Ordine e teoria dei sistemi 
  di Luca Baccelli fonte

      La teoria dei sistemi è nata come teoria biologica e ha svolto un ruolo di grande rilievo in discipline come la cibernetica, la psicologia, la teoria dell'informazione. La concezione sistemica dell'ordine è fortemente influenzata dai modelli epistemologici di queste discipline e dalle ricerche empiriche che esse hanno sviluppato. E d'altra parte quello di "ordine" è un concetto fondamentale in tutte le scienze che studiano scambi di materia, energia, informazione: a cominciare dalla fisica e in particolare dalla termodinamica. In questo intervento, tuttavia, prenderà in considerazione il problema dell'ordine esclusivamente dal punto di vista della sociologia, e in particolare della sociologia politica. Inoltre i miei riferimenti saranno limitati ad alcuni testi dei due maggiori sociologi funzionalisti contemporanei: Talcott Parsons e Niklas Luhmann.

      Il mio intento è quello di tracciare ' in modo forse un po' schematico ' una linea di lettura attraverso l'opera di questi autori. Il punto di partenza è la critica di Parsons dei tentativi di soluzione al problema dell'ordine sociale basati sull'idea che si produca spontaneamente una convergenza fra interessi individuali e utile collettivo. Contro il postulato della "mano invisibile" Parsons ricostruisce una teoria "volontaristica" dell'azione che, a partire dagli anni cinquanta, viene rielaborata in termini sistemici: l'ordine sociale è ora concepito in modo analogo all'equilibrio omeostatico dei sistemi biologici (par. 1). Ma in tutte le fasi del pensiero parsonsiano permane un approccio di tipo normativo: il mantenimento dell'ordine rimanda in ultima analisi a un set di valori e di norme condivisi nel sistema sociale (par. 2). Questo approccio viene superato solo con la riformulazione del funzionalismo da parte di Luhmann, che pone al centro dell'analisi sociologica il rapporto sistema/ambiente e il problema della riduzione della complessità . Tale riformulazione rende la teoria sistemica più adeguata alla tematizzazione del mutamento sociale (par. 3). Ma l'"apertura" del funzionalismo luhmanniano si dissolve con l'adozione della teoria dell'autopoiesis quale nuovo paradigma della teoria sistemica. Uno degli effetti paradossali di questa riformulazione è che la sociologia di Luhmann torna ad echeggiare la nozione di "ordine spontaneo" dalla cui critica aveva preso le mosse la teoria sociale di Parsons (par. 4). Un notevole tentativo di ricollegare il paradigma sistemico all'approccio normativo, superando le aporie dell'impostazione parsonsiana e salvando le prestazioni cognitive del funzionalismo luhmanniano, è stato compiuto più recentemente da Jà¼rgen Habermas. Alla discussione di questo tentativo dedicherà il paragrafo finale (par. 5). 

 1. Parsons: il problema hobbesiano dell'ordine

      La sociologia funzionalista ha sempre privilegiato il punto di vista dell'ordine sociale. La società  viene concepita come un insieme di parti interconnesse, caratterizzato da un determinato stato di equilibrio e da meccanismi che tendono a ristabilirlo una volta che questo venga perturbato. E non c'è dubbio che l'ordine sociale è il problema teorico di Talcott Parsons, fin dalla sua prima opera di ampio respiro, The Structure of Social Action 1. Tale problema, secondo Parsons, era stato posto nella maniera più lucida e coerente da Thomas Hobbes. Parsons interpreta la teoria politica hobbesiana come un caso di utilitarismo puro: il fine dell'azione umana è il soddisfacimento delle passioni. "Il bene è semplicemente cià che ogni uomo desidera" 2, e gli individui perseguono questo fine in modo pienamente razionale, nel senso che adottano i mezzi più efficaci nella situazione data. Ma i mezzi più efficaci di cui gli uomini dispongono sono la forza e la frode. Ne risulta una "naturale" condizione di inimicizia reciproca. Lo stato di natura si identifica con lo stato di guerra.

      Secondo Parsons, finchè si mantiene l'approccio utilitaristico è impossibile risolvere il problema dell'ordine 3. Particolarmente deboli gli appaiono le soluzioni che, da Locke in poi, presuppongono "un meccanismo automatico autoregolantesi, il quale opera in modo che il perseguimento degli interessi e degli obiettivi personali del singolo abbia come risultato la maggiore soddisfazione possibile delle esigenze di tutti" 4. Supporre l'identità  naturale degli interessi significa introdurre surrettiziamente un elemento metafisico. Per contro l'ordine sociale richiede una regolamentazione normativa del potere. àˆ cioè necessaria una forma di integrazione sociale che presupponga il rispetto reverenziale di un'autorità  morale, la condivisione di un sistema di valori imperativo, e anche un certo livello di interiorizzazione delle norme stesse 5.

      Questa "integrazione di valori comuni" si puà comprendere solo attraverso una teoria normativa dell'azione. Parsons esamina le opere di Alfred Marshall, à‰mile Durkheim, Vilfredo Pareto, Max Weber, considerandole come tappe successive che portano all'abbandono dell'utilitarismo e del positivismo. Partendo da presupposti filosofici e metodologici assai differenziati, questi autori superano l'idea che l'integrazione sociale si ottenga spontaneamente, grazie a meccanismi autoregolativi simili a quelli del mercato. In tal modo essi convergono nell'elaborare elementi significativi della "teoria volontaristica dell'azione" e nel riconoscere il ruolo indispensabile dell'elemento normativo nella produzione dell'ordine sociale.

      In questa prima fase di elaborazione nella teoria parsonsiana dell'azione ricorre più volte il termine "sistema"; ma esso non ha alcuna specifica connotazione semantica. àˆ solo con le opere dei primi anni cinquanta che muta l'approccio: a partire da The Social System diviene fondamentale l'idea che i sistemi devono provvedere alla loro stabilità  nelle condizioni di un ambiente variabile, che essi sono in grado di controllare solo in parte, e devono salvaguardare la stabilità  dei loro confini rispetto all'ambiente. La proprietà  fondamentale del sistema è l'interdipendenza delle sue parti: "l'interdipendenza è ordine nella relazione fra le componenti che fanno parte di un sistema" 6. L'ordine tende alla self-manteinance, cioè alla ricostituzione dell'equilibrio. 

      Questa è la tendenza a mantenere l'equilibrio [...] entro certi confini relativi a un ambiente, confini che non sono imposti dall'esterno ma conservati dalle proprietà  delle variabili costituenti che operano nel sistema. L'esempio più familiare è l'organismo vivente, un sistema fisiochimico che non è assimilato alle condizioni fisiochimiche dell'ambiente, ma mantiene determinate proprietà  in relazione all'ambiente. Per esempio, il mantenimento della temperatura corporea costante del mammifero necessita di processi che mediano l'interdipendenza fra i sistemi interni ed esterni rispetto alla temperatura; questi processi mantengono costante la temperatura in rapporto a un ampio intervallo di variabilità  nella temperatura ambientale 7

      L'ordine sociale è dunque pensato sul modello dell'equilibrio omeostatico: una perturbazione dell'ordine, indotta da cause endogene o dall'ambiente, stimola processi che tendono a riportare il sistema alla condizione iniziale di equilibrio 8.

