Nellautunno del 1998 Illich era a Città di Castello,
vicino a Perugia, alla Fiera delle utopie
concrete, un appuntamento organizzato da Karl-Ludwig Schibel. Il
tema dellincontro era
Ludito e lascolto. In quelloccasione lo ha intervistato
Mauro Suttora, giornalista. Libertaria propone questo testo inedito
perché permette di meglio valutare il percorso intellettuale
fatto dal grande filosofo rispetto al seminario di questanno
a Oakland e riportato nellarticolo precedente
«No, per favore, nessuna telecamera. Niente video. Spenga
anche quel registratore».
E come faccio a intervistarla? Non vuole che le sue parole vengano
riportate fedelmente?
In questo momento desidero soprattutto che lei mi ascolti. Voglio
comunicare direttamente
con lei. Senza passare attraverso un magnetofono.
Sono tutto orecchi.
Ormai non siamo più capaci di usare bene le nostre orecchie.
Gli strumenti tecnici di cui ci
siamo circondati hanno indebolito il nostro udito. Così come
anche tutti gli altri sensi.
Limpatto iniziale con Ivan Illich è
disarmante. Ecco qui il padre dei movimenti ambientalisti di
mezzo pianeta, ma non soltanto quello, il filosofo che per primo
nel 1971 teorizzò La convivialità
come unica difesa di fronte allalienazione della società
consumista. Herbert Marcuse distruggeva, lui assieme a Erich Fromm
ricostruiva una speranza invitando a Descolarizzare la società
o promuovendo la «medicina dolce» con Nemesi medica
(in tondo i titoli dei suoi libri più famosi, stampati a
milioni di copie in tutto il mondo e in Italia da Mondadori, Elèuthera,
Red).
Da anni, però, Illich è sparito. Poche pubblicazioni
(al massimo il testo di qualche rara conferenza), pochissimi convegni,
nessuna intervista. Coerente con se stesso e con il suo rifiuto
dei mass media («Inutili, anzi dannosi: forniscono uninformazione
a senso unico filtrata, asettica e predigerita») è
scomparso dalla scena pubblica. Ma a 71 anni questo geniale ebreo
ex teologo cattolico nato a Vienna non ha rinunciato a coltivare
una rete di rapporti «privati e privilegiati» in ogni
continente (dalluniversità messicana di Cuernavaca
a quella americana della Pennsylvania, a quella tedesca di Brema),
accettando ogni tanto linvito a riunioni o seminari. Lho
incontrato alla Fiera delle utopie concrete, appuntamento autunnale
a Città di Castello (Perugia) organizzato da Karl-Ludwig
Schibel, dove Illich è tornato dopo nove anni. Questanno
il tema dellincontro era Ludito e lascolto: il
primo di una serie di cinque, che con cadenza annuale fino al 2001
studieranno tutti i sensi delluomo. «Mi piace
la stravaganza erudita di queste
avventure intellettuali al di fuori delle mode dominanti»,
confessa Illich. «Ogni epoca ha trattato
udito, vista, olfatto, gusto e tatto in modi diversi. Il tema centrale
delle mie ricerche negli ultimi
anni è stato proprio lascesi dei sensi: larte
del soffrire e del godere, dellamare e del morire. Allo stesso
modo, in ogni periodo è esistita unarte specifica dellascoltare,
nonché unarte dello
sguardo».
E oggi?
Una volta una bambina di nove anni mi ha detto che nel corso del
pomeriggio aveva visto
«Kennedy, Reagan ed E.T. come vedo te». Il «vedere»
evidentemente per lei si è staccato
dallincontro. Fino al primo millennio lo sguardo era vissuto
come un raggio che cade dallocchio
sulloggetto. Questatteggiamento è stato rovesciato
da Keplero: locchio è diventato la porta
dingresso per i raggi del sole che consegnano, «come
i cavalieri della posta», la vista della cosa
alla retina. È il principio della camera oscura. Ma oggi
è in atto un ulteriore rovesciamento: tramite
locchio noi tutti siamo ingaggiati dagli schermi della televisione,
ci trasferiamo nellazione sullo
schermo. Locchio è stato arruolato al servizio del
medium.
Insomma, in singolare seppur involontaria sintonia con le tesi
di Giovanni Sartori, il quale
prende di mira lhomo videns, che tutto vede (in tv), ma poco
o nulla capisce, anche lei incolpa i media per la «perdita
di senso» che sembra attanagliare sempre di più il
cittadino
contemporaneo. Si ripete così il paradosso da lei evidenziato
ventanni fa: malati «arruolati» al servizio dei
medici, studenti «arruolati» al servizio dei professori
e non viceversa, mass media che creano la pubblica opinione invece
di rifletterla.
