Essere
come loro di Eduardo
Galeano
I
sogni e gli incubi sono fatti della stessa materia, ma questo
incubo dice d'essere il nostro unico sogno permesso: un modello
di sviluppo che disprezza la vita e adora le cose.
Possiamo
essere come loro? Promessa dei politici, ragione dei tecnocrati,
fantasia dei diseredati, il Terzo Mondo si convertirà
in Primo Mondo e sarà ricco colto e felice, se si comporta
bene e fa quello che gli si ordina senza fiatare né
obiettare. Un destino di prosperità ricompenserà
la buona condotta dei morti di fame, nel capitolo finale della
telenovela della storia. Possiamo essere come loro, annuncia
il gigantesco cartello luminoso acceso nel cammino dello sviluppo
dei sottosviluppati e della modernizzazione dei ritardati.
Però
quello che non può essere, non può essere, e
inoltre è impossibile, come di solito diceva Pedro
el Gallo, torero: se i paesi poveri giungessero al livello
di produzione e spreco dei paesi ricchi, il pianeta morirebbe.
Il nostro sventurato pianeta è già in stato
di coma, gravemente intossicato dalla civiltà industriale
e sfruttato fino all'ultima goccia dalla società dei
consumi.
Negli
ultimi vent'anni, mentre si triplicava l'umanità, l'erosione
ha assassinato l'equivalente di tutta la superficie coltivabile
degli Stati Uniti. Il mondo, convertito in mercato e merce,
sta perdendo quindici milioni d'ettari di foresta per anno.
Di questi, sei milioni si sono trasformati in deserti. La
natura, umiliata, è stata messa al servizio dell'accumulazione
del capitale.
Si
avvelena la terra, l'acqua e l'aria perché il denaro
generi più denaro senza far scendere il tasso di profitto.
Efficiente è chi guadagna di più in meno tempo.
La
pioggia acida dei gas industriali uccide i boschi e i laghi
del nord del mondo, mentre i rifiuti tossici avvelenano i
fiumi e i mari, e a sud l'agroindustria di esportazione avanza
sradicando alberi e persone. A nord e a sud, a ovest e a est,
l'uomo sega, con delirante entusiasmo, il ramo dov'è
seduto.
Dal
bosco al deserto: modernizzazione, devastazione. Nel rogo
continuo dell'Amazzonia arde mezzo Belgio per anno, bruciato
dalla civiltà della cupidigia, e in tutta l'America
Latina la terra si sta pelando e seccando. In America Latina
muoiono ventidue ettari di bosco al minuto, in maggior parte
sacrificati dalle imprese che producono carne e legname, su
grande scala, per il consumo estero. Le mucche del Costa Rica
si convertono negli Stati Uniti in hamburger Mac Donald's.
Mezzo secolo fa, gli alberi coprivano i tre quarti del territorio
del Costa Rica. Ora ne sono rimasti pochi, e stando al ritmo
attuale di disboscamento questo piccolo paese diventerà
un deserto entro la fine del secolo. Il Costa Rica esporta
carne negli Stati Uniti, e dagli Stati Uniti importa pesticidi
di cui gli Stati Uniti vietano l'uso nel proprio territorio.
Pochi paesi dilapidano le risorse di tutti. Crimine e delirio
della socità dello sperpero: il sei per cento più
ricco dell'umanità divora un terzo di tutta l'energia
e un terzo di tutte le risorse naturali che si consumano nel
mondo. Secondo le statistiche, un americano del nord consuma
tanto quanto cinquanta haitiani. Certo, questa statistica
non parla degli abitanti del quartiere di Harlem, né
di Baby Doc Duvalier, ma in ogni caso è giusto chiedersi:
che succederebbe se i cinquanta haitiani consumassero improvvisamente
tanto quanto cinquanta americani? Che succederebbe se tutta
l'immensa popolazione del Sud potesse divorare il mondo con
la stessa voracità del Nord? Che succederebbe se si
moltiplicassero nella stessa folle misura gli articoli di
lusso, le automobili, i frigoriferi, i televisori, le centrali
nucleari ed elettriche? Tutto il petrolio del mondo si esaurirebbe
in dieci anni. E cosa succederebbe al clima, che è
vicino al collasso per il surriscaldamento dell'atmosfera?
