Trend demografico e sviluppo umano nel mondo arabo contemporaneo (2005) di Emanuele Castelli (Fonte)
Nel contesto mediorientale le variabili di ordine demografico assumono un’importanza cruciale: gli effetti potenzialmente esplosivi dell’aumento di popolazione degli ultimi decenni rappresentano uno dei pochi aspetti su cui si possono formulare previsioni con una certa sicurezza. Occorre quindi chiedersi se la struttura sociale, economica ed istituzionale dei paesi dell’area saprà o meno assorbire lo scontento dei nuovi strati marginali e, in particolare, della gioventù istruita, ambiziosa e allo stesso tempo disillusa rispetto al proprio sistema politico. Scommettere sulla democrazia in Medio Oriente ignorando questi fenomeni di lungo periodo potrebbe rivelarsi tragicamente miope
Il decorso postbellico del nuovo Stato iracheno ha riportato all’attenzione degli analisti – soprattutto dopo la positiva tornata elettorale di fine gennaio – la questione della democrazia in Medio Oriente. Tra fautori dell’«esportazione» e sostenitori dell’impossibilità di applicare forme di governo estranee alla cultura arabo-islamica, il dibattito sulla democratizzazione mediorientale si è tuttavia limitato alla valutazione dei fattori «esogeni» che potrebbero indurre, nel breve periodo, molti paesi dell’area ad intraprendere la strada delle riforme (in primis l’«esempio» iracheno), senza considerare le variabili socio-strutturali «endogene» che ugualmente possono concorrere nel difficoltoso sviluppo socio-politico del mondo arabo. Tra queste, pare ormai certo che le variabili di ordine demografico possano assumere un’importanza cruciale, specialmente nelle zone del mondo più soggette ad instabilità politica.

In linea teorica, un aumento demografico può avere forti ripercussioni sulla stabilità o sul mutamento di un dato sistema sociale e di uno Stato, e questo tanto a livello economico e finanziario (l’inevitabile aumento della spesa sociale), quanto a livello politico (le crescenti istanze partecipative) e sociale (la concorrenza per le risorse); indirettamente, poi, un rapido aumento della popolazione può generare una crescita del livello generale dei prezzi, o l’espansione della domanda di lavoro che – a parità di offerta – può produrre una riduzione del livello generale dei salari e del potere d’acquisto, causando quindi una diminuzione delle condizioni generali di vita della stessa popolazione.

Ebbene, osservando le statistiche inerenti allo sviluppo di alcuni paesi arabi (raccolte dall’Undp – United Nations Development Programme – e reperibili sul sito http://hdr.undp.org/) risulta subito evidente il poderoso boom demografico che, nell’ultimo periodo del XX secolo, ha caratterizzato l’intera regione mediorientale (tabella 1).


La popolazione di quasi tutti i paesi arabi considerati è generalmente raddoppiata in poco più di venticinque anni: spicca per dimensione il vertiginoso aumento demografico vissuto da Stati come l’Egitto (da 39 milioni di abitanti nel 1975 ad oltre 70 milioni nel 2002), l’Arabia Saudita (passata da 7 a 23 milioni) e l’Algeria (da 16 a 31 milioni); e al di là del mondo arabo, il caso iraniano è per molti versi emblematico di uno sviluppo demografico estremamente cospicuo, se comparato con quello verificatosi nei paesi industrializzati. Se si osservano poi le stime future, e nonostante una certa flessione (eccezion fatta per lo Yemen), il tasso di crescita di tutti i paesi dell’area è destinato a rimanere indubbiamente alto (sempre se comparato con i paesi occidentali, il cui tasso di crescita demografica resta in prossimità dello zero).

Se consideriamo poi le statistiche sull’educazione (che danno la misura – seppur indiretta – della dimensione delle potenziali «nuove élites»), i dati sono ancor più sorprendenti: la maggior parte dei paesi arabi ha mantenuto (e mantiene) un alto livello di spesa per l’istruzione, per nulla inferiore a quanto destinato, nello stesso settore, da molti paesi industrializzati (tabella 2); e guardando ancora una volta all’Iran – paese in cui circa il 50% della popolazione è al di sotto dei 25 anni – possiamo notare come il finanziamento stratale all’educazione rappresenti addirittura un quinto della spesa pubblica (porzione che supera di gran lunga quella destinata, per esempio, dai paesi scandinavi, da sempre noti per il loro profondo impegno nella formazione). Popolazioni quindi in aumento, prevalentemente giovani e ben istruite, destinate – se non ad ottenere – almeno ad aspirare a un posto di rilievo nella gerarchia sociale di tutti i paesi arabi e mediorientali.

