Un rapporto del Global Preparedness Monitoring Board (Gpmb), datato
settembre 2019, parlava già di un'imminente pandemia globale,
mesi prima che l'epidemia di coronavirus emergesse per la prima
volta a Whuan: "Il mondo sa che sta arrivando una pandemia
apocalittica. Ma nessuno è interessato a fare qualcosa
al riguardo". Un titolo da brividi, letto oggi, eppure è
proprio ciò che ha pubblicato la rivista Foreign Policy
lo scorso 20 settembre 2019, ben prima che in Cina scoppiasse
l'emergenza coronavirus.
Nel pezzo si citava "un rapporto indipendente redatto su
richiesta del segretario generale delle Nazioni Unite" che,
in tempi non sospetti, parlava dell'esistenza della minaccia "reale"
di una "pandemia" che avrebbe ucciso fino a 80 milioni
di persone, spazzando via quasi il 5% dell'economia globale. Non
sembra al momento che il coronavirus fortunatamente - per quanto
pericoloso e contagioso, e assolutamente da non sottovalutare
- sia così letale. Ma quel rapporto citato dall'autorevole
rivista americana oggi suona tristemente profetico.
Un rapporto, spiega Foreign Policy, realizzato da un gruppo indipendente,
il Global Preparedness Monitoring Board (Gpmb), riunitosi nel
2018 su richiesta dell'ufficio del segretario generale delle Nazioni
Unite e convocato congiuntamente dalla Banca mondiale e dall'Organizzazione
mondiale della sanità. Copresieduto dall'ex capo dell'Oms
e dall'ex primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland e dal
capo della Croce Rossa internazionale, Elhadj As Sy, il Gpmb parlava
dei rischi di un'imminente pandemia globale e di come il mondo
fosse completamente impreparato a uno scenario di questo tipo.
"La preparazione è ostacolata dalla mancanza di una
volontà politica costante a tutti i livelli", spiega
il rapporto. "Sebbene i leader nazionali rispondano alle
crisi sanitarie quando la paura e il panico crescono, la maggior
parte dei Paesi non dedica l'energia e le risorse costanti necessarie
per evitare che i focolai si trasformino in disastri".
Come spiega la ricercatrice del Council on Foreign Relations Laurie
Garrett su Foreign Policy, senza sminuire il lavoro del Gpmb,
"devo purtroppo sottolineare che questo messaggio chiave
è stato lanciato molte volte, con scarso successo, ai leader
politici, imprese finanziarie o istituzioni multinazionali. Non
c'è motivo di pensare che questa volta sarà diverso".
Tra il 2011 e il 2018, sottolinea il rapporto, l'Oms ha monitorato
1483 eventi epidemici in 172 paesi. "Malattie a tendenza
epidemica come influenza, sindrome respiratoria acuta grave (Sars),
sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers), Ebola, Zika, peste,
febbre gialla e altre, sono testimoni di una nuova era di forte
impatto, potenzialmente in rapida diffusione con focolai sempre
più frequentemente rilevati e sempre più difficili
da gestire".
Lo stesso rapporto, mesi prima che l'epidemia di coronavirus emergesse
per la prima volta a Whuan, in Cina, (dicembre 2019), metteva
in guardia i leader mondiali del fatto che gli agenti patogeni
delle vie respiratorie, "come un ceppo particolarmente letale
dell'influenza", pongono rischi globali nell'età moderna
e della globalizzazione. "I patogeni - si legge -si diffondono
attraverso goccioline respiratorie; possono infettare un gran
numero di persone molto rapidamente
e, con le infrastrutture di trasporto odierne, possono spostarsi
rapidamente su più aree geografiche". Inoltre, i costi
di contenimento per fronteggiare una nuova pandemia globale, insieme
all'impatto economico generale, sono notevolmente cresciuti. L'epidemia
di Sars del 2003 ha richiesto un bilancio di circa 40 miliardi
di dollari sull'economia globale, l'epidemia di influenza suina
del 2009 ha raggiunto circa 50 miliardi di dollari e l'epidemia
di Ebola dell'Africa
occidentale del 2014-16 è costata quasi 53 miliardi di
dollari. Una pandemia dovuta a un'influenza affine all'influenza
del 1918 oggi costerebbe all'economia mondiale 3 trilioni di dollari,
ovvero fino al 4,8% del prodotto interno lordo globale (Pil).