Che succederebbe alla terra, alla poca terra che l'erosione
ci sta lasciando? E con l'acqua, che già la quarta
parte dell'umanità beve inquinata e contaminata da
nitrati e pesticidi, da residui industriali di mercurio e
piombo? Che succederebbe? Non succederebbe. Dovremmo cambiare
pianeta. Questo che abbiamo è già tanto consumato,
non potrebbe sopportarlo.
Il
precario equilibrio del mondo, che ruota ai bordi dell'abisso,
dipende dalla costante ingiustizia. È necessaria la
miseria di molti perché sia possibile lo spreco di
pochi. Perché pochi continuino a consumare di più,
molti dovranno continuare a consumare di meno. E per evitare
che nessuno superi i limiti, il sistema moltiplica le armi
da guerra. Incapace di combattere contro la miseria combatte
contro i poveri, mentre la cultura dominante, cultura militarizzata,
benedice la violenza del potere.
L'American
way of life, fondato sul privilegio dello sperpero, può
essere esercitato solo dalle minoranze dominanti nei paesi
dominati. La sua applicazione massiccia, implicherebbe il
suicidio collettivo dell'umanità.
Possibile,
non è. Però, sarebbe desiderabile?
Vogliamo
essere come loro? In un formicaio bene organizzato, le formiche
regine sono poche e le formiche operaie moltissime. Le regine
nascono con le ali e possono fare all'amore. Le operaie, non
volano e non amano, lavorano per le regine. Le formiche poliziotte
vigilano le operaie e anche le regine.
La
vita è qualcosa che succede, mentre uno è occupato
a fare altre cose, diceva John Lennon. Nella nostra epoca,
segnata dalla confusione dei mezzi e dei fini, non si lavora
per vivere: si vive per lavorare. Alcuni lavorano sempre di
più perché hanno bisogno di più di quello
che consumano, altri lavorano sempre di più per continuare
a consumare più di quanto abbiano bisogno.
Sembra
normale che la giornata di lavoro di otto ore appartenga,
in America Latina, al dominio dell'arte astratta. Il doppio
impiego, che le statistiche ufficiali raramente
confessano,
è la realtà di moltissime persone che non hanno
altro modo per evitare la fame. Però, sembra normale
che l'uomo lavori come una formica nell'apice dello sviluppo?
La ricchezza conduce alla libertà, o moltiplica la
paura della libertà?
Essere
è avere, dice il sistema. E la trappola consiste nel
fatto che chi più ne ha, più vuole, e alla resa
dei conti le persone finiscono per appartenere alle cose e
lavorano per loro. Il modello di vita della società
di consumo, che oggi s'impone come modello unico su scala
universale, converte il tempo in una risorsa economica, sempre
più scarso e più caro: il tempo si vende, si
affitta, si investe. Però, chi è il padrone
del tempo? L'automobile, il televisore, il video, il computer,
il telefono cellulare e altri simboli di felicità,
macchine nate per guadagnare tempo o per passare il tempo,
si impadroniscono del tempo. L'automobile, mettiamo, non solo
dispone dello spazio urbano, dispone pure del tempo umano.
In teoria, l'automobile, serve per risparmiare tempo, però
in pratica lo divora. La maggior parte del tempo del lavoro
è destinata a pagare il mezzo di trasporto per il lavoro,
che inoltre risulta sempre più divoratore del tempo
a causa degli ingorghi del traffico nelle moderne babilonie.
Non
c'è bisogno di essere un genio in economia. Basta un
po' di senso comune per ipotizzare che il progresso tecnologico,
moltiplicando la produzione, diminuisce il tempo di lavoro.
Il senso comune non ha previsto, di certo, il panico da tempo
libero, né le trappole del consumismo, né il
potere manipolatore della pubblicità. Nelle città
del Giappone si lavora 47 ore a settimana da vent'anni. Nel
frattempo, in Europa, il tempo di lavoro è stato ridotto,
molto lentamente, a un ritmo che non ha niente a che vedere
con l'accelerato sviluppo della produzione. Nelle fabbriche
robotizzate ci sono dieci operai dove prima ce n'erano mille;
però il progresso tecnologico genera disoccupazione,
invece di ampliare gli spazi di libertà. La libertà
di perdere il tempo: la società del consumo non autorizza
simili sprechi. Perfino le vacanze, organizzate dalle grandi
imprese che industrializzano il turismo di massa, si sono
trasformate in un lavoro estenuante. Ammazzare il tempo: le
località estive moderne riproducono la vertigine della
vita quotidiana nei formicai urbani.
