Lo Stato mondiale. Organismo e organizzazione di Ernst Junger

Prefazione di Quirino Principe | Titolo originale: Der Weltstaat. Organismus und Organisation | Traduzione di Alessandra Iadicicco | © Ernst Klett, Stuttgart 1980© | 1998 Ugo Guanda Editore S.p.A.


Non è raro nella storia che, laddove grandi imprese devono essere compiute, venga coinvolto l’Eros e si faccia pressione sulla natura: l’ascesi, il celibato, il ritiro nell’isolamento dell’uomo che realizza adempimenti naturali o spirituali, una consacrazione religiosa o un’iniziazione, sono esperienze ovunque note. Esse sono legate a condizioni e fatiche insolite. Non c’è dunque da stupirsi per il fatto che anche i grandi progetti di Stato provvedano a rescindere ogni esigenza di carattere naturale. Tale abolizione rientra tra gli interventi dell’organizzazione sull’organismo, dello Stato sulle potenze che si sviluppano nel popolo e nella famiglia. Un esempio della forza di tale pretesa ci è dato dal fatto che essa si impone con particolare intensità in Cina, la patria di Confucio.

19. La parola Stand [stato, condizione, classe, ceto], per molti versi connessa alla parola Staat [Stato], si può intendere tanto in senso biologico quanto in senso sociologico. Da un punto di vista biologico esistono per l’uomo, a rigore, soltanto due stati: quello maschile e quello femminile. Lo stato biologico colora in senso naturale anche quello sociologico. Tale caratterizzazione può essere ignorata e trascurata, soprattutto in epoche di livellamento, non solo attraverso l’eguagliamento dei costumi e dei titoli, ma anche dei diritti, dei comportamenti e dei compiti. Lo stato biologico rimane comunque indifferente a tutto questo. Ciò lascia intravedere un principio più forte. Esso sta anche al di sopra delle distinzioni tra le razze e, ogni volta che si verifica una crisi per cui la natura fa irruzione nel mondo del lavoro, mostra la sua potenza incrollabile. Se Robinson sull’isola, invece del suo Venerdì, avesse incontrato un’isolana, ciò avrebbe prodotto un cambiamento fondamentale nel destino del personaggio. Va da sé che ci sarebbero state anche delle modificazioni nella ripartizione del lavoro.

L’attuale eguagliamento tra i sessi è una delle forme in cui si manifesta quel turbine con cui si annuncia lo Stato mondiale. E non è certo l'unico. Insieme a esso compare anche un livellamento delle razze, dei ceti e delle classi sociali, nonché delle grandi divisioni naturali, come quella tra le stagioni e tra il giorno e la notte. Tutto ciò viene subordinato e conformato all’astratta giornata lavorativa, che conta ventiquattro ore. A ciò si aggiunge, inoltre, la crescita improvvisa della popolazione mondiale e la spiritualizzazione a essa legata, una parola che va intesa qui in un senso del tutto generale e non qualitativamente connotato, come l’aprirsi e intrecciarsi di strade o come una carica magnetica. Non soltanto questi segni, ma il fatto che essi si manifestino contemporaneamente, lascia supporre che si stia preparando un grande allestimento, che va al di là del quadro del piano di uno Stato. Quei segnali non annunciano soltanto un compito grandioso, ma anche il suo carattere unitario, un’opera che vedrà impegnati non solo Stati e popoli di questa terra, ma la terra stessa in quanto tale.

In questa prospettiva si può vedere nel livellamento anche un tributo pagato in anticipo, un sacrificio. E non è l’unico. Anche nel sangue che fu versato nella prima metà del nostro secolo si nasconde un contributo, pagato anticipatamente, che fa parte del patrimonio comune dei popoli. Dei suoi proventi si potrà godere soltanto in comune. È il solo modo di sopportare la vista dei processi titanici in corso.

Il fatto che le guerre diventino sempre più caotiche si spiega facendo riferimento alla crescita dei mezzi tecnici e all’effetto che essi producono in superficie. La loro crescita, di proporzioni gigantesche, tuttavia è uno dei sintomi della trasformazione della terra. La liberazione di potenze eroiche e titaniche fa parte del ritorno che, per effetto della tecnica, si compie in maniera sempre più evidente. Ciò che si presenta come novità è l’invenzione nei suoi dettagli, ma non nel suo ritmo di fondo.