      Utilizzando questo concetto di sistema Parsons riformula interamente la sua teoria. Il suo punto di partenza sono ora i quattro fondamentali sistemi di azione: il sistema culturale, il sistema sociale, il sistema della personalità , il sistema organico. L'affermazione del paradigma sistemico non significa perà un abbandono dell'approccio normativo. In primo luogo, infatti, Parsons attribuisce un ruolo primario al sistema culturale. Sono gli standard normativi a definire gli scopi e il modo di comportarsi degli attori. Inoltre, il fondamentale problema funzionale del sistema sociale consiste nel "minimizzare un comportamento potenziale di rottura"; è insomma il "problema motivazionale dell'ordine" 9. E un "ordine", cioè un'interazione stabile, è possibile solo se gli atti di valutazione dei soggetti sono orientati in vista dei "criteri culturali normativi che integrano il sistema di azione" 10.

      Entro la collettività  viene cosଠa diffondersi, attraverso la partecipazione a comuni modelli di valore, un sentimento di solidarietà , che esprime la condivisione delle responsabilità  e l'interiorizzazione delle norme istituzionalizzate 11. Per ottenere un alto livello di integrazione sociale è infatti necessario coinvolgere "gli strati 'più profondi' della motivazione". In tal caso c'è una convergenza fra interessi della collettività  e interessi privati dei suoi membri 12. I valori morali rappresentano il livello più elevato dei fattori integrativi. A questo livello, la conservazione dell'integrità  e della solidarietà  del sistema di interazione costituisce essa stessa un valore. Il convergere delle motivazioni degli attori ha prodotto una "lealtà " nei confronti della collettività : diviene decisiva la domanda "sei con noi o contro di noi?" 13.

      Ma in che modo i valori del sistema culturale orientano l'azione degli individui? Per Parsons, l'azione umana è intrinsecamente contingente. Ed è tipica di sistemi di azione la "doppia contingenza": dato che nell'interazione sono coinvolti più soggetti, alla contingenza della scelta di Ego si aggiunge quella della scelta di Alter. Tuttavia le scelte non sono arbitrarie; l'attore sociale, in quanto impersona un ruolo, è orientato dalle norme che ha appreso nel corso del processo di socializzazione. àˆ attraverso la socializzazione che i soggetti interiorizzano gli orientamenti tipici dei "ruoli" che si trovano a svolgere nel sistema sociale. Ma anche se la socializzazione ha avuto successo, sussistono inevitabilmente tendenze alla deviazione che non possono essere tollerate oltre certi limiti, pena la disgregazione del sistema sociale. àˆ cosଠnecessaria l'azione riequilibratrice dei meccanismi di controllo sociale.

      La peculiarità  dell'approccio di Parsons al problema dell'ordine emerge in quella che egli definisce "la prima legge del processo sociale": l'assunzione che "la continuità  di un processo motivazionale stabilizzato, in relazione stabilizzata con gli oggetti relativi, debba essere considerata non problematica" 14. Il fatto che Parsons paragoni questo postulato alla legge fisica d'inerzia è una delle attestazioni più chiare che il suo punto di vista è quello della "conservazione" del sistema più che della sua trasformazione, dell'ordine più che del conflitto. Il sistema tende dunque a perseverare nella sua condizione di ordine, mentre sono le tendenze all'alterazione di tale stato a costituire un problema sociologico 15. Dato che l'integrazione sociale si realizza solo se vengono coinvolti nel processo i bisogni degli individui, i loro affetti, il loro desiderio di essere gratificati, la formazione di "interessi costituiti" 16 risponde a un imperativo sistemico. Ma proprio per questo, ogni volta che una tensione perturba l'ordine, provoca dei processi riequilibratori. La pervasività  e la forza di queste motivazioni spiegano perchè i processi di mutamento spesso non si verificano e quasi mai ottengono i risultati previsti. In questa prospettiva, sia i fenomeni devianti sia i processi di mutamento finiscono per essere funzionalizzati alla ricostituzione dell'ordine sociale o devono comunque "venire a patti" con le esigenze integrative del sistema sociale 17. Da un lato, dunque, è evidente il riferimento di Parsons al paradigma biologico: l'alterazione dell'ordine provoca processi riequilibratori analoghi a quelli che ristabiliscono l'equilibrio omeostatico negli organismi viventi; ma i meccanismi che permettono di stabilire e mantenere l'ordine (socializzazione, controllo sociale, funzionalizzazione del mutamento) sono incomprensibili se si prescinde dalla dimensione normativa. In The Social System, come già  in The Structure of Social Action, il "problema hobbesiano dell'ordine" puà essere risolto solo se si fa riferimento a un insieme di valori e di norme condivisi. 

  2. Parsons: la teoria sistemica. 

      Nel corso degli anni cinquanta e sessanta il carattere sistemico della sociologia di Parsons diviene sempre più marcato. La principale innovazione teorica, immediatamente successiva a The Social System, è l'introduzione del cosiddetto "modello AGIL" che gli permette di costruire un'immagine unitaria del sistema sociale. Secondo Parsons, i problemi che tutti i sistemi di azione devono risolvere per conservarsi e svilupparsi possono essere inquadrati nelle quattro funzioni fondamentali, o categorie funzionali: l'adattamento (A), il raggiungimento dei fini (goal-attainement ' G), l'integrazione (I), il mantenimento della struttura latente e la gestione delle tensioni (L).

      Nei sistemi sociali moderni le prime tre funzioni sono assicurate, rispettivamente, dall'economia, dalle istituzioni politiche e dall'ordinamento giuridico. E sono istituzioni come la famiglia, la religione, la scuola a sostenere l'impegno morale e a mantenere la struttura latente di valore. Questa differenziazione sistemica è il portato dell'evoluzione sociale: nelle società  primitive le stesse strutture soddisfano a molteplici esigenze funzionali. I sistemi sociali vengono considerati aperti, "impegnati in un continuo interscambio di energia tra i loro ambienti", e d'altra parte "differenziati all'interno in vari ordini di sottosistemi che sono anche continuamente coinvolti nei processi di interscambio" 18.

      Allo schema AGIL sono ricondotti i quattro fondamentali sistemi di azione: il sistema organico si colloca nella dimensione dell'adattamento; il sistema della personalità  in quella del perseguimento di fini; il sistema sociale ha funzioni integrative e il sistema culturale coincide con la struttura latente. Vi sono poi due ulteriori livelli, che costituiscono gli ambienti dell'azione nel suo complesso: "al di sotto" dei quattro sistemi dell'azione c'è l'ambiente fisico-organico; "al di sopra", nel dominio del trascendente, sta la "realtà  ultima", che entra in gioco nei "problemi di significato" 19.