Secondo
gli antropologi, i nostri antenati del paleolitico non lavoravano
più di venti ore alla settimana. Secondo i giornali,
i nostri contemporanei svizzeri hanno votato, alla fine del
1988, un plebiscito che proponeva di ridurre la giornata lavorativa
a quaranta ore settimanali: ridurre la giornata senza ridurre
i salari. E gli svizzeri hanno votato contro.
Le
formiche comunicano toccandosi le antenne. Le antenne della
televisione comunicano con i centri di potere del mondo contemporaneo.
Il piccolo schermo ci offre l'affanno della proprietà,
la frenesia del consumo, l'eccitazione della competizione
e l'ansietà del successo, come Colombo offriva specchietti
agli indios. Mercanzia di successo. La pubblicità non
ci racconta, invece, che gli Stati Uniti consumano attualmente,
secondo l'organizzazione mondiale della sanità, quasi
la metà del totale di farmaci tranquillanti che vengono
venduti sul pianeta. Negli ultimi vent'anni, la giornata di
lavoro è aumentata negli Stati Uniti. Nello stesso
periodo si è duplicata la quantità di malati
da stress.
La
città come camera a gas. Un contadino vale meno di
una mucca e più di una gallina, mi dicono a Caaguazù,
nel Paraguay. E nel nord est del Brasile: Chi semina non ha
terra, chi ha terra non semina.
I
nostri campi si svuotano, le città latinoamericane
diventano inferni grandi come nazioni. Città del Messico
cresce al ritmo di mezzo milione di persone e trenta chilometri
quadrati per anno: ha già cinque volte più abitanti
di tutta la Norvegia. Da qui a poco, alla fine del secolo,
la capitale del Messico e la città brasiliana di San.
Paolo saranno le città più grandi del mondo.
Le
grandi città del sud del pianeta sono come le grandi
città del nord, però viste in uno specchio deformante.
La modernizzazione copiona moltiplica i difetti dell'originale.
Le capitali latinoamericane, rumorose, sature di smog, non
hanno strade per le biciclette né filtri per i gas
tossici. L'aria pulita e il silenzio sono articoli tanto rari
e tanto cari che neppure i ricchi più ricchi possono
comprarseli. . In Brasile, la Volkswagen e la Ford fabbricano
automobili senza, filtri da vendere in Brasile e negli altri
paesi del Terzo mondo. Invece, le stesse filiali brasiliane
della Volkswagen e Ford producono automobili con filtro per
venderle nel Primo mondo. L'Argentina produce gasolio senza
piombo per l' esportazione. Invece per il mercato nazionale
produce gasolio velenoso. In tutta l'America Latina, le automobili
hanno la libertà di vomitare piombo dai tubi di scappamento.
Dal punto di vista delle automobili, il piombo alza la percentuale
degli ottani e aumenta il tasso di profitto. Dal punto di
vista delle persone, il piombo danneggia il cervello e il
sistema nervoso. Le automobili, padrone delle città,
non ascoltano gli intrusi.
Anno
2000, ricordi del futuro: gente con maschere d'ossigeno, uccelli
che tossiscono invece di cantare, alberi che si rifiutano
di crescere. Attualmente, a città del Messico, si vedono
dei cartelli che dicono: Si prega di non sporcare i muri e
Per favore non sbattete la porta. Ancora non ci sono dei cartelli
che dicono: Si raccomanda di non respirare. Quanto tempo passerà,
prima che appaiano questi avvertimenti per la salute pubblica?
Le
automobili e le fabbriche regalano all'atmosfera, ogni giorno,
undicimila tonnellate di gas e fumi nemici. C'è una
nebbia di sporcizia nell'aria, i bambini nascono già
con il piombo nel sangue e più d'una volta sono piovuti
uccelli morti sulla città che era, fino a mezzo secolo
fa, la regione con l'aria più trasparente. Ora il cocktail
di monossido di carbonio, biossido di zolfo e ossido di azoto
arriva a essere tre volte superiore al massimo tollerabile
dagli esseri umani. Quale sarà il massimo tollerabile
dagli essere urbani?
Cinque
milioni di automobili: la città di San Paolo è
stata definita come un malato alla vigilia di un infarto.
