assume un carattere storico.

Tale grado di libertà, tale trasformazione dei valori e dei comportamenti umani presuppone, come origine, una nuova distanza rispetto agli dèi e alle loro esigenze. E in effetti questa libertà costituisce il Leitmotiv della storia del mondo; essa conferisce già una peculiare sfumatura alla visita di Erodoto ai sacerdoti egizi nei loro templi, riluce sin nei frammenti di Eraclito. Essa porta dall’ironia socratica alla libertà di coscienza dell’uomo cristiano di fronte all’Onnipotente, fino al materialismo dei giorni nostri, del quale ancora non si è riconosciuta la portata di evento cosmico, soprattutto da parte di coloro che ne sono in maggior misura investiti.

Vi sono buone ragioni per cui la questione della volontà e della sua libertà è stata un fondamentale oggetto di riflessione in Germania, il paese in cui tutto ciò che sarebbe seguito nei tempi successivi era stato pensato a fondo, con estrema attenzione e in maniera quasi profetica da più di cento anni. Tutto ciò che si compì nella sfera del pensiero si accompagna alla sensibilità per la musica, e prende forma nella poesia. A tale operato i greci fornirono modello e misura e una profonda memoria, addirittura un legame di parentela ha portato, come per Holderlin e per Nietzsche - al di là di una prospettiva meramente filologica e storica - a una congeniale prossimità.

Ma torniamo alle statue. Al cospetto dell’immagine di un’antica divinità greca avvertiamo il senso di un’istanza lontana, sconosciuta, quel magico potere cultuale comune anche alle figurazioni egizie e dell’Asia Minore. Eppure è assai breve l’estensione di tempo che le separa da una Nike che si scioglie i lacci dei sandali, o da quella Nike di Samotracia che ancora oggi ci impressiona più come un’immagine dell’idea invincibile, indistruttibile, di libertà, che come una vittima offerta in sacrificio a una dea. Come il gioco delle pieghe delle vesti si fa più morbido, così si addolcisce la posa del dio nudo, e un sorriso quasi spettrale, come se si aprisse uno sguardo su un altro mondo, allo stesso tempo più sereno e spaventoso, infrange il rigore del culto. Non è solo l’annuncio di un nuovo Apollo, ma di un nuovo sole. Lo stesso sole all’alba del quale Erodoto vide sorgere il nuovo mondo, quello della storia.

Presto compaiono immagini di fronte alle quali possiamo appena distinguere se si tratti di un dio in atteggiamento umano o di un uomo nella posa di un dio. Le figure vengono tratte fuori dal tempio e disposte nel vestibolo e, successivamente, saranno portate all’aperto, nelle piazze, e si trasformeranno. È questa la scansione, la svolta, la sequela di piccoli passi che hanno reso possibile il libero pensiero filosofico, una metafisica separata dalla teologia e con essa una nuova, eraclitea, profondità della parola. La posa della figura umana conquista una nuova libertà, anche nelle immagini più severe, come nell’auriga di Delfi o nel Posidone di Capo Artemisio. Ciò che impressiona in quelle rappresentazioni è l’arte, chi le produce è l’artista, nel senso in cui lo intendiamo noi, e in tal modo si conquista un valore nuovo, indipendente da ciò che viene rappresentato. Si compie in questo modo la trasformazione dell’idolo in opera d’arte e delle magiche offerte sacrificali primitive in doni votivi.

Il monumento che rappresenta una figura umana, collocato nel centro di una città a dominare una piazza aperta, fasto e trionfo di una strada, non è un fenomeno di tutti i tempi. Appartiene piuttosto all’uomo che fonda la storia e alla sua potenza. La sua comparsa sarà stata preceduta da un’iconoclastia, da una distruzione sacrilega delle immagini sacre. La statua imperiale eretta nell’atrio del tempio ebraico e le terribili conseguenze che ne seguirono, descritte da Giuseppe Flavio, rappresenta un grande esempio di questa svolta.