20. Vista come puro livellamento allo scopo di incrementare la produttività, la parificazione dei sessi si presenta come una normalizzazione che cerca di comprimere i processi lavorativi entro forme calcolabili e misurabili. Il fatto che questa tendenza agisca su settori che sembrano opporsi totalmente a essa, costituisce una delle sorgenti del moderno sconcerto. In questa reazione si mescolano soddisfazione e avversione in una maniera tale da portare a concludere che in una simile azione concorrano costrizione e libera volontà.

Nella parificazione dei sessi sono il modo di pensare, di agire e spesso anche la capacità lavorativa maschili a costituire un criterio di misura. Si tratta dunque, essenzialmente, di portare la donna ad adeguarsi ai ritmi di un mondo pensato e creato per l’uomo.

Questo porta facilmente alla conclusione che siamo coinvolti in un ritorno del mondo paternitario. Ma si tratta di una valutazione errata, nella misura in cui le trasformazioni in corso nei rapporti tra i sessi dipendono da trasformazioni più ampie e profonde. Di là, e non dall’intelletto maschile e dai suoi progetti, proviene la corrente del lavoro che va affrontata come la rottura di un argine. Da essa l’uomo sarà investito non meno della donna. Non si tratta dunque di una nuova divisione del lavoro, ma in primo luogo di un nuovo, inaudito assalto del lavoro. In questa situazione il comportamento dell’uomo non è paragonabile a quello dell’indigeno che manda sua moglie nei campi perché provveda a sbrigare il lavoro che compete a lui. Il lavoro si presenta ora in una forma che non è possibile respingere o allontanare, ma ci assale con una spinta tale che ricorda quella dell’emergenza prodotta dall’acqua o dal fuoco.

Se un solo sesso si imponesse come dominante, non verrebbero meno le differenze tra i due sessi, si presenterebbero anzi con maggiore nettezza. Valga anche per quelle teorie che interpretano l’accresciuto potere discrezionale della donna e la sua crescente partecipazione al sapere e alla conoscenza come il ritorno di correnti matriarcali. Si tratta di un errore, dal momento che tanto un mondo paternitario quanto un mondo matriarcale avrebbero un aspetto completamente diverso dal nostro.

Nel crescente accelerando cui siamo esposti e cui dobbiamo far fronte, non si annunciano potenze matriarcali, ma potenze materiali. Quell’accelerazione agisce su entrambi i sessi: ciò dipende dal fatto che essa scaturisce da uno strato più profondo della sessualità, da cui questa stessa prende forma.

Si dimostrerà anche che da questa profondità affluisce potenza, una potenza indivisa, anche alla sessualità. Quando il terreno originario si solleva, la produzione viene coinvolta in una relazione che sta al di fuori e al di sopra della storia, quella appunto dell’origine che non è una creazione, ma una nascita. In questo senso la figura del padre deve trarsi da parte.

Il nostro tempo si accinge a concepire una grande immagine materna che non solo comprende l’immagine del mondo in cui da sempre sono venerate le madri degli dèi e degli uomini, ma che traccia anche i confini dei misteri ultimi della materia, eterno segreto per i mortali. Il fatto che a tutto questo contribuiscano, senza che lo sappiano e tuttavia con la certezza delle mete perseguite, lo spirito logico e la forma maschile della conoscenza, fa parte del paesaggio di officina e del suo stile. Anche le vittime rientrano in questo insieme. La colpa dell’uomo può essere contemporaneamente una purificazione della terra.

21. Considerata come un livellamento e valutata entro i termini del piano, la parificazione dei sessi viene a urtare contro limiti che è difficile infrangere. L’economia, con i suoi più sofisticati strumenti di normalizzazione tecnologica, incontra non soltanto una resistenza spirituale, ma anche l’ostacolo di una reale condizione fisiologica.

Quando si apre la porta di una fabbrica o di un ufficio e si osserva lo spettacolo del gruppo apparentemente asessuato dei dipendenti, a tale impressione contribuisce in buona parte il mimetismo. La ricostruzione avviata nei piani alti non raggiunge quelli inferiori. L’organizzazione coinvolge l’organismo solo in superficie.