      Nonostante questo sviluppo del paradigma sistemico l'elemento normativo rimane ben presente nella teoria sociale di Parsons. Anzi, è proprio grazie al modello AGIL che egli ordina secondo uno schema gerarchico e lineare i sistemi di azione; infatti, egli scrive: "i sistemi con un alto grado di informazione ma un basso livello di energia regolano i sistemi con un rapporto inverso" 20. La successione è dunque sistema culturale (L) sistema sociale (i) sistema della personalità  (G) organismo (A). Al livello più basso stanno i fattori dell'ambiente biologico e fisico. Al livello più alto della gerarchia di controllo, il sistema culturale garantisce l'impegno morale verso i valori condivisi, che come abbiamo visto costituisce la stessa essenza della socializzazione 21. Il sistema culturale fornisce inoltre ragioni in virtù delle quali agire conformemente all'ordine istituzionalizzato è "giusto". Parsons evidenzia l'indipendenza della funzione di legittimazione dell'ordine dalle necessità  funzionali che si collocano a un livello inferiore della gerarchia di controllo. Vi è invece un significativo rapporto di dipendenza dal livello più elevato, dalla realtà  ultima. In ultima analisi, il fondamento della legittimità  è sempre in un certo senso "religioso" 22.

      Oltre a questa gerarchizzazione dei sistemi di azione, dalla realtà  ultima, ai valori culturali, via via fino all'ambiente fisico-organico, espressione significativa dell'impostazione parsonsiana è il ruolo fondamentale delle norme per il mantenimento dell'equilibrio fra le parti. 

      Il nucleo di una società , come sistema, è costituito da un ordine normativo tipizzato, per mezzo del quale la vita di una popolazione viene organizzata in forma collettiva. Come ordinamento, esso contiene valori, norme e regole particolareggiati e differenziati che richiedono un riferimento culturale per poter essere significativi e legittimi. Come collettività  esso elabora una concezione tipica della cittadinanza che distingue tra gli individui che vi appartengono e quelli che non vi appartengono. [...] Per sopravvivere e svilupparsi, una comunità  sociale deve difendere l'integrità  di un comune orientamento culturale, largamente (se non uniformemente o unanimemente) condiviso dai suoi membri, come fondamento della sua identità  sociale 23

      La stessa definizione dei criteri in base ai quali si è membri del sistema include elementi normativi 24. Con lo sviluppo della differenziazione sociale il problema dell'appartenenza si complica. Nelle società  differenziate, è diffuso il fenomeno del pluralismo dei ruoli: gli stessi individui ricoprono ruoli in comunità  diverse (l'ambiente lavorativo, la famiglia, le associazioni, le chiese ecc.) e possono appartenere a tante comunità  quanti sono i ruoli che svolgono. Si trovano cosଠcoinvolti in più obblighi di solidarietà  e di lealtà  con le comunità  di cui fanno parte 25. Proprio per questo, la lealtà  verso la comunità  sociale deve essere sovraordinata gerarchicamente alle altre 26.

      Perchè il sistema politico ' deputato al goal-attainement ' riesca a mantenere l'ordine in una situazione come quella della società  moderna, è necessario insomma il concorso di fattori differenti: gli interessi dei membri, la "lealtà ", il consenso, la coercizione istituzionalizzata. àˆ necessario che "valori e norme della società  vengano fatti propri dai suoi membri, poichè tale socializzazione si fonda su una base consensuale di una comunità  sociale". La socializzazione è rafforzata dal fatto che risponda anche a "interessi" politici ed economici degli attori, ma perchè l'ordine rimanga stabile è necessario che gli interessi siano fondati "sulla solidarietà  e su un interiore sentimento di lealtà  e del dovere" 27.

      Nonostante la grande complessità  delle categorie che introduce, l'articolazione a volte esasperante degli schemi interpretativi e la difficoltà  del suo linguaggio ' che qui sono state drasticamente semplificate ', mi pare sia innegabile la capacità  esplicativa della teoria sociale di Parsons. L'accostamento fra teoria normativa dell'azione e teoria sistemica sconta probabilmente un certo eclettismo, ma offre un'immagine articolata e multidimensionale della società . La sociologia di Parsons utilizza i modelli interpretativi e le acquisizioni teoriche della biologia ' la disciplina nella quale egli si è formato ' a cominciare dall'equilibrio omeostatico e dal rapporto organismo/ambiente. Ma è altrettanto evidente che nella specificazione dei meccanismi di socializzazione viene attribuito grande rilievo ad elementi simbolici, giuridici, politici, morali. Parsons mette a frutto i risultati di discipline come l'etnologia, la psicoanalisi, la sociologia della religione, ma queste molteplici dimensioni vengono ricondotte a un ordine gerarchico: la specificazione funzionale dei sottosistemi rimanda a un loro ordinamento lineare.

      L'approccio "olistico" dimostra in Parsons la sua fecondità  euristica, e appare difficilmente superabile, nonostante i lodevoli tentativi dell'individualismo metodologico di ricondurre tutta la teoria sociale a spiegazioni monocausali e ad atti individuali. Ma sarebbe difficile negare che almeno alcune delle argomentazioni proposte dai critici che hanno visto nella teoria di Parsons la legittimazione dello statu quo siano condivisibili. Parsons sostiene che una "buona" teoria è in grado di rendere conto allo stesso modo dei problemi del mutamento e di quelli della stabilità  28, e il suo contributo all'analisi dell'evoluzione sociale è senza dubbio di rilievo. Ma il suo approccio è, per cosଠdire, "strutturalmente conservatore". Non intendo qui attribuire al termine "conservatore" alcuna valenza assiologica o politica. Intendo soltanto sostenere che la teoria di Parsons, per il punto di vista che assume e per il tipo di collegamento che stabilisce fra lo strumentario concettuale della teoria sistemica e la teoria normativa dell'azione, è configurata nella prospettiva della conservazione e dell'adattamento del sistema. In questo modo, non c'è dubbio che emerga un'immagine armonicistica della società , che tende a oscurare le tensioni e i conflitti. E soprattutto Parsons non si interroga sulle patologie sociali che i meccanismi "riequilibratori" del sistema possono produrre, sui prezzi che gli individui, e in particolare gli appartenenti ai gruppi svantaggiati, debbono pagare per il ristabilimento dell'ordine sistemico. L'interesse di Parsons per i processi di integrazione, il "nucleo" del sistema sociale, finisce per lasciare in ombra quello che avviene ai suoi margini. 

 3. Luhmann: sistema e ambiente, senso e complessità . 

      L'opera di Niklas Luhmann segna una svolta nella teoria sistemica. Gli elementi di continuità  con la teoria di Parsons sono innegabili, ma si puà senz'altro sostenere che Luhmann riformula interamente il funzionalismo in quanto teoria sociologica sistematica, alla luce di un legame teorico più diretto con la General System Theory, nella "classica" formulazione di Ludwig von Bertalanffy 29. La principale implicazione epistemologica di questa nuova impostazione è l'abbandono di quello che Luhmann definisce "causalismo ontologico". Se si pretende di spiegare un fenomeno sociale in base a un rapporto lineare causa-effetto, egli sostiene, si finisce per ricadere in una concezione deterministica e ontologico-metafisica dell'ordine sociale. Nei sistemi sociali, invece, non solo nessuna causa è sufficiente a produrre un determinato effetto, ma nessuna causa o pluralità  di cause produce un solo effetto.