Sono molteplici le ragioni per cui oggi è divenuto rischioso erigere monumenti ai grandi uomini nei luoghi più in vista; vi è tuttavia una ragione fondamentale: l’indebolirsi delle forze che fondano la storia. A ciò è poi strettamente connesso il fatto che la grandezza storica che prende corpo in una figura personale è divenuta poco credibile. Non è più l’uomo che domina un luogo, ma è il luogo che, insieme con la sua costellazione, conferisce all’uomo una potenza funzionale. L’uomo, anche laddove occupa una posizione assai elevata, anzi, soprattutto in questo caso, diventa del tutto accidentale, è, di fatto, sostituibile. Lo spirito musico, grazie alla sua maggiore vicinanza all’essere, è in grado di percepire questo fenomeno, meglio di chi osservi con uno sguardo storico o politico. Ed è infatti soprattutto nelle tre forme classiche della raffigurazione plastica, dell’epos e della tragedia che tale spirito si allontana dalla rappresentazione dei grandi uomini per volgersi alle immagi
ni dell’abisso. Nel paesaggio di officina gli automi vengono a occupare una posizione centrale. Questa non può che essere una fase transitoria. Ogni processo di svuotamento, di liberazione dello spazio annuncia una nuova occupazione, e ogni congedo annuncia una trasformazione, un ritorno.

4. Un movimento caratterizzato da crescente accelerazione può avere diverse tendenze; si può supporre che esso segua le leggi della caduta, oppure quelle dell’attrazione o della spinta. Tutto questo dipenderà in larga parte dalla posizione dell’osservatore, dalla sua forza vitale, dal suo temperamento, ma anche dalle sue unità di misura.

Anche nel dominio dell’attrazione si manifesta l’accelerazione. Osservando un frammento di ferro che sia entrato in un campo elettromagnetico, noteremo dapprima una serie di movimenti indeterminati e, successivamente, un repentino avvicinamento. L’ago magnetico segue un’attrazione cosmica. Il magnete è il futuro; l’effetto che esso produce non è diverso da quello del passato. La più profonda identità di attrazione e spinta ha luogo al di fuori del tempo, tanto per il mondo meccanico quanto per il mondo organico. Per poterla comprendere occorre un certo acume delle capacità critiche e conoscitive dello spirito. Il metafisico, ma non solo il metafisico, si chiederà in che misura a un unico, identico processo concorrano l’azione umana da una parte e l’attrazione del destino dall’altra. Il che, tradotto nel nostro linguaggio significa: in che proporzione le forze umane e le forze cosmiche contribuiscono all’accelerazione della nostra svolta? In che modo il piano del mondo, in cui si assomm
ano i piani statali, è coordinato al piano della terra, o in che modo la rivoluzione del mondo è coordinata alla rivoluzione della terra? Dipende tutto da una soltanto di queste due forze? E sono esse in opposizione tra di loro? Agiscono alternativamente in maniera complementare, o sono invece identiche e cadono sotto i nostri sensi come due metà speculari? Non si tratta di domande puramente speculative e teoretiche: sono domande fondamentali che riguardano la potenza. Occorre affrontarle per valutare non solo la posizione, ma anche il movimento possibile all’interno di tale posizione. Colui che oggi abbia compreso ciò di cui la terra ha bisogno guadagna una posizione di privilegio rispetto alle esigenze storiche. Se costui vorrà operare dei cambiamenti, incontrerà un’opposizione più debole, se vorrà conservare la sua posizione, troverà un terreno più saldo di colui che, indipendentemente dalla prospettiva da cui muove, limiterà il suo sguardo a un singolo ambito.

5. Nel luogo in cui si incontrano necessità e libertà, dove è possibile comprendere l’identità di spinta e attrazione, la vista si rischiara in maniera tale che gli oggetti che le si presentano non potranno essere deformati oltremisura né dalla volontà né dal timore. Vogliamo qui sottolineare uno degli elementi più importanti per la nostra ricerca, ciò da cui ha preso le mosse il nostro discorso: vale a dire lo Stato che, in quanto status, corrisponde strettamente allo stare o al suo sussistere.