Per effetto di una legge generale, le difficoltà dell’organizzazione sono tanto maggiori quanto più è elevato il livello di sviluppo degli organismi: la costruzione risulta tanto più facile, quanto più semplici sono le pietre con cui si costruisce. I popoli «non sviluppati» o privi di storia si prestano pertanto più facilmente a una rifusione tecnica e ideologica di quelli dotati di una grande e antica tradizione. Si tratta di una diversa plasmabilità. In accordo a questa legge, un piano di formazione di Stato potrebbe esercitare un effetto più profondo sulle forme meno sviluppate dell’albero genealogico.

Nell’ambito dell’umano stato del lavoro le trasformazioni sono limitate alle funzioni. Una donna può divenire minatore, soldato, fisico, presidente della Corte. Questo cambia il suo statuto [Stand] sociale, ma non quello biologico. Al contrario, la perfezione dello stato degli insetti si fonda soprattutto sul fatto che, a seconda della funzione e in riferimento alle specifiche prestazioni, cambia anche lo statuto biologico. Non si distingue qui solamente tra maschio e femmina, ma vi sono altri stati [Stande], che spesso si distinguono al punto tale che i ricercatori li assegnano, nella classificazione, ad altre specie. Ci addentriamo a scrutare un mondo avventuroso, in cui la professione e l’attività non si limitano a conferire una sfumatura di colore all’individuo, ma ne definiscono il profilo dell’impronta, ne determinano il modo di essere. Ciò appare con grande evidenza nello Stato delle api, in cui le cellette del favo, a seconda dei loro diversi standard, rappresentano appunto stampi diversi
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22. Tracce di una simile standardizzazione si sono presentate spesso nel mondo della storia e, occorre sottolinearlo, proprio nel mondo della storia, il che ci porta a concludere che l’uomo secondo la sua natura, e forse anche secondo la sua umanità, non appartiene alle specie che si organizzano naturalmente in Stati, che dunque la caratterizzazione di zoón politikón non ne coglie la natura essenziale.

Queste tracce sono rappresentate dal costituirsi di caste, dal matrimonio tra consanguinei entro ceti privilegiati, dal monachesimo, dallo schiavismo, senza cui la cultura antica sarebbe impensabile. Tali forme di segregazione, governate da leggi e costumi, possono dare origine a comunità stabili, che sopravvivono per secoli, specie laddove sono accompagnate da prescrizioni rituali.

I prigionieri di guerra, esperti nella lavorazione del ferro, possono costituire una casta di fonditori che si distingue dal resto della popolazione per il colore della pelle, la lingua e il rituale, pone i suoi insediamenti in disparte e rimane non integrata. Tuttavia non si può dire che essa rappresenti uno stato biologico, come quello dei guerrieri nel popolo delle termiti, la cui forma è stabilita a priori in vista del loro compito.

Anche nelle isole più solitarie, nei luoghi dove si conservano i «fossili viventi», l’uomo ha certamente sviluppato razze particolari attraverso la separazione millenaria, ma non ha dato origine né a uno stato biologico, né a una nuova specie. Quando viene scoperto egli è uomo tra gli uomini e può recuperare con un solo passo ciò che nel frattempo gli uomini «sviluppati» hanno raggiunto.

Giudizi e pregiudizi, leggi e costumi che definiscono una condizione pura e incontaminata, possono innalzare montagne tra gli uomini, spalancare fratture difficilmente colmabili. È in questo paesaggio che la storia gioca la sua parte, e non si tratterebbe di storia, bensì della storia della natura, se la libera volontà non determinasse il quadro che ne traccia i confini. La riflessione risale a essa come a un’ultima istanza. Il suo momento trova sede nel tempo e può trasformare il mondo laddove lo spirito si libera dei propri limiti. Essa è l’elemento caratterizzante la species humana e in quanto tale, sebbene nell’individuo si presenti come eccezione, determina la via e i compiti della specie e della civiltà umana attraverso i secoli.

Se paragonate a ciò che per noi uomini è possibile, queste forme di separazione si rivelano effimere. In tutti i tempi hanno richiesto il sacrificio di vittime, e tuttavia non ve n’è una che non sia stata travolta dall’evoluzione o distrutta da una rivoluzione.