      Pertinente all'analisi sociologica è invece il concetto di funzione. "Funzione" designa "uno schema regolativo dotato di senso, che organizza un ambito comparativo fra prestazioni equivalenti" 30. Luhmann introduce la nozione di "equivalenza funzionale", che denota un rapporto di relativa invarianza fra fenomeni. Il comportamento "equifinale" è una delle caratteristiche dei sistemi aperti. Cià vale per i sistemi biologici come per i sistemi sociali: le conquiste evolutive non dipendono da processi monocausali, da fattori determinanti, ma da una pluralità  di circostanze che risulta indeterminata.

      Una nozione centrale della teoria sistemica di Luhmann è quella di "senso". Si tratta di un concetto plurisemico, dalle molteplici accezioni e dalla difficile definizione. In generale, esso viene inteso come "comprensione e riduzione della complessità  del mondo". Il "senso" è dunque il principio attraverso il quale i sistemi sociali si costituiscono, e insieme la loro strategia di comportamento selettivo. àˆ attribuendo "senso" che i sistemi sociali riducono la complessità  del mondo; ed è attraverso l'attribuzione di senso che essi si delimitano rispetto all'ambiente esterno.

      Queste innovazioni epistemologiche configurano quello che Luhmann stesso definisce il passaggio "dalla teoria sistemica di tipo struttural-funzionalistico a quella di tipo funzional-strutturalistico" 31. Nella teoria sistemica tradizionale la struttura ha la preminenza sulla funzione: dal punto di vista logico, l'esistenza dei sistemi sociali composti di determinate strutture precede il problema delle prestazioni funzionali necessarie a conservare la loro esistenza. Il sistema è visto come un "insieme" composto da "parti". àˆ in relazione a questo primato della struttura che i critici di Parsons lo hanno accusato di conservatorismo, hanno colto nella sua teoria la surrettizia attribuzione di un carattere armonico alla società  e l'implicita legittimazione dello statu quo. Secondo Luhmann, per quanto la teoria sistemica riesca abbastanza agevolmente a rispondere a queste obiezioni dimostrando che anche nei sistemi vi è spazio per il mutamento e il conflitto, va riconosciuta nella stessa impostazione teorica una carenza di fondo. La teoria di tipo struttural-funzionalistico, proprio in quanto antepone la struttura alla funzione, "si priva del tutto della possibilità  di problematizzare le strutture e di affrontare non solo il problema del senso della creazione di strutture, ma anche quello del senso della formazione stessa di sistemi" 32.

      Da un approccio che si concentrava sull'ordinamento interno del sistema e presupponeva l'esistenza di un "ordine" fra le sue parti si passa a un approccio che muove dal rapporto fra sistema e ambiente. Con l'impostazione "funzional-strutturalistica" diviene possibile "disfarsi del presupposto di un ordine interno già  di volta in volta determinato e strutturalmente pre-disegnato". Al centro dell'analisi è posta la funzione specifica dei sistemi: cogliere e ridurre la complessità  del mondo 33. Entra qui in gioco la parola-chiave del funzionalstrutturalismo luhmanniano: quella di complessità , che puà essere definita come "la totalità  degli eventi possibili" 34. Questa nozione, estremamente sfuggente, acquista determinatezza nella prospettiva dell'interrelazione fra sistema e ambiente. Luhmann riprende dall'antropologia filosofica di Arnold Gehlen l'idea di una discrepanza fra cià i che i soggetti immaginano e comprendono del mondo e le possibilità  effettivamente offerte alla loro azione. Da tale discrepanza, esperita come un rischio e una minaccia, nascono la complessità  e l'esigenza di selezionare le alternative possibili e con cià di ridurre la complessità . I sistemi sociali mediano cosଠfra la complessità  del mondo e gli individui. Il primo passo è la stessa formazione dei sistemi, lo stabilire una differenza fra un "dentro" e un "fuori", che "permette di formare isole a complessità  ridotta entro il mondo e mantenerle costanti" 35. Luhmann tiene inoltre presente il teorema cibernetico della requisite variety, formulato da Ashby. I sistemi sono in grado di reagire alla complessità  dell'ambiente in quanto sviluppano la propria complessità  interna; un sistema complesso è in grado di assumere più di uno stato, quindi dispone di una pluralità  di possibilità .

      Dalla nuova concezione del sistema deriva una nuova concezione dell'ordine e della stabilità . Il modello non è più quello dell'equilibrio omeostatico: 

      la stabilità  non è più considerata come l'essenza vera e propria di un sistema che escluda altre possibilità ; al contrario, è la stabilizzazione di un sistema che viene colta come problema da risolvere in presenza di un ambiente mutevole, che si modifica indipendentemente dal sistema e senza tenerne conto e che rende percià indispensabile un costante orientamento rispetto ad altre possibilità . Cosଠla stabilità  non puà più essere intesa come una sostanza invariabile, ma viene concepita come una relazione fra sistema e ambiente, come invariabilità  relativa della struttura sistemica e dei confini del sistema di fronte a un ambiente variabile 36

      Con il superamento del funzionalismo tradizionale, la prospettiva non è più quella della stabilità , ma quella dei problemi 37. A un problema possono esserci più soluzioni "equifinali", incluso il mutamento della struttura stessa. L'idea di fondo è che "l'invarianza deve sempre essere strappata a un ambiente avverso, ricorrendo a una combinazione particolare di prestazioni sistemiche, e che essa resta in tal modo problematica" 38. Tutto questo implica una minore rigidità  e una maggiore apertura dell'analisi sistemica ai problemi del mutamento.

      Una strategia fondamentale per la riduzione della complessità  è la "stabilizzazione delle aspettative di comportamento", le quali devono rimanere "impermeabili" alle delusioni che possono avvenire nei singoli casi, devono rimanere costanti anche con il cambiare delle situazioni e poter riscuotere un ampio consenso. Queste tre funzioni sono assicurate dalle norme, dai ruoli e dalle istituzioni 39. L'istituzionalizzazione delle aspettative di comportamento permette di ovviare entro certi termini al problema del dissenso: l'onere dell'iniziativa è tutto sulle spalle del dissenziente, costretto a contraddire quella che viene considerata l'opinione diffusa adducendo motivazioni e ragioni. Dato che comportamenti di questo tipo richiedono un notevole impegno individuale, "le istituzioni sono in grado di sopravvivere per molto tempo anche alla perdita di un consenso effettivo" 40.

      Ma la generalizzazione delle aspettative di comportamento permette di fronteggiare la complessità  dell'ambiente solo entro certi limiti, oltre i quali esse finiscono per diventare troppo generalizzate o troppo contraddittorie. A questo punto la crescita del sistema puà avvenire solo mediante la differenziazione: all'interno del sistema si autonomizzano sottosistemi con propri confini 41. In questo modo "i fattori interni al sistema possono essere trattati come un ambiente ed essere sottoposti a un'ulteriore selezione sulla base dei confini sistemici" 42, il che permette di isolare all'interno dei sottosistemi una buona parte delle perturbazioni, trasmettendo solo gli effetti funzionali 43.