In effetti è certamente il caso di riflettere su questo status, che determina oggi, più di altri elementi, ogni nostro agire e soffrire, che dà forma alla nostra esistenza fin nei dettagli. Alle sue esigenze vengono subordinate tutte le altre. Esso è il leone che non solo pretende la prima porzione, ma decide anche della ripartizione di ciò che rimane. Si è da tempo concluso a suo favore il conflitto che attraverso i secoli ha visto opporsi papi, imperatori, re e cancellieri. I confini degli Stati sono tracciati in maniera più netta di quelli che un tempo delimitavano o intersecavano gli antichi regni e territori, spesso passando attraverso comunità di popoli, razze, linguaggi e culture. Non è la società che nello Stato prende la sua forma, ma lo Stato che determina la forma della società, fin nelle sue cellule, nelle famiglie. Alla fine lo Stato dispone tutto sullo stesso livello e attira verso di sé anche quelle esigenze che la natura desta negli uomini e nei popoli: le cure che ruotano e che sono ruotate da sempre, con l'avvicendarsi degli astri, attorno alla semina e alla raccolta, l'estate e l’inverno, le emergenze imposte dall’acqua, dal fuoco, dalla fame.

Il fatto che, per le suddette ragioni, il peso dello Stato divenga gravoso per il singolo non è cosa cui ci si debba necessariamente opporre, specie se si pensa che anche prima l’esistenza umana ha avuto le sue ombre, e che dunque dobbiamo sottrarre al peso assoluto che oggi ci opprime solo ciò che fa capo a una mutata ripartizione degli oneri. La qual cosa si rende evidente soprattutto in quella parte dello Stato in cui esso si manifesta come principio di assicurazione, stato sociale, stato assistenziale.

6. Anche lo Stato non è escluso dal grande movimento che si compie accelerando. Il moto non lo attraversa come l’acqua che solleva un corpo e fluisce attraverso di esso. Certamente lo Stato stesso contribuisce al movimento: ne dipende quella parte del movimento determinata dalla pianificazione e dalla libera volontà umana. La spinta esercita però il suo effetto al di sotto dello Stato e dei suoi fondamenti, che non poggiano su una base etica né fattuale. Per tale ragione slittano e si spostano le definizioni e le divisioni di confine stabilite in senso politico, giuridico e morale: esse assumono una struttura ambigua, elastica.

Lo Stato rappresenta un costo non solo per i singoli, ma anche per i popoli. Vive dei grandi spazi che costituiscono una porzione considerevole della superficie terrestre, la cui popolazione si calcola non più nell’ordine dei milioni, ma delle centinaia di milioni. Il ritmo a cui queste cifre vanno rapidamente moltiplicandosi, è sintomo di grandi rivolgimenti.

Alla crescita degli spazi dominati dalla pianificazione e della popolazione che li occupa, si connette una trasformazione qualitativa. Lo Stato si fa smisurato; presenta un’immagine del tutto nuova e assume caratteristiche che in passato non gli appartenevano. Lascia dietro di sé anche i grandi Stati e gli imperi che fiorirono alla svolta del secolo, in parte attribuendosi la loro sovranità, in parte annullandola.

Attualmente la terra ospita due Stati dotati di questo tipo di sovranità assoluta. Il fatto che Tocqueville ne abbia previsto la comparsa fin dalla metà del secolo scorso e che ne abbia indicato i tratti nella Russia e nel Nordamerica è un chiaro segno della sua straordinaria intelligenza. Egli sosteneva anche che questi due Stati avevano un’unica meta. Altre prognosi, che furono avanzate anche in relazione alla crescita dell’impero coloniale inglese o della potenza militare tedesca, o anche alla battaglia navale di Tshushima, sono da considerarsi fugaci supposizioni. Il quadro del mondo attuale, paragonato alle previsioni di Tocqueville, offre un esempio dell’acutezza con cui l’occhio di un buon osservatore può cogliere l’ordine manifestato dagli eventi. Il suo sguardo scivola sopra le valli e le gole, e si appunta sulla vetta che si staglia in lontananza.

7. In tale situazione sono solo due le sedi in cui è possibile parlare di libertà illimitata. Libertà è intesa qui in riferimento alle decisioni tecnico-politiche, come procedura incondizionata che ha luogo in quegli ordinamenti in cui entrano in gioco gli Stati. Che in tali decisioni, poi, si rispecchino altre intenzioni che risultano in ultima analisi determinanti per il loro buon esito, è un problema ulteriore; avremo ancora occasione di farvi cenno.

