Si e già detto e scritto molto, sia a livello
locale che nazionale, sull'efficienza del sistema produttivo sviluppatesi
nel Veneto a partire dal secondo dopoguerra. A questo successo hanno
contribuito peculiari scelte di vita e consolidate attitudini sociali,
rinvenibili specialmente negli anni di emigrazione e di duro lavoro,
ma anche nel conseguimento di oculate economie familiari che hanno
messo a disposizione sufficienti risparmi per lacquisto della
prima casa o dì un pezzo di terra. Questo giusto e lodevole
impegno nella corsa al benessere economico, producendo in modo spontaneo
e autonomo quello che viene definito il "modello veneto", senza
dubbio tra i più efficaci sistemi produttivi del mondo occidentale,
una volta conseguiti gli straordinari livelli di opulenza collettiva
a tutti noti, non ha saputo avviare una pausa di riflessione, di
valutare con calma il rovescio della medaglia e gli effetti collaterali,
di pensare in modo consapevole al nuovo status sociale ed esistenziale,
alla progressiva perdita di serenità.
La crescita dei redditi e le dinamiche incrementali sono come un
fiume in piena che ha travolto il buon senso, l'antica sacralità
che avvolgeva le abitudini quotidiane, le relazioni di vicinato,
penalizzando l'affetto che legava gli abitanti al proprio territorio.
Le strategie della speculazione, che consentono l'abnorme "spalmarsi"
di zone artigianali da vendere o affittare, non si cura di una ben
distribuita rete di impatti, che non sono unicamente visivi, ma
che danneggiano la riproducibilità stessa del vivere sociale,
come nel caso dello smaltimento dei rifiuti, l'abbassamento delle
gli incidenti mortali, i rifiuti tossici interrati abusivamente,
le balneabilità perdute lungo i nostri fiumi. E' inutile
andare oltre: sono storie di ordinari disagi che accomunano tutte
le regioni fortemente industrializzate, dove alla piena occupazione
degli autoctoni fa seguito la necessità di disporre di forza
lavoro esterna meno qualificata, ma essenziale per proseguire negli
implacabili programmi dì espansione.
Le rassicuranti icone del Veneto agreste sono comunque ancora ben
radicate, sia tra i turisti che ira gli stessi indigeni, e la loro
costante divulgazione a livello internazionale accentua ancor più
una preoccupante dissociazione tra geografie mentali e geografia
reale che di fatto corrisponde allo stridente contrasto tra un'armatura
territoriale intasata e alienante e le porzioni relitte, e isolate,
di bei paesaggio. Anche il Veneto, non diversamente dalla Provenza
e dalla Toscana, è ampiamente celebrato in un prestigioso
patrimonio di libri fotografici, calendari e articoli nelle patinate
riviste di viaggio o sul vivere country, e il tono di questa narrativa
geografica popolare è ovviamente encomiastico, del tutto
esente da alcun tentativo di critica cosciente alla miracolistica
territorialità dello sviluppo senza fine. L'elogio al Veneto
attraverso la scelta di accurate foto d'autore, che depurano le
fisionomie ereditate dai recenti ingombri prodotti da! boom economico,
esprime con evidenza un senso del luogo poco consapevole, del tutto
superficiale e impreparato a interpretare le coeve tendenze evolutive,
in cui prevale appunto un appagamento estetico ben distanziato dalle
reali fisionomie territoriali, lasciate così in pasto alle
pragmatiche aspettative esistenziali dei protagonisti del miracolo
economico. E per il turista consapevole, ma anche per l'autoctono
animato da topofilia, non è più possibile viaggiare
con serenità da Padova a Treviso, o da Vicenza a Verona e
non solo per l'assillo del caotico traffico veicolare, ma per il
continuo cambiamento dei panorami, per la continua alterazione delle
vedute familiari, per i cartelloni pubblicitari sempre più
volgari e invadenti, per il bieco oltraggio allo spazio inteso come
risorsa da consegnare intatta alle generazioni future, per tè
nuove strade da connettere alle nuove lottizzazioni artigianali.
L'amarezza si accentua imbattendosi anche in un numero crescente
di omaggi ai morti lungo i cigli delle strade- sono pietosi mazzi
di fiori appoggiati a croci o cippi anneriti dai gas di scarico
che rammentano le vittime del traffico su gomma, cadute in nome
della società del flussi economici, del vuoto etico delle
relazioni subordinate al mito del lavoro e dei consumi, a cui l'ex
Veneto dei contadini si è adeguato con rara efficienza.
E' su questo contesto dì presunto benessere, meglio definibile
come tranquillità economica, che e urgente riflettere e in
particolare sulla tipologia atropologica dell'homo iratus, cioè
gli stessi protagonisti del successo economico che sono sempre più
schiavi del loro lavoro, del loro traffico, del loro ammassarsi
nei luoghi della ricreazione collettiva. Sembra il momento di lasciare
spazio alla soggettività, fortemente repressa nei suoi aspetti
più intimi e poetici. L'opprimente rigore del produrre e
del rincorrere il presunto benessere deve quindi lasciare spazio
alla nostalgia, che potrebbe essere valutata come un diritto, come
un percorso mentale che produce geografie alternative, di resistenza
al rischio costante di oblio, di annullamento definitivo dei minimalismi
che compongono le realtà territoriali.
A questo proposito l'approccio geografico trae giovamento utilizzando
il paradigma del "microcosmo", così come È stato garbatamente
divulgato in una suggestiva narrazione di Claudio Magris dedicata
alla sua geografia del ricordo. Il rapporto tra microstorie e microcosmi
è dunque stretto e, allo stesso modo, la conoscenza e l'amore
per i limitati orizzonti delle nostre quotidianità, costituite
dalla casa, dalla strada, dalla scuola, dalla chiesa, dai volti
dei nostri cari, dalle relazioni sociali, hanno in sé gli
elementi culturali e spirituali per comprendere e apprezzare la
totalità del creato. I processi territoriali si intersecano
dunque con la dialettica umanista tra macro e microcosmo, dando
così avvio a una sottile abilità percettiva che utilizza,
nella formazione sociale della territoriatità, il substrato
emozionale dei sentimenti. Sono dunque queste le basi per un nuovo
senso dello star bene, con II proprio territorio e dopo con se stessi,
godendo della consapevole condivisione con un progetto comune, in
cui le pulsioni individuali siano bilanciate dal rispetto delle
regole e dalla coscienza di esistere.
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