      àˆ in questi termini che Luhmann vede l'evoluzione delle società : mentre le società  arcaiche possono essere concepite come un sistema pressochè indifferenziato, in quelle moderne i sottosistemi politici, economici, giuridici acquistano autonomia funzionale e si differenziano l'uno dall'altro 44. Tale autonomia significa anche che alla sensibilità  del sottosistema per determinati problemi si aggiunge l'indifferenza per gli altri. Inoltre ' e in questo Luhmann si allontana notevolmente dal normativismo di Parsons e dalla sua idea di un nucleo dell'integrazione sociale e di una gerarchizzazione cibernetica dei sistemi ' "una società  articolata in sottosistemi non dispone di alcun organo centrale. àˆ una società  senza vertice e senza centro" 45

      Cià assume un rilievo del tutto particolare per il sistema politico. La funzione politica emerge nei suoi tratti peculiari, distinta dall'ambito religioso, economico, culturale, militare, familiare, attraverso una sorta di divisione sociale del lavoro. Il sistema politico è ora in grado di decidere e le sue decisioni divengono vincolanti. Ma tale capacità  deve essere rafforzata in seguito all'aumento della complessità  sociale, che sottopone al sistema politico un numero crescente di problemi da risolvere. Proprio per questo esso deve mantenere un elevato livello di fluidità , "essere in grado di combinare, e conseguentemente di bilanciare, le motivazioni più diverse, incompatibili tra loro, in modo che si realizzi un'accettazione spontanea e quasi priva di motivazioni delle decisioni vincolanti" 46. àˆ evidente la distanza di tali considerazioni dal normativismo parsonsiano. La complessità  sociale rende improponibili, nei sistemi sociali moderni, soluzioni unilineari al problema dell'ordine. Per il sistema politico è di vitale importanza mantenere il massimo di apertura e di indeterminatezza compatibile con la sua stabilità ; un sistema politico differenziato è costretto a conseguire la stabilità  utilizzando le possibilità  offerte dal mutamento, a ottenere la sicurezza attraverso la conservazione dell'insicurezza 47. La via obbligata è lo sviluppo di strutture tali da fare "in modo che l'alta complessità  stessa diventi un fattore di stabilizzazione" 48.

      Questa esigenza paradossale viene soddisfatta da strutture processuali e "riflessive". Ad esempio, la positivizzazione del diritto significa attribuire legittimità  alla legalità : il diritto viene rispettato perchè è stato posto secondo determinate regole giuridiche. Cià puà avvenire a condizione che l'ordinamento giuridico sia divenuto tanto complesso da non potere essere cambiato se non attraverso una ristrutturazione che muova dall'ordinamento esistente. E la fonte di legittimità  dello Stato moderno risiede nella stessa autonomia funzionale del sistema politico che offre prestazioni tali da non richiedere più un consenso consapevole e motivato da parte dei soggetti. "Il sistema politico legittima se stesso". Luhmann parla di "legittimazione attraverso procedure" alludendo a una prestazione tipicamente "circolare": i partiti in definitiva legittimano se stessi, intervenendo sulle motivazioni dei cittadini, plasmando le loro aspettative, creando "consenso". Non c'è infatti da attendersi un consenso esplicito alle decisioni governative: i cittadini si dimostrano disposti a obbedire "senza particolari motivazioni". Ma questo è possibile solo se viene soddisfatta l'esigenza di mantenere il sistema aperto a un certo numero di alternative. Viene dunque abbandonato "il riferimento del concetto di legittimità  a norme e valori ultimativi, oppure alla diffusione effettiva della convinzione della validità  di norme e valori ultimativi" 49. Un riferimento che, come abbiamo visto, era ben presente nella teoria di Parsons.

      Inoltre, lo sviluppo della complessità  sociale comporta una diminuzione relativa dell'attenzione consapevole da parte del pubblico. Essa implica infatti un aumento del flusso di informazioni e di problemi. Di fronte a questa dilatazione dell'esperienza, l'attenzione politica diviene un bene scarso. Occorre allora sfruttare nel modo migliore la limitata quantità  di esperienza disponibile, dunque "economizzare il consenso".

      Cià avviene attraverso l'istituzionalizzazione delle "aspettative di aspettative", una sorta di generalizzazione del principio secondo cui "chi tace acconsente". Le istituzioni sono legittimate in quanto "quasi tutti ammettono che quasi tutti sono d'accordo. Da cià risultano una stabilità  e una sensibilità  maggiori rispetto al consenso fattuale" 50. L'ordine sociale si fonda insomma sul mantenere latenti la maggior parte delle deviazioni e su una sopravvalutazione strategica delle chances di consenso.

      Questa visione del sistema e dei rapporti fra sottosistemi significa che al sistema politico non puà essere attribuita la funzione di indirizzare e dirigere l'intero sistema sociale, nè esso puà sostenere il ruolo di "portavoce" o di "rappresentante" della società . L'idea di vedere "lo Stato e la politica come centri di controllo della società ", dunque la pretesa di "assegnare alla politica, di fronte alla situazione globale del sistema politico, di nuovo, una responsabilità  globale", accomuna nella teoria politica il neoaristotelismo e il marxismo. Ma si tratta, secondo Luhmann, di un'illusione regressiva, della pretesa di riproporre condizioni tipiche della società  indifferenziata premoderna. Per Luhmann "non si puà centrare sulla politica una società  funzionalmente differenziata senza distruggerla" 51

4. L'autopoiesis: il ritorno della mano invisibile. 

      I concetti della teoria generale dei sistemi permettono a Luhmann di ricondurre l'analisi della società  entro un quadro unitario. In questo modo egli supera una certa tensione che permane nell'opera di Parsons fra il normativismo e le acquisizioni del funzionalismo sistemico. Parsons, come abbiamo visto, individua una sorta di gerarchia cibernetica unilineare, che va dai sistemi a bassa energia e alta informazione ai sistemi ad alta energia e bassa informazione: dal sistema culturale, al sistema sociale, al sistema della personalità , all'organismo, secondo lo schema L -1 - G - A (o addirittura dalla "realtà  ultima", che conferisce un'aura "religiosa" alla legittimazione dell'ordine, all'ambiente fisico e biologico). In Luhmann, invece, l'abbandono del causalismo ontologico, il principio dell'equivalenza funzionale e l'approccio per problemi rendono impensabile una rigida gerarchia di questo tipo. Il punto di partenza è il mondo con la sua complessità  e la riduzione della complessità  è possibile attraverso la formazione di insiemi di azioni dotati di senso. Nel rapporto sistema/ambiente si pongono una serie di problemi che possono essere affrontati attraverso vie differenti, equifinali. Questa impostazione epistemologica esclude che nell'universo sociale di Luhmann possano esserci strutture sovraordinate, "nuclei" o organi "centrali" del sistema.