Anche la sovranità dei grandi Stati è oggi limitata. Se tale situazione di fatto rimane in generale inavvertita, dipende da considerazioni di secondaria importanza e, tra l’altro, da una forma di cortesia. Ma la crisi, non appena ha raggiunto un certo grado, si manifesta in forme di assoluta evidenza. Una situazione che ricorda un po’ quella della stanza dei bambini, in cui i piccoli stanno per un certo tempo a sfogarsi, prima che vi entrino gli adulti. Solo quando l’incendio della stanza minaccia di degenerare in un incendio della casa si vedono crescere ombre spaventose. Non è possibile immaginarsi con chiarezza che cosa potrebbe accadere; e tuttavia incombe la minaccia di qualcosa che non rientra nel quadro della storia e neppure in quello di un’epoca umana.

A partire dal Barocco la politica sembra essersi fatta più grossolana, anche rispetto ai tempi in cui Bismarck doveva fare i conti con l’indifferenza europea, un comportamento che egli paragonò a quello di un giocoliere con cinque palle. La bilancia oscilla oggi tra due grandi partner; il globo è ripartito in due metà, una occidentale e una orientale, dove con Oriente e Occidente sono da intendersi più due direzioni che due territori. L’acutezza di tale divisione si avverte in espressioni come «guerra fredda» e «cortina di ferro».

Intanto non bisogna lasciarsi confondere dalla polemica e dai suoi sviluppi: chi guardi in maniera più spregiudicata noterà con stupore una notevole e crescente uniformità che va estendendosi al di sopra dei singoli paesi, e non in quanto monopolio dell’una o dell’altra delle due potenze concorrenti, ma in quanto stile globale. Per persuadere, si ricorre alle stesse parole, agli stessi slogan, come pace, libertà, democrazia; un’unica e medesima tecnica viene fatta progredire verso la perfezione. Anche laddove le ideologie sono distinte rispetto all’economia, si ottengono tuttavia risultati sempre più simili nella forma. Anche gli ideali sono comuni; e ciò risulta evidente soprattutto laddove lo sviluppo della tecnica ha acquisito caratteri cosmico-planetari, come nel caso dei viaggi spaziali, della trasformazione della superficie terrestre secondo parametri geologici, della carica dell’atmosfera e della liberazione delle forze terrestri per effetto dello spirito prometeico. Tale similarità ri
guarda anche la scelta dei simboli, tra i quali quello della stella gioca un ruolo del tutto particolare. Si è portati a supporre che il colore bianco o rosso della stella dipenda solo dal suo vacillare, come quello dell’astro che compare al di sopra dell’orizzonte. L’unità appare evidente allo zenit.

8. La similarità dei due partner colossali che, se non attraggono a sé i territori degli Stati storici, pure ne assumono la sovranità, suscita l’impressione che abbiamo qui a che fare con dei modelli, anzi, con degli stampi: con le due metà di un’unica forma da impiegarsi per fondere e costruire lo Stato mondiale. Con ciò non si intende una semplice operazione di addizione, un raddoppio, ma una trasformazione qualitativa, l’ascesa a una potenza che oggi non è ancora possibile rappresentarsi.

Tale prospettiva è già più gradita di altre, per il fatto che essa sola promette una limitazione e un addomesticamento degli strumenti di potere cresciuti oltre la possibilità di controllo degli Stati e degli imperi storici. Soltanto da un centro, da un umbilicus mundi, si può decidere se essi vadano conservati oppure eliminati; l’addomesticamento di ciò che è indomito ha come presupposto lo Stato mondiale. Il suo approssimarsi si annuncia nel fatto che l’idea di una guerra civile mondiale fa scomparire gli Stati dalla politica e fa sbiadire i contorni dei conflitti; tale sviluppo indebolisce l’immagine classica della guerra da una parte e l’idea di confine dall’altra. Questo rappresenta una differenza importante rispetto alla rivoluzione del 1789 e all’immediato effetto che essa produsse tanto sull’ethos quanto sulla potenza bellica degli Stati nazionali.