Le conseguenze che si potrebbero trarre da questi dati sono molteplici. Tra le tante, vorremmo qui considerare quelle più strettamente politiche: sembra infatti appurato che un repentino aumento demografico (quello che hanno vissuto e stanno vivendo i paesi della regione mediorientale) abbia un effetto particolare sui gruppi sociali «marginali» (come i lavoratori in cerca di occupazione, o le élites in cerca di «status») che crescono in generale di più – e più rapidamente – di quelli «centrali». Il perché di questo andamento «non lineare» è facilmente intuibile: a parità di risorse (economiche, così come «posizionali»), un incremento della popolazione finisce sempre per produrre una crescita degli strati esclusi dalle stesse.

Solitamente, una struttura statale dotata di una certa «flessibilità»– come può essere quella delle grandi democrazie occidentali – è in grado di assorbire il malcontento sociale che deriva dal divario tra aspettative e condizioni reali: questo perché le istanze provenienti dal basso riescono ad emergere fino ad entrare nel dibattito politico; di converso, nei paesi dove è ancora scarsa l’attitudine alla pratica democratica, risulta più difficile – se non, in alcuni casi, impossibile – il dialogo tra società civile ed istituzioni. Occorre quindi chiedersi se la struttura sociale, economica ed istituzionale dei paesi dell’area mediorientale paesi saprà o meno evolversi per «assorbire» lo scontento dei «nuovi strati marginali». In questo senso, sembra che almeno tre fattori – direttamente collegati con il trend demografico – avranno un ruolo cruciale nel lungo periodo: il tasso di crescita del salario medio reale, che dà in parte la misura del benessere relativo di una popolazione, il livello di urbanizzazione (le città sono tradizionalmente il fulcro della mobilitazione popolare) ed infine la struttura anagrafica della società (intuitivamente, una popolazione relativamente giovane è più orientata alla protesta, o comunque lo è di più di una popolazione relativamente adulta). Per quanto riguarda il primo fattore, sono molte e forse troppo imprevedibili le variabili da considerare: dallo sviluppo economico della regione (in molti paesi esiste la questione della «diversificazione» delle attività produttive), alle performance commerciali dei singoli Stati. Per quanto attiene agli altri due fattori possiamo invece avanzare qualche ipotesi di massima.

Come risulta chiaro dai dati (tabella 3) gran parte dei paesi arabi ha vissuto negli ultimi vent’anni un discreto movimento di urbanizzazione (tra tutti spicca sicuramente la Giordania – la cui popolazione urbana è passata dal 57 al 78% del totale, l’Algeria – dal 40 al 58% – e il Marocco, dal 37 al 56%). E forse è ancor più significativo il dato anagrafico: quasi in modo speculare ai paesi occidentali, la popolazione dei paesi arabi è prevalentemente giovane (in tutta l’area, dal 30 al 40% della popolazione ha meno di quindici anni), mentre la popolazione ultra-sessantacinquenne rappresenta una minima percentuale (dal 3 al 5%).

La gioventù mediorientale istruita, ambiziosa e allo stesso tempo disillusa per la scarsa «apertura» del proprio sistema politico potrebbe diventare protagonista – nel bene e nel male, come è già successo nella storia – di un mutamento radicale negli assetti politici ed istituzionali dei paesi della regione. È certo, l’evoluzione democratica dei paesi dell’area mediorientale non dipenderà solo da queste poche variabili «endogene» (e per giunta di lungo periodo), ma possiamo affermare con sicurezza che – in un contesto di instabilità internazionale come è quello che si è aperto dopo l’11 settembre – gli effetti potenzialmente esplosivi che si potrebbero generare direttamente (e non) in conseguenza dell’ingente aumento demografico rappresentano le uniche certezze, così come è indubbio che le nuove generazioni – oggi appena ventenni – giocheranno, in questa possibile evoluzione, un ruolo capitale.