      Mentre l'enfasi di Parsons su termini come "lealtà " e "obbedienza" implica, in ultima analisi, un'adesione consapevole e attiva ai sistemi di valore morale e agli ordinamenti giuridici che orientano l'integrazione sociale, Luhmann insiste piuttosto sul consenso "senza particolari motivazioni", sulla legittimazione attraverso procedure: su una serie di processi che permettono di presupporre l'esistenza di una disponibilità  a obbedire da parte dei cittadini, senza doverla problematizzare. Cosà¬, Luhmann puà evitare l'onere di un'assunzione impegnativa che è implicita nella concezione parsonsiana dell'ordine sociale: l'idea che anche nelle moderne società  differenziate e complesse vigano codici morali sostanzialmente unitari e condivisi. Il weberiano "politeismo dei valori" è in Luhmann un'acquisizione stabile, e anche una necessità  funzionale. Da un lato, infatti, queste assunzioni di Parsons finiscono per sovraccaricare gli individui sul piano morale e motivazionale. Dall'altro, oltre una certa soglia di complessità , l'ordine sociale non sarebbe possibile se non mantenendo aperto un ampio ventaglio di possibilità , ammettendo una pluralità  di valori, garantendo la possibilità  di scelte aperte. Come abbiamo visto, si tratta di ottenere la sicurezza attraverso la conservazione dell'insicurezza; paradossalmente, è necessario che l'elevata complessità  assicuri la stabilizzazione.

      Ma sono la stessa mobilità  e plasticità  del modello luhmanniano, la sua rinuncia alla ricerca "vetero-europea" di una legittimazione dell'ordine che abbia un fondamento assiologico, di determinanti monocausali dell'agire sociale, di funzioni attribuibili in blocco a gruppi e classi, a rendere sfuggente l'immagine del sistema sociale complessivo. La realtà  sociale, concepita come un intreccio di relazioni fra sistema e ambiente, si presenta come un gioco aperto a un campo infinito di possibilità . Cià significa che non è possibile cogliere alcuna finalità , alcuna "mano invisibile" nella storia, ma non solo. Proprio per la sua insuperabile "apertura", è arduo individuare nell'universo sociale luhmanniano i punti di appoggio e di attacco per un intervento consapevole degli attori sociali.

      In Luhmann, ancora più che in Parsons, attori sociali non sono gli uomini e le donne, i gruppi, i ceti, le classi, che esprimono dei "bisogni" e sono portatori di "valori". La dinamica sociale è data dall'interazione di ruoli, sistemi, ambienti, aspettative. Nonostante la sua teoria sia strutturalmente assai meno "conservatrice" di quella di Parsons (anzi, proprio per questo), Luhmann ci offre ancora meno appigli per una indagine "dal basso", ex parte populi, del sistema sociale. Tutto questo è ben compendiato nella nota espressione luhmanniana: "Alles kà¶nnte anders sein ' und fast nichts kann ich à¤ndern [Tutto potrebbe essere diverso, ma quasi nulla posso io modificare]".

      Queste caratteristiche della teoria luhmanniana divengono ancora più marcate in seguito alle innovazioni teoriche che Luhmann introduce negli anni ottanta. Mi riferisco a quello che egli stesso ha definito "un cambiamento di paradigma nella teoria dei sistemi": l'elaborazione della teoria dei sistemi autoreferenziali basata sulla nozione di autopoiesis.

      Nella sua formulazione originaria, opera dei due biologi cileni, Maturana e Varela, la teoria dell'autopoiesis affronta con gli strumenti della scienza empirica il problema, tipicamente "filosofico", della definizione della vita. I due biologi sostengono che i sistemi viventi sono caratterizzati da relazioni organizzative invarianti di tipo "ricorsivo" o "auto-referenziale" fra gli elementi che li costituiscono. Sono gli stessi prodotti dei processi a generare l'organizzazione dei prodotti. Il sistema autoreferenziale, insomma, "produce e riproduce da sè gli elementi di cui è costituito" 52. àˆ per definire queste interazioni autoriproduttive che è stato coniato il neologismo autopoiesis. Tipica dei sistemi autopoietici è la loro "chiusura" organizzativa: la rete delle relazioni interne all'organismo si riferisce solo a se stessa, non all'ambiente. Secondo Maturana e Varela, questa "chiusura" non contrasta con l'idea, elaborata nella teoria generale dei sistemi di Bertalanffy, che i sistemi viventi sono "aperti". L'apertura riguarderebbe infatti solo la struttura, e non l'organizzazione, dei sistemi. Gli organismi biologici scambiano materia ed energia con l'ambiente, mentre la loro autoreferenza organizzativa rimane circolare e dunque "chiusa".

      La teoria dell'autopoiesis permette, secondo Maturana e Varela, anche di comprendere "che cos'è" la conoscenza umana. Poichè le cellule neuroniche, come ogni altro sistema biologico, sono organizzativamente "chiuse", non si puà distinguere fra stati nervosi la cui causa deriva da un input esterno al sistema e stati la cui causa è interna. Ne segue che "la realtà  [...] è necessariamente una costruzione (fiction) interna a un dominio puramente descrittivo" 53 e che "non esiste alcun oggetto di conoscenza" 54. Che questa teoria abbia suscitato dubbi e perplessità  dovrebbe essere manifesto anche soltanto da queste asserzioni; che ricordano le tesi del più classico idealismo metafisico 55. Luhmann non ha comunque esitato a fondarsi sulle tesi dei due biologi cileni per imprimere una svolta alla sua teoria sociologica e ha generalizzato ulteriormente la teoria dell'autopoiesis. Il modello autopoietico viene infatti esteso, al di là  dei sistemi organici, ai sistemi psichici e ai sistemi sociali. Il paradigma autopoietico prende cosଠil posto di quello "classico" del rapporto sistema/ambiente elaborato da Bertalanffy.

      La nuova versione della teoria sistemica luhmanniana sostiene che la differenziazione dei sistemi sociali si puà realizzare solo attraverso l'autoriferimento, e che con cià si annulla la tradizionale distinzione fra sistemi chiusi e aperti: l'apertura verso l'ambiente si realizza attraverso la chiusura autopoietica 56. L'autoreferenza è la condizione di tutte le operazioni sistemiche, che devono avvenire in sintonia le une con le altre. Ne consegue che "tutto quello che il sistema puà fare è determinato da considerazioni interne al sistema": non si stabiliscono diretti rapporti stimolo-risposta con l'ambiente. Le decisioni del sistema si connettono ad altre decisioni dello stesso sistema. Il sistema autopoietico, insomma "non fa riferimento al proprio ambiente, ma si autocostituisce in se stesso"; e questo è possibile solo se nei rapporti con l'ambiente "si mantiene sempre intatto e funzionante un ordine di produzione autoreferenziale. Il mantenimento di tale ordine diventa il momento imprescindibile della costituzione di ogni singolo elemento, cosଠche ogni singolo elemento [...] rimanda sempre anche a questa unità  di costituzione" 57.

      Dal punto di vista epistemologico, a me pare si debba concordare con chi ha individuato nella generalizzazione luhmanniana una serie ulteriore di problemi rispetto alla formulazione originaria della teoria dell'autopoiesis. Sul piano della sociologia del diritto e della politica l'idea della "chiusura" organizzativa dei sistemi rischia, d'altra parte, di risolversi in una perdita di capacità  euristica. Mi sembra cioè che l'approccio sistemico "classico", che considera l'autonomizzazione dei sottosistemi e la differenziazione funzionale come la risposta a una sfida ambientale, rimanga più interessante di un approccio che si focalizza sui processi autoproduttivi interni. Non intendo sostenere che Luhmann escluda dalla sua indagine le relazioni sistema/ambiente. Ma, come avveniva per Parsons, la teoria di Luhmann è ora "strutturalmente" orientata ai nessi interni al sistema, all'autoproduzione della sua organizzazione, a una nozione autoreferenziale di ordine.