La prospettiva di uno Stato mondiale è assai verosimile, il suo avanzare è annunciato da una serie di segni premonitori e, in vista di una pace mondiale, è più auspicabile di una nuova divisione del potere, magari nel quadro di un mundus tripartitus, come a volte emerge dalle previsioni degli osservatori più acuti. Quest’ultima ipotesi presuppone però il conseguimento o il ripristino di una sovranità illimitata, che veda affiancati ulteriori alleati, come la Cina o l’Inghilterra. Effettivamente vi sono alcune potenze che aspirano a fare propri i simboli di tale sovranità e con essi la carta di ingresso per accedere ai vertici. In un mondo che si muove accelerando i simboli sono necessariamente dinamici; in questa sede possiamo solo accennare al loro autentico ruolo.

I simboli del dominio, come il trono o il palazzo, esprimono, in un mondo stabile, paternitario [paternitar] la potenza di uomini stanziali, che risiedono in fisse dimore; avranno inoltre, come lo scettro e la corona, un rapporto con la mano e con il capo. Quando un principe elettore, come un Brandeburgo, sostituisce il suo copricapo con la corona, dichiara con questo gesto la sua pretesa a essere posto sullo stesso livello dei re. È chiaro che egli deve poi essere in grado di dimostrare il suo diritto a tale pretesa, come fece Federico il Grande, perché la corona di per sé non ha mai trasformato nessuno in un sovrano. Lo stesso vale per il simbolo dinamico.

In un mondo che si muove sempre più velocemente, i simboli più credibili di dominio sono le punte lanciate nel moto più veloce e potente. Sono i veicoli spaziali e quella punta estrema raggiunta dal mondo che va costituendosi, in cui le conquiste della ricerca si combinano con quelle della tecnica, rendendo così possibile lo sviluppo delle ricerche astronautiche. Si creano, in quelle sedi, modelli di pianeti. Affinché quelle creazioni possano essere realizzate dovrà certamente aggiungersi molto altro alle prestazioni della tecnica: un tempo era la profondità dei sogni in quanto essenza delle antiche utopie, in seguito la potenza della terra in quanto tale, che è divenuta fertile e irradia attraverso l’ingegno dell’uomo. In una parola: le premesse per l’ora di una nascita. L’eccitazione che invade i popoli di fronte a questi modelli e alle strade che con essi si dischiudono ha buone ragioni di essere; anche in essa è più forte l’effetto prodotto dagli elementi invisibili che da quelli visibili.

Lo statuto di un simbolo non si fonda sulla potenza pratica, la quale, piuttosto, trova in esso la sua espressione. Non si tratta di un trionfo sullo spazio e sul tempo, e nemmeno delle dimensioni straordinarie degli sforzi e dei costi necessari a realizzare la missione; ancor meno si tratta di mettere a punto l’equipaggiamento indispensabile per compiere il lancio nello spazio, superando la forza di gravità. In ultima analisi tutto questo rimane inesplicabile, come la formazione di un organo nuovo. L’estremo pericolo che tutto questo comporta si comprende solo marginalmente; ma il pericolo non si può eliminare. Si pone per l’uomo una domanda destinale: se egli voglia questo nuovo mondo i cui contorni gli si profilano davanti agli occhi. Egli vi ha già acconsentito, ed è appunto con un sì che doveva rispondere.

Per quanto riguarda i modelli, se ne osserva lo sviluppo nel modo migliore se li si guarda come fossero minuscole particelle, dotate di una carica potente, che si sollevano al di sopra di un vasto campo. Ed è bene, anche in questo caso, non attribuire ai fenomeni tecnici una parte più importante di quella che essi hanno in altri simili processi. Essi non forniscono che gli strumenti per una volontà che vive al di là della tecnica. Il gioco dei nervi, dei muscoli, dei tendini che fa muovere la nostra mano è assai più complicato, ma perché la mano suoni un violino o dipinga un quadro, non occorre un manuale di anatomia.

Si potrebbe qui replicare che la mano non è stata inventata dall’uomo. Ma all’obiezione si può rispondere chiedendo quale contributo originale abbia dato l’uomo alla nostra tecnica, sia esso inteso in primo luogo come un contemporaneo di quest’epoca e, in secondo luogo, come l’esemplare, dotato di abilità tecnica, di una specie intesa in senso biologico. Difficilmente gli occhi riescono a cogliere gli effetti che si producono entro una dimensione più sfuggente, in quella pellicola sottilissima che vede una generazione o anche un secolo come un semplice momento della sua stratificazione, le forze storiche, ma anche sovra-ultrastoriche che qui si aggirano, spingono, attraggono: è più facile osservare gli effetti tecnici, con la realizzazione dei quali, pure, quegli altri sono immediatamente in relazione. Solo qui si manifestano i modelli che creano e attribuiscono il senso, che ci fanno sperare di non essere capitati in un cunicolo senza uscita, di quelli che da sempre esistono negli strati della terra.