23. Quando lo Stato e il pensiero organizzatore acquistano una potenza pari a quella che oggi stanno vivendo uomini e popoli, i pericoli che si corrono vengono in parte sopravvalutati e in parte sottovalutati. Essi non consistono tanto nella minaccia di tipo fisico che incombe sui popoli e sugli uomini che ne fanno parte, una minaccia certo evidente, cui è esposta la specie in quanto tale, e precisamente per il fatto che essa ne è colpita nella caratteristica più peculiare del suo genere, vale a dire la libertà del volere. Con ciò lo splendore di una civiltà più elevata svanirebbe nel bagliore della perfezione. Il reale pericolo che la pianificazione rappresenta non sta tanto nella possibilità che essa fallisca, quanto in una sua realizzazione a buon mercato. Per tale ragione è importante che le sia dato impulso a partire da diversi centri. Ciò garantisce possibilità che vanno al di là dei piani statali specifici.

Quando si parla di un pericolo per il genere umano in quanto tale, non si intende tanto una minaccia di tipo fisico, quanto piuttosto di tipo metafisico. Da un punto di vista storico, questo potrebbe significare un esaurirsi della produzione intesa nel senso più profondo; la creazione nel campo dell’arte, della poesia, della filosofia e anche della storiografia. In teologia scompare la domanda sulla salvezza, in biologia si estingue il ramo di una grande discendenza, in una direzione dello sviluppo che non va valutata da un punto di vista umano.

Lo specifico dell’uomo sta nella libertà del volere, il che vuol dire: nell’imperfezione. Sta nella possibilità di rendersi colpevole, di commettere un errore. La perfezione, al contrario, rende superflua la libertà; l’ordine razionale acquista la nettezza dell’istinto. Una delle grandi tendenze della pianificazione del mondo mira evidentemente a una tale semplificazione. Possiamo leggerlo nella natura come in un libro illustrato.

A un punto di svolta del destino nel quale va formandosi un nuovo ramo della discendenza, ci si chiede quale potere abbia l’umana volontà sull’inevitabile. Se vogliamo o meno entrare nella nuova dimora non è cosa che si possa decidere, perché non si tratta tanto dell’entrata di un uomo, ma di quella di un eone; la casa si volge e si allontana come un campo oroscopico al di sopra di uomini e popoli, e cioè in forma invisibile, ma appunto per questo con irresistibile cogenza.

Un’altra questione riguarda ciò che possiamo portare con noi. Esiste certamente anche un’eredità, e non solo una trasformazione. Se le caratteristiche fondamentali del genere umano, soprattutto la libera volontà, possano essere portate nella nuova dimora, se possano esservi introdotte come un’eredità o se diventino un elemento rudimentale: ciò varia a seconda di come si giudica.

Tale parte assegnata al giudizio porta un elemento nuovo nell’evoluzione. Si sono spesso verificate trasformazioni geologiche come la nostra, rivoluzioni che hanno prodotto mutamenti nelle stratificazioni, e i mondi incantati che ne furono originati tradiscono il gioco di una forza potente dello spirito della terra.

Tale forza conferisce alle creature un modello e un’impronta attraverso le grandi spinte in cui la creazione si ripete, così come l’antico fuoco della terra si ripete nell’eruzione dei vulcani. Per la prima volta ora una creatura, vale a dire l’uomo in quanto figlio della terra, è dotato di una parte di questa forza. Egli partecipa a un processo geologico, non semplicemente nel senso che lo registra e lo osserva, ma nel senso che contribuisce a determinarne la formazione. La sua parte è modesta se confrontata con le trasformazioni di natura geologica cui contribuisce, e tuttavia è di qui che scaturisce la sorgente della sua nuova, inaudita potenza, ma, insieme, anche del suo pericolo e della sua responsabilità.

24. Che l’organizzazione non sia primariamente connessa alla vita, si desume dal fatto che può essere introdotta nei settori più diversi del mondo dei viventi e che può dar forma a qualsiasi elemento, realizzando in tal modo una sola e unica tendenza. Se questa tendenza si chiama «volare» o «nuotare», compaiono ali e pinne, oppure queste vengono trasformate in modo geniale, nel senso che le ali diventano pinne, come negli alcidi o nei pinguini, o le pinne diventano ali, come nei pesci volanti.