      Per quanto riguarda il diritto, in particolare, la teoria sistemica autoreferenziale sembra produrre un effetto paradossale: è proprio una teoria sociologica molto elaborata a insistere sulla "chiusura" autoreferenziale del sistema giuridico rispetto agli altri sistemi sociali. In cià finisce per riproporre sotto mutata specie la prospettiva normativistica ' programmaticamente antisociologica ' della "teoria pura" kelseniana e più in generale delle teorie formalistiche del diritto. Quel tipo di approccio che privilegia la "struttura" del sistema di norme rispetto alla "funzione" del diritto nella società  58.

      Questo effetto paradossale si produce anche in altri campi di analisi, e in particolare nelle tesi elaborate da Luhmann sul sistema politico e sul welfare state successivamente alla svolta autopoietica. Egli sostiene che, in seguito all'aumento delle funzioni dello Stato derivante dalla domanda sociale di "benessere", i sistemi politici vengono sottoposti a un sovraccarico normativo e perdono, con l'autonomia funzionale, la loro capacità  autoregolativa. Per ovviare a questi problemi, Luhmann si pronuncia in favore del ristabilimento dell'autonomia autopoietica dei sottosistemi sociali, a cominciare dall'autonomia rispettiva dello Stato e del sistema economico. Egli ritiene opportuno che la politica si sottoponga a una "autolimitazione funzionale", si concentri sulla "soddisfazione del bisogno di decisioni collettivamente vincolanti" 59, e si ritiri "nella propria modalità  di azione specificamente funzionale" 60. Si deve insomma evitare l'"eccessiva pretesa del sistema politico verso se stesso" 61. L'unica alternativa che Luhmann vede a questa autolimitazione è indubbiamente inquietante: si tratterebbe di "trasferire la società  in un'organizzazione gigantesca che non concepisca altro che differenziazioni di competenza interne all'organizzazione" 62.

      Con la proposta di una "concezione restrittiva della politica" 63, si produce insomma una sorta di slittamento nel pensiero luhmanniano: dalle affermazioni sul carattere "parziale" del sistema politico, che nelle società  complesse e differenziate non puà indirizzare l'insieme del sistema sociale e deve rispettare l'autonomia degli altri sottosistemi, si arriva alla riformulazione in termini di teoria sistemica delle tesi neoliberiste sulla deregulation e sullo Stato minimo. Anche qui si ottiene un effetto paradossale: un pensatore che aveva problematizzato il concetto di "ordine", insistito sulla funzione rispetto alla struttura, "messo in movimento" il funzionalismo sistemico parsonsiano, si trova molto vicino alle tesi sulla produzione spontanea dell'ordine elaborate da autori come Friedrich von Hayek 64. Si assiste cosଠa una parabola del funzionalismo sistemico. Nell'elaborare la sua teoria sociale, Parsons era partito dalla critica a quelle soluzioni al problema hobbesiano dell'ordine che, da Locke in poi, presuppongono la spontanea convergenza degli interessi dei singoli. Il maggior erede di Parsons finisce per avvicinarsi alle soluzioni proposte dagli ultimi epigoni di questa tradizione di pensiero.

      In generale, a me sembra che l'adozione del paradigma autopoietico, da un lato, sviluppi ulteriormente quella tendenza all'indeterminazione, all'apertura indefinita di possibilità , alla mancanza di punti di attacco presente già  nei primi scritti di Luhmann. D'altra parte, mi sembra si perda quell'elemento che avevamo indicato come un progresso teorico rispetto all'impostazione di Parsons: l'enfasi sui problemi piuttosto che sull'equilibrio, sull'evoluzione dei sistemi piuttosto che sulla conservazione delle strutture, sul rapporto sistema/ambiente piuttosto che su un ordine interno presupposto. La teoria sistemica autoreferenziale, con la sua nozione di "chiusura" organizzativa, sembra ricondurci all'interno del sistema e delle sue funzioni, e sembra configurare, per parafrasare Luhmann, una drastica riduzione di complessità . 

 5. Habermas: dal sistema alla Lebenswelt. 

      Il tentativo di superare questi limiti del funzionalismo sistemico è uno dei tratti salienti dell'opera recente di Jà¼rgen Habermas. Anche per Habermas, come per Parsons, le concezioni che hanno cercato di spiegare la produzione dell'ordine sociale escludendo l'interazione comunicativa e la dimensione normativa, "in base agli interessi e al calcolo delle utilità  individuali da parte di attori che s'incontrano casualmente e prendono decisioni secondo una razionalità  orientata allo scopo" 65, da Hobbes a Jon Elster, non hanno fornito soluzioni soddisfacenti. E anche per Habermas questa difficoltà  rimanda all'impostazione epistemologica di fondo, che privilegia il rapporto soggetto-oggetto e le forme strumentali e strategiche di azione. La sua proposta alternativa rimanda a una nozione comunicativa di razionalità  66 e a una Konsensustheorie der Wahrheit, secondo la quale la verità  è il risultato di un "consenso fondato" 67. A questa teoria gnoseologica si ricollega l'"etica del discorso". Per Habermas una norma morale ha validità  universale "se tutti coloro che possono essere coinvolti raggiungono (o raggiungerebbero) come partecipanti a un discorso pratico, un accordo sulla validità  di tale norma" 68. L'idea di fondo è che chiunque entri nell'interazione comunicativa deve conformarsi a determinate regole procedurali che corrispondono al principio di universalizzazione delle norme morali.

      La razionalità  comunicativa ha comunque bisogno di un radicamento. Non è pensabile che l'interazione comunicativa avvenga nel vuoto, che ogni volta si possa mettere in questione l'intera gamma dei significati e delle possibilità  del mondo. In questo senso il paradigma dell'agire comunicativo rimanda alla concezione della società  come Lebenswelt.Il linguaggio e i modelli culturali ereditati dal passato costituiscono un patrimonio conoscitivo dal quale gli appartenenti traggono convinzioni di fondo che non vengono problematizzate. Si riducono cosଠi rischi di dissenso nell'interazione sociale. àˆ nella Lebenswelt che si radicano i processi di intesa, di coordinamento delle azioni e di socializzazione, senza i quali è impensabile l'ordine sociale 69. Ma concepire la società  unicamente come Lebenswelt sarebbe, sostiene Habermas, unilaterale. àˆ appunto l'analisi sistemica a mostrare che le azioni degli appartenenti a una Lebenswelt "non vengono coordinate soltanto attraverso processi di intesa, bensଠattraverso nessi funzionali che non sono da loro voluti e che per lo più non sono neppure percepiti all'interno dell'orizzonte della prassi quotidiana" 70. D'altra parte, la società  non puà essere ridotta ai nessi sistemici. Il funzionalismo sistemico finisce per oggettivare la società  alla stregua di un sistema naturale, inaccessibile all'azione degli individui 71.