Una nuvola di gas la nasconde. Solo le domeniche si può
vedere, dai dintorni, la città più sviluppata
del Brasile. Nelle vie del centro le insegne luminose, avvertono
ogni giorno la popolazione:
Qualità
dell'aria: pessima.
Secondo
le installazioni che misurano l' inquinamento atmosferico,
l'aria è stata sporca o molto sporca per 323 giorni
nel 1986.
Nel
giugno del 1989, Santiago del Cile disputò con Città
del Messico e San Paolo, nei giorni senza pioggia né
vento, il campionato mondiale di inquinamento. La collina
di San Cristobal, in pieno centro di Santiago, non si vedeva,
nascosta dietro una cortina di smog. L'appena nato governo
democratico del Cile impose alcune misure minime contro le
ottocento tonnellate di gas che ogni giorno si incorporano
nell'aria della città. Allora le automobili e le fabbriche
urlarono fino al cielo: quelle limitazioni violavano la libertà
d'impresa e danneggiavano il diritto di proprietà.
La libertà del denaro, che disprezza la libertà
degli altri, era stata illimitata durante la dittatura del
generale Pinochet, e aveva contribuito generosamente all'avvelenamento
generale.
Il
diritto di inquinare è un incentivo fondamentale per
l'investimento straniero, quasi tanto importante quanto il
diritto di pagare salari ridotti. E in fin dei conti, il generale
Pinochet, non aveva mai negato ai cileni il diritto di respirare
merda.
La
città come carcere. La società del consumo,
che consuma gente, obbliga la gente a consumare, mentre la
televisione impartisce corsi di violenza ad acculturati e
analfabeti. Quelli che nulla possiedono possono vivere molto
lontano da quelli che possiedono tutto, però ogni giorno
li spiano dal piccolo schermo. La televisione esibisce l'osceno
sperpero della festa del consumismo e, allo stesso tempo,
insegna l' arte di farsi largo a colpi di pistola.
La
realtà imita la televisione, la violenza di strada
è il seguito della televisione con altri mezzi. I bambini
di strada praticano l'iniziativa privata nel delitto, l'unico
campo dove possono svilupparla. I loro diritti umani si riducono
a rubare e morire. I cuccioli di tigre, abbandonati alla loro
sorte, escono a caccia. In qualsiasi angolo della città
scippano e fuggono. La vita finisce presto, consumata dalla
droga, buon mezzo per ingannare la fame, il freddo e la solitudine;
o finisce quando una pallottola la spezza a freddo.
Camminare
per le strade delle grandi città latinoamericane, sta
diventando un'attività ad alto rischio. Restare a casa
pure. La città come carcere: chi non è preso
dai bisogni è preso dalla paura. Chi possiede qualcosa,
per poco che sia, vive sotto minaccia, condannato alla paura
del prossimo attacco. Chi possiede molto, vive rinchiuso nelle
fortezze.
I
grandi edifici e i blocchi residenziali sono castelli feudali
dell'era elettronica. Manca la fossa dei coccodrilli, manca
pure la maestosa bellezza dei castelli del medioevo, però
ci sono grandi inferriate mobili, alte muraglie, torri di
vedetta e guardie armate.
Lo
Stato, che non è più paternalista ma poliziesco,
non pratica la carità. Appartengono all'antichità
tempi della retorica sulla addomesticazione dei disadattati
attraverso le virtù dello studio e del lavoro. In epoca
di economia di mercato, gli esseri umani di troppo vengono
eliminati dalla fame o con un colpo di pistola. I bambini
di strada, figli della mano d'opera emarginata, non sono e
non possono essere utili alla società. L'istruzione
appartiene a chi può permettersi di pagarla; la repressione
si esercita contro chi non può comprarla.
Secondo
il New York Times, tra gennaio e ottobre del 1990, la polizia
ha assassinato più di quaranta bambini nelle vie di
Città del Guatemala. I cadaveri dei bambini, bambini
mendicanti, bambini ladri, bambini che frugano nella spazzatura,
furono trovati senza lingua, senza occhi, senza orecchie,
buttati nelle discariche pubbliche. Secondo Amnesty international,
durante il 1989 sono stati giustiziati 457 bambini e adolescenti,
nelle città brasiliane di Rio de Janeiro, San Paolo
e Recite. Questi crimini, commessi dagli Squadroni della morte
e altre forze dell'ordine parapoliziesche, non sono avvenuti
nelle zone rurali arretrate, ma nelle più importanti
città del Brasile: non sono avvenuti dove il capitalismo
manca, ma dove abbonda. L'ingiustizia sociale e il disprezzo
per la vita crescono con la crescita dell'economia.