Se si pensa alla straordinaria ricchezza che questi sforzi proteiformi dispiegano, soprattutto in epoche di grande fecondità, solo il mondo dei giochi offre un termine di paragone soddisfacente. L’importanza che in questi casi acquistano anche i vantaggi tattici degli armamenti o la concorrenza economica fa appunto parte delle regole del gioco. Se si valutasse il processo esclusivamente dal punto di vista dell’utilità, si perderebbe molto della sua bellezza e della sua ricchezza. Il mondo presenterebbe un aspetto monotono, simile a quello dei nostri paesaggi di industria.

Ma non è questo il caso. La dissipazione assume tratti fantastici se in essa vengono coinvolte grandi entità, come il mondo dei trilobiti, dei sauri o i grandi Stati dell’antico Oriente. La fecondità dell’organismo pare inesauribile, sede autentica della vita, ma inesauribile sembra anche la fantasia dell’organizzazione.

Spesso si ha l’impressione che l’organismo opponga resistenza all’organizzazione. Già gli organi di struttura più semplice sembrano sottrarsi a essa per costituirsi; il bios tende essenzialmente a preferire formazioni sferiche, ovali, a forma di calice o di goccia, oppure, ancora, gli stati fluidi. Per effetto dell’organizzazione si introducono invece modelli lineari, a raggiera, rettangolari. Ciò risulta evidente ogni qual volta in un popolo venga introdotta una forma di Stato, che sia il favo di un’arnia, o la veduta aerea di una città industriale che sorge nel mezzo di una foresta. Il popolo, in questo senso, è una forza distinta che sta sul fondo. La distinzione che Rivarol premette alle sue massime politiche fornisce effettivamente un punto cardine;

«La potenza è la forza organizzata, l’unione dell’organo con la forza. L’universo è pieno di forze che non cercano altro che un organo per diventare potenze. I venti, le acque sono forze; applicate a un mulino o a una pompa, che sono i loro organi, divengono potenza. Questa distinzione tra la forza e la potenza dà la soluzione del problema della sovranità nel corpo politico. Il popolo è forza, il governo è organo e la loro unione costituisce la potenza politica»1.

Sono osservazioni di una mente politica acuta, che ama fare confronti con la fisica. Viene però da chiedersi: l’universo brulica davvero di tali forze «che non cercano altro che un organo»? Queste forze aspirano proprio a sottomettersi al giogo che l’organizzazione impone all’organismo? L’acqua dei monti ha davvero bisogno di essere costretta nei canali e negli sbarramenti? Il vento vuole davvero lasciarsi imprigionare nelle vele e nelle pale dei mulini? L’energia elettrica della terra vuole essere isolata e condotta attraverso i fili metallici per dare luce e calore alle città? Il toro chiede l’aratro e il popolo lo Stato?

Chi vuole esercitare un dominio deve certamente pensarla così, ma nell’universo si può osservare in maniera altrettanto evidente una tendenza a sottrarsi a tale dominio. C’è un brulicare altrettanto vivace di piani, idee, tendenze formative, dèi, eroi, argonauti cosmici alla ricerca inesausta di forze da incatenare, costringere, attaccare davanti al proprio carro.

In questa prospettiva, l’universo offre l’immagine di un’eterna caccia, cui i grandi signori prendono parte armati di reti e di funi; chi cade nelle loro mani può ritenersi ancora fortunato se deve limitarsi semplicemente a servirli senza farsi carico dei loro conflitti.

25. Se si guarda a tutto questo da una grande distanza, come a un gioco di luce e ombra, non ci si lascia coinvolgere dal conflitto. Ciascuno invece può fare esperienza sulla propria pelle del fatto che la caccia è in corso qui, sulla nostra terra, nell’ora del nostro destino, e non coinvolge soltanto gli uomini, ma anche le piante, gli animali e gli organismi della natura inanimata.

L’autentica relazione tra organismo e organizzazione appare dunque enigmatica per il pensiero, dal momento che la sua ora sta al di fuori del tempo, mentre lo spirito deve pur sempre considerarla entro un ordine e una successione. Essa ha tuttavia il suo posto nel mondo della contemplazione e delle sue immagini, soprattutto nelle religioni, e anche qui resta un elemento di insolubilità, per il fatto che non c’è una religione soltanto, ma molteplici.