      Si tratta allora di collegare i due paradigmi del sistema e della Lebenswelt, e di distinguere tra "integrazione sistemica" e "integrazione sociale". Questa distinzione era presente nella fase intermedia dell'opera di Parsons, durante la quale secondo Habermas permaneva una "tensione istruttiva" tra la teoria normativa dell'azione e l'approccio sistemico. Ma Parsons non è riuscito a connettere le due prospettive a causa della sua adesione al modello monologico della razionalità  e alla concezione strumentale dell'azione 72. Il collegamento dei due paradigmi di sistema e Lebenswelt è possibile per Habermas solo se, contrariamente a Parsons, si adotta la concezione comunicativa della razionalità . Su questi fondamenti teorici Habermas costruisce la sua analisi delle patologie sociali e la sua teoria del conflitto: entrambe sono fondate sull'idea della "colonizzazione" della Lebenswelt da parte del sistema con i suoi imperativi funzionali. Egli ha elaborato una proposta filosofico-giuridica, che interpreta il diritto quale tramite tra i valori morali diffusi nel mondo vitale e il sistema politico. Una razionalità  procedurale di tipo morale ' conforme all'etica del discorso ' è vigente per Habermas nel diritto e nella politica delle società  democratiche. àˆ la conformità  a questa razionalità  pratica a garantire la legittimità  delle procedure giuridiche. In tale impostazione si puà vedere una risposta alla tesi luhmanniana della "legittimazione attraverso procedura". In effetti, sono le procedure a legittimare; ma nelle procedure del diritto moderno è insita una razionalità  pratica che rimanda a valori universali 73.

      In questa prospettiva si puà anche ridimensionare la portata di una critica che poteva essere mossa ad Habermas sulla base della Theorie des kommunikativen Handelns. Il riferimento dell'agire comunicativo alla Lebenswelt come bagaglio di convinzioni ereditate e la concezione del conflitto sociale come difesa della stessa Lebenswelt potevano dare l'impressione che una certa dose di conservatorismo teorico fosse presente anche nell'opera habermasiana. Ma è evidente che nella recente produzione teorico-politica e filosofico-giuridica di Habermas la prassi comunicativa svolge una funzione attiva. Un esempio interessante di questa impostazione mi sembra la proposta di una riformulazione della teoria democratica sulla base dell'idea della "sovranità  popolare attraverso procedura". Habermas riconosce che, come ha sostenuto Luhmann, la teoria classica della democrazia non è adeguata alla società  complessa. Essa puà perà venire "astrattificata": si puà parlare di democrazia in quanto il sottosistema politico rimane "permeabile" alla rete di libere associazioni dei cittadini e alla circolazione comunicativa che proviene dalle "sfere pubbliche autonome", radicate nel mondo vitale. Si costituisce cosଠuna "sovranità  popolare anonima e senza soggetto", che "assedia" le istituzioni parlamentari e il sistema amministrativo e si integra con gli imperativi funzionali del sistema nella produzione dell'ordine sociale 74.

      A me sembra che il tentativo habermasiano di collegare i due paradigmi sociologici indichi la via per affrontare il problema dell'ordine e dell'interazione sociale. Si tratta di conservare le prestazioni cognitive della teoria sistemica e dell'analisi della differenziazione funzionale dei sottosistemi senza precludere l'indagine sulle possibilità  di intervento consapevole degli individui nell'interazione sociale, di comprendere l'ordine sociale come il risultato sia di nessi sistemici sia di integrazioni comunicative. Vi sono perà alcuni punti su cui è difficile non dissentire da Habermas. A mio parere, la sua teoria incontra difficoltà  significative nell'interpretare il sistema economico-produttivo, la riproduzione materiale della società  e il suo adattamento all'ambiente 75. Ma soprattutto si dovrebbe cercare di elaborare un'immagine meno eticistica e idilliaca, più conflittuale e segmentata del mondo vitale. Mi sembra immotivatamente ottimistico considerare la prassi comunicativa come una fonte da cui sgorgano esclusivamente processi di intesa, tolleranza, valori democratici. Nella contemporanea società  multimediale, è proprio il campo della comunicazione a essere investito da corposi interessi sistemici, a essere funzionalizzato dall'agire strategico.

      àˆ evidente che Habermas, con la sua idea di una preminenza dell'agire comunicativo sull'agire strategico, non intende descrivere la realtà  empirica, ma mettere in luce le strutture trascendentali del linguaggio. Ma proprio per questo l'impostazione habermasiana del rapporto sistema/mondo vitale riposa sulla sua concezione comunicativa della razionalità , sulla teoria consensuale della verità , sull'etica del discorso. àˆ in virtù di tale impostazione che Habermas ritiene di poter superare le tensioni tra approccio normativo e approccio sistemico presenti nell'opera di Parsons. Ed è sulla base di questa teoria che egli sfida sul suo stesso terreno la teoria sistemica autoreferenziale di Luhmann. Ma la concezione comunicativa della razionalità  e, di conseguenza l'etica del discorso, sono fondate? La loro fonte di ispirazione primaria è la teoria degli atti linguistici di Austin 76. Secondo Habermas essa dimostrerebbe che la funzione primaria del linguaggio è quella "illocutoria", nella quale il parlante compie un'azione nell'atto di dire qualcosa; la funzione "perlocutoria", attraverso la quale il parlante ottiene un effetto "strumentale" presso l'uditore, sarebbe derivata 77. Si possono avanzare dubbi su questa interpretazione della teoria di Austin, e anche sull'identificazione, che Habermas compie, dell'illocutorio con l'agire comunicativo e del perlocutorio con l'agire strumentale 78. Ma, soprattutto, c'è da chiedersi se nella condizione "postmetafisica" della filosofia moderna ' riconosciuta e teorizzata dallo stesso Habermas ' si possa fondare una concezione sostantiva della verità  e un'etica universalistica sulle presunte strutture trascendentali del linguaggio. Inoltre, l'idea che la razionalità  pratica innervi di sè sia la Lebenswelt sia i sottosistemi politico e giuridico puà apparire ' nonostante l'approccio procedurale tentato da Habermas ' un'utopica aspirazione alla totalità  etica, che contraddice la differenziazione funzionale della società  moderna, e il politeismo dei valori che la caratterizza.

      Rimane un'indicazione preziosa: per indagare sulla produzione dell'ordine sociale si dovrebbe sia interpretare la società  come sistema, con i suoi imperativi funzionali e le sue strutture, sia mettere in luce la circolazione sociale degli interessi, dei valori, delle passioni, del consenso e del dissenso. Una ricerca sul problema dell'ordine sociale dovrebbe muovere da una ripresa delle tesi di Parsons, depurate dalla tendenza a gerarchizzare le forme di azione e ad attribuire un "nucleo" normativo ai sistemi, e integrata con uno sguardo "dal basso", dal punto di vista dei conflitti e degli attori sociali. E l'impostazione del "primo" Luhmann dovrebbe collegarsi a un approccio ai processi comunicativi che superi l'universalismo e il normativismo habermasiano. Ne risulterebbe, probabilmente, un'immagine della società  come campo di forze, interessi e bisogni, e come arena di scontro tra valori politeistici. àˆ all'interno di questa entità  conflittuale che si produce, in certe condizioni, l'ordine sociale. Semplificare questa immagine attraverso la chiusura autoreferenziale o il riferimento a un'etica universalistica sono scorciatoie comode, ma rischiano di far smarrire la meta.