In
paesi dove non esiste la pena di morte, viene applicata quotidianamente
la pena di morte in difesa del diritto di proprietà.
E i fabbricanti d'opinione fanno di solito l'apologia del
crimine.
Verso
la metà del 1990, nella città di Buenos Aires,
un ingegnere ha ammazzato a colpi di pistola due giovani ladri
che fuggivano con lo stereo della sua macchina. Bemardo Neustadt,
il più influente giornalista argentino, commentò
in televisione: Io avrei fatto lo stesso . Nelle elezioni
brasiliane del 1986, Afanasio Jazadji guadagnò un seggio
come deputato, per lo stato di San Paolo. Egli fu uno dei
deputati più votati in tutta la storia del Brasile.
Jazadji aveva conquistato l'immensa popolarità dai
microfoni della radio. La sua trasmissione radiofonica difendeva
a squarciagola gli squadroni della morte e predicava la tortura
e lo sterminio dei delinquenti.
Nella
civiltà del capitalismo selvaggio, il diritto di proprietà
è più importante del diritto alla vita. Le persone
valgono meno delle cose. Risulta rivelatore, in questo senso,
il caso delle leggi di impunità. Le leggi che assolsero
il terrorismo di stato esercitato dalle dittature militari,
nei tre paesi del sud, perdonarono il crimine e la tortura,
però non perdonarono i delitti contro la proprietà.
(Cile: decreto legge 2191, nel 1978; Uruguay: legge 15.848,
nel 1986; Argentina: legge 23.521, nel 1987).
Il
"costo sociale" del Progresso. Febbraio 1989, Caracas. D'un
colpo, arriva alle stelle il prezzo del biglietto dell'autobus,
si moltiplica di tre volte il prezzo del pane e scoppia la
rabbia popolare: nelle strade rimangono trecento morti, o
cinquecento, o chissà.
·Febbraio
1991, Lima. L'epidemia di colera attacca le coste del Perù,
si insedia nel porto di Chimbote, nelle periferie miserabili
della città di Lima e uccide cento persone in pochi
giorni. Negli ospedali non c'è siero, né sale.
L'aggiustamento economico del governo ha smantellato quel
poco che rimaneva della salute pubblica e ha duplicato in
un batter d'occhio la quantità di peruviani in stato
di miseria, che guadagnano meno del salario minimo. Il salario
medio è di 45 dollari al mese.
Le
guerre di oggi, guerre elettroniche, si svolgono sugli schermi
dei videogames . Le vittime non si vedono e non si sentono.
L'economia di laboratorio non ascolta, né vede, gli
affamati e la terra bruciata. La tecnocrazia internazionale,
che impone al Terzo mondo i suoi programmi di sviluppo e i
suoi piani di adattamento, uccide da fuori e da lontano.
È
da più d'un quarto di secolo che in America Latina
vengono smantellate le deboli dighe opposte alla prepotenza
del danaro. I banchieri creditori hanno bombardato quelle
difese con la concreta arma dell'estorsione, i militari e
i governanti li hanno aiutati ad abbatterle, minandole dall'interno.
Così cadono, una dopo l'altra, le barriere di protezione
alzate, in altri tempi, dallo Stato. E ora lo Stato vende
le imprese pubbliche nazionali, in cambio di niente o meno
di niente, perché chi vende, paga, I nostri paesi consegnano
le chiavi e tutto il resto ai monopoli internazionali che
adesso si chiamano fattori di formazione dei prezzi, e si
convertono in mercati liberi. La tecnocrazia internazionale,
che ci insegna a fare le punture alle gambe di legno , dice'
che il mercato libero è il talismano della ricchezza.
Come mai i paesi ricchi, che lo predicano, non lo praticano?
Il mercato libero che umilia i deboli è il più
venduto prodotto d'esportazione dei potenti. Si fabbrica per
il consumo dei paesi poveri. Nessun paese ricco l'ha mai usato.
Talismano
di ricchezza, per quanti? I dati ufficiali dell'Uruguay e
del Costa Rica, i paesi dove i meno forti bruciavano, prima,
le contraddizioni sociali: adesso un uruguaiano su sei vive
in estrema povertà, e sono povere due famiglie costaricane
su cinque.