Esatto. Lesempio dei sistemi sanitari, che sono ormai strutture
elefantiache divoratrici di
soldi, è tipico. Il paziente moderno si affida con naturalezza
al medico, che gli descrive e gli spiega
la sua condizione sulla base di numerosi esami. Ma questo è
un comportamento che non esisteva
fino al Novecento. Prima il paziente andava dal proprio medico per
mostrarsi a lui e per esporgli le
sue lamentele. Occasionalmente il medico sentiva o degustava la
sua urina. Anche le persone più
povere e analfabete si confidavano con il dottore con una precisione
incredibile. Compito del
medico era interpretare la storia dei dolori del paziente, partendo
da lì per la cura. Oggi invece non
cè più ascolto: gli specialisti si appoggiano
a valanghe di esami. Ma se qualcuno alla domanda
«come ti senti?» mi rispondesse con la pressione sanguigna
e il livello ormonale, vorrei vomitare.
Invece, questo è proprio ciò che accade oggi.
La «realtà virtuale» oggi porta allestremo
la scissione fra percezioni sensoriali e mondo fisico reale.
Sì. Sempre di più non vediamo le cose dove sono tangibili,
non le vediamo in un modo in cui
possano essere toccate. Sempre più spesso diventa una nostra
abitudine prendere sul serio delle voci
senza corpo al telefono. Ma attenzione: non sta per sparire soltanto
quella che gli antichi
chiamavano sin-estesia, cioè la collaborazione fra i diversi
sensi. Perfino il «senso comune», che
rendeva possibile la percezione sensoriale dellintonazione
giusta, del rispetto, della proporzionalità
sensata, appartiene ormai al passato.
Ma si possono distinguere, nella storia, periodi caratterizzati
dalluso privilegiato di un senso:
lepoca dellolfatto, della vista, del tatto, dellascolto,
della parola?
È difficile immaginare oggi cosa succedeva in un teatro greco
500 anni avanti Cristo. Era
qualcosa che Platone trovava indecente: le maschere (coscientemente
non parlo di «attori»)non
avevano spettatori (theoretes), ma ascoltatori (akouontes), che
si lasciavano trascinare nel ritmo, nel
tatto, nelle cadenze, nelle melodie dello spettacolo, presentato
senza alcun atteggiamento critico.
Platone cercò invece di promuovere il «guardare»
gli spettacoli, e pretendeva addirittura che nel suo
stato ideale certi tipi di melodie fossero vietate del tutto.
Nulla sembra cambiato rispetto a quarantanni fa, con le
accuse al rock di essere la «musica del diavolo», o
rispetto a oggi, con le polemiche degli odierni cinquantenni (i
rockers di ieri)contro i ritmi techno, house o garage che stordirebbero
le nuove generazioni.
Certo. Ma già Aristotele criticò su questo il
suo maestro Platone, perché secondo lui una
limitazione al solo «guardare» non coglieva la sostanza
della tragedia. La tragedia è invece mimesis
praxeos, cioè «lesecuzione coinvolgente in unazione»,
una risonanza con qualcosa che
lascoltatore deve capire in modo quasi tattile.
NellItalia dei nostri giorni la riscoperta della parola
è testimoniata dal calo degli spettatori
televisivi, dallaumento di quelli radiofonici e del teatro,
dal successo dei talk show e di
spettacoli come quello di Marco Paolini, con il suo eccezionale
monologo sul Vajont.
Purtroppo non conosco lItalia di oggi. Ma secondo Aristotele
lartista-oratore nel teatro,
nellinsegnamento, e anche in politica, può coinvolgere
completamente lascoltatore-spettatore
soltanto con la mimesis, lesperienza di una nascita. Solo
così può promuovere il pathei mathos,
l«imparare a soffrire» da coloro che hanno vissuto
una forma di sofferenza...»
Con il rischio di cadere nella «tv del dolore»...
... ma sempre Aristotele, nel suo Poetica, sottolinea come la presentazione
visiva della
sofferenza nel caso migliore può servire come «segno»
(semeia), senza produrre grandi effetti sullo
stato dello spettatore. Invece lorazione artistica e la melodia
possono modellare il carattere
dellascoltatore, mettendogli le ali per partecipare fisicamente.
Qual è il tipo di ascolto che lei, fondatore dellecologia
moderna, considera più «sano»?
Quello della comunicazione diretta, fra persone che possono guardarsi
in faccia. Un dialogo
che coinvolge lorecchio, ma anche la vista: «Ti do me
stesso attraverso le pupille dei miei occhi».
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