9. Sono molteplici i segni da cui possiamo intendere che la nostra vecchia terra vuole ancora una volta cambiare la sua veste. Interpretarli correttamente è più che un semplice compito descrittivo, anche più che un compito prognostico.

Se mettiamo in relazione il carattere esteso e unitario di un simile moto della terra con lo Stato, ci limitiamo a considerare un aspetto umano. Lo Stato, lo stesso Stato mondiale, è una delle forme in cui tale unità può essere compresa. Essa è, ed è sempre stata presente, in profondità, al di sotto della varietà degli esseri e delle loro conformazioni.

Si dischiudono qui sguardi d’altro tipo, si pone la questione dello stile della terra, che presenta i suoi effetti anche laddove sussistono le grandi divisioni che attraversano lo spazio e le specie. Lo si può notare non solo nei particolari, ma anche nella costituzione di insieme del quadro. Gli occhi si faranno più attenti per coglierlo: sembra ad esempio che un evento di grande importanza come l’invenzione della scrittura si sia verificato nello stesso periodo di tempo presso popoli lontani tra loro e indipendenti l’uno dall’altro. Ciò porterebbe a concludere che esiste una «sincronia» d’altro tipo rispetto a quella cui pensava Spengler. L’una comunque non esclude l’altra. Anche nel mondo degli orologi c’è un ordine gerarchico.

10. Il nostro pensiero, estremamente raffinato, addestrato secondo il modello del legame di causa ed effetto, ci ha resi quasi daltonici davanti a questi fenomeni. Per dimostrare che qualcosa si sta preparando ricorriamo soprattutto alla causalità storica, alla spinta che connette i fatti tra loro. Ma esiste anche un forte legame di attrazione tra i fatti, che esercita il suo effetto muovendo dall’altro polo; accanto all’azione causale ve ne è dunque una finale: entrambe vengono a incontrarsi nell'istante, conferendogli la sua forma. Come ogni porta può essere contemporaneamente un’entrata e un’uscita, così, a seconda della prospettiva di chi giudica, il presente può essere inteso tanto come una conseguenza, quanto come il segno premonitore di qualcosa che sta per sopraggiungere.

È inevitabile che ciò che sopraggiunge porti con sé uno stato di inquietudine, che sia accompagnato dal presagio di qualcosa che è privo di senso, e persino della morte, dal momento che fa la sua comparsa entro uno spazio già ripartito, a danno dei diritti e degli interessi esistenti. D’altra parte, è appunto la messa in questione di quei diritti e di quegli interessi che annuncia ciò che sta per sopraggiungere. Vi sono tempi in cui nessuno si sente tranquillo; tempi che ricordano i movimenti inquieti del bruco che cerca un luogo dove incrisalidarsi. Ciò che esso cercava in realtà, ciò che lo trascinava nel suo moto inquieto non era precisamente un luogo: era la farfalla. Ogni involuzione è contemporaneamente un’evoluzione. Il filo in cui il bruco si avvolge è lo stesso che libererà la farfalla.

In modo simile lo Stato mondiale non è semplicemente un imperativo della ragione, da realizzare attraverso l’azione conseguente di un volere. Se fosse così, se non si trattasse che di un postulato logico o etico, le cose in futuro andrebbero male per noi. Esso è anche un qualcosa che sopraggiunge. Nell’ombra che esso proietta davanti a sé, sbiadiscono le vecchie immagini, si svuotano di senso le interpretazioni familiari, soprattutto quelle dello Stato storico e delle sue esigenze. Le guerre che questo conduceva sono pertanto divenute sospette, incerti i suoi confini. Ciò che sopraggiunge spezza le norme che lo governavano; lascia intravedere altre immagini e altri concetti, e anche un nuovo diritto.