Il
dubbioso matrimonio fra offerta e domanda, in un mercato libero
che serve il dispotismo dei potenti, punisce i poveri e genera
un'economia di speculazione. Si scoraggia la produzione, si
deprezza il lavoro, si mitizza il consumo. Si contemplano
le tabelle del cambio, come fossero schermi cinematografici,
si parla del dollaro come fosse una persona:
"E
come sta il dollaro?"
La
tragedia si ripete come farsa. Dai tempi di Cristoforo Colombo,
l'America Latina ha sofferto come tragedia lo sviluppo straniero.
Ora lo ripete come una farsa. È la caricatura dello
sviluppo: un nano che finge di essere un bambino.
La
tecnocrazia vede numeri e non persone, ma vede solo i numeri
che gli conviene vedere. Alla fine,di questo lungo quarto
di secolo, si celebrano alcuni successi della modernizzazione.
Il miracolo boliviano, per esempio, compiuto grazie ai capitali
del narcotraffico: il ciclo dello stagno è finito,
e con lo stagno sono crollati i centri monetari e i sindacati
operai più litigiosi della Bolivia: ora la popolazione
di Llallagua, che non ha acqua potabile, possiede un'antenna
parabolica televisiva, in alto sulla collina del Calvario.
O il miracolo cileno, dovuto alla bacchetta magica del generale
Pinochet, prodotto di successo che si sta vendendo, a poco
a poco, nei paesi dell'Est. Però qual è il prezzo
del miracolo cileno? E chi sono i cileni che l'hanno pagato
e lo pagano ancora? Quali saranno i polacchi, i cecoslovacchi
e gli ungheresi che lo pagheranno? In Cile, le statistiche
ufficiali proclamano la moltiplicazione dei pani e, allo stesso
tempo, confessano la moltiplicazione degli affamati. Canta
vittoria il gallo. Queste chiacchiere sono sospette. Non si
sarà montato la testa? Nel 1970, c'era un venti per
cento di cileni poveri. Ora è il 45 per cento.
Le
cifre confessano, però non si pentono. In fin dei conti
la dignità umana dipende dal calcolo costi-benefici,
e il sacrificio della miseria non è altro che il costo
sociale del progresso.
Quale
sarebbe il valore di quel costo sociale, se si potesse misurare?
Alla fine del 1990, la rivista Stern fece un'attenta stima
dei danni prodotti dallo sviluppo nella Germania d'oggi. La
rivista valutò, in termini economici, i danni umani
e materiali derivati da incidenti d'auto, congestione da traffico,
contaminazione dell'aria, dell'acqua e degli alimenti, degrado
degli spazi verdi e da altri fattori, e arrivò alla
conclusione che il valore dei dan li equivale alla quarta
parte di tutto il prodotto nazionale dell'economia tedesca.
Il moltiplicarsi della miseria non figurava, ovviamente, fra
quei danni, perché è da diversi secoli che l'Europa
alimenta la propria ricchezza con la povertà degli
altri, però sarebbe interessante sapere fin dove potrebbe
arrivare una simile stima se applicata alle catastrofi della
modernizzazione in America Latina. Ed è da tenere in
considerazione che in Germania lo Stato controlla e limita,
fino a un certo punto, gli effetti nocivi del sistema sulle
persone e l'ambiente.
Quale
sarebbe la valutazione del danno in paesi come i nostri, che
hanno creduto alla favola del mercato libero e lasciano che
il denaro si muova come una tigre libera? Il danno che ci
fa e ci farà, un sistema che ci stordisce di bisogni
artificiali per farci dimenticare i nostri bisogni reali?
Come si può misurare? Si possono misurare le mutilazioni
dell'anima umana? La moltiplicazione della violenza, l'avvilimento
della vita quotidiana?
L'Ovest
vive l'euforia del trionfo. Dietro il crollo dell'Est, l'alibi
è pronto: nell'Est, era peggio. Era peggio? Sarebbe
meglio, penso, chiederci se era fondamentalmente diverso .
A Ovest: il sacrificio della giustizia in nome della libertà,
sugli altari della dea Produttività. A Est: il sacrificio
della libertà, in nome della giustizia, sugli altari
della dea Produttività.
A
Sud, siamo ancora in tempo per chiederci se quella dea merita
le nostre vite.