0. Preambolo
1. Le leggi speciali 1975-82
2. Terrorismo, coscienza, "guerra preventiva"
3. Censure e rimozioni della stampa sul caso Battisti
4. Il "mal francese"
5. "Soluzione politica" e amnistia
"Non posso nascondere la mia
amarezza vedendo riemergere certe accuse alla magistratura italiana
che, come disse allora Pertini, tanto contribuì a fermare il
terrorismo, rispettando la costituzione e le regole del processo."
Armando Spataro, La Repubblica, 8 marzo 2004
"Di fronte ad una situazione
d'emergenza [...] Parlamento e Governo hanno non solo il diritto e
potere, ma anche il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere,
adottando una apposita legislazione d'emergenza"
Sentenza 15/1982 della Corte costituzionale.
Dopo la messa in libertà vigilata di Cesare
Battisti, in quel di Parigi, i media italiani si sono scatenati, rovesciando
sull'opinione pubblica tutto il metallo fuso per anni negli altiforni
del rancore, della vendetta, dell'ossessione securitaria.
E' impossibile fare un resoconto di tutte le distorsioni e le falsità
scritte e trasmesse nell'ultima settimana. Non c'è articolo,
per quanto breve, che non ne contenga decine. Persino i dettagli apparentemente
insignificanti sono sbagliati. Episodi e personaggi che nulla c'entrano
col caso in oggetto vengono gettati nel calderone per intorbidire
la brodazza, scatenare il panico morale, impedire a ogni costo l'uso
della ragione.
Un killeraggio mediatico come non se ne vedevano da parecchio tempo,
al quale è faticosissimo opporre argomenti ed elementi concreti,
ricostruzioni storiche minimamente approfondite.
Eppure non si può rinunciare a esercitare la ragione, non ci
si può chinare e coprire la testa con le mani in attesa che
passi la burrasca. Fosse anche un'impresa disperata, occorre esercitare
la ragione contro il fanatismo.
Non va taciuto che, in questo Paese, chi continua a opporsi agli scoppi
di emergenze strumentali è destinato a sentirsi solo: è
una di quelle campagne in cui devi coprirti su entrambi i fianchi,
il destro (ça va sans dire) e il sinistro. Da entrambe le parti,
gli argomenti (anche se è difficile chiamarli così)
sono i medesimi.
La cosa non deve sorprendere: parlare di emergenza-terrorismo significa
tornare su storture giuridiche, strappi costituzionali e prassi inquisitorie
che il PCI di fine anni Settanta (quello del "compromesso storico"
e della "solidarietà nazionale") sostenne con entusiasmo
e abnegazione. La stessa gente, oggi, dirige il centrosinistra. O
meglio, dirige quella parte di centrosinistra che, a mo' di struzzo,
ha da poco messo la testa sotto la sabbia irachena, non votando contro
la partecipazione dell'Italia all'occupazione neo-coloniale della
Mesopotamia.
La stessa gente ha da tempo delegato a una sezione di magistratura
inquirente le fatiche di un'opposizione al governo B******** che in
Parlamento non si è in grado di condurre (quando proprio non
ci si rifiuta di farlo per inseguire il "dialogo", la "responsabilità
di fronte alle istituzioni" e l'inciucio bipartisan del momento).
Molte "toghe rosse" (come le chiama B********) sono le stesse
che istruirono e condussero i grandi processi contro il terrorismo
(vero e presunto: nel tritacarne ci finirono anche i movimenti di
quegli anni). A sinistra è tuttora egemone la visione della
storia di chi scrisse e approvò le leggi d'emergenza, e di
chi rappresentava l'accusa ai processi che ne derivarono.
Non è sorprendente che chi prese e difese posizioni tanto drastiche
allora sia poco disposto a tornarci sopra oggi per darsi qualche torto,
o almeno rimettere in prospettiva le ragioni. Anche perché
a destra ci si dà impudicamente al grand guignol, si sparano
le frattaglie con l'obice per inzaccherare di sangue tutto il campo
della discussione, si strofinano con le cipolle gli occhi dei telespettatori.
Con l'arma dell'emozione incontrollata e del ricatto morale, si richiama
all'ordine la sinistra "riformista", la si spinge a condannare
la sinistra "radicale", a dividere il campo dell'opposizione.
Non che i "riformisti" abbiano bisogno di troppe spinte...
In questo modo, però, si condanna il Paese all'eterna paura
dei fantasmi del passato, passato che in realtà non passa ed
è evocato per motivi di bassa cucina politico-elettorale.
1. Le leggi speciali 1975-82
"Questo libro l'ho scritto con rabbia. L'ho scritto
tra il 1974 e il 1978 come contrappunto ideologico alla legislazione
sull'emergenza. Volevo documentare quanto fosse equivoco fingere di
salvare lo Stato di Diritto trasformandolo in Stato di polizia"
Italo Mereu, Prefazione alla seconda edizione di Storia dell'intolleranza
in Europa, corsivo mio.
Chi dice che il terrorismo fu combattuto senza rinunciare
alla Costituzione e alle garanzie per l'imputato è disinformato
oppure mente. La Costituzione e la civiltà giuridica furono
sbrindellate decreto dopo decreto, istruttoria dopo istruttoria.
- Il decreto-legge n.99 dell'11/4/1974 aumentò a otto anni
la carcerazione preventiva, vera e propria "pena anticipata"
contraria alla presunzione d'innocenza (art.27 comma 2 della Costituzione).
- La legge n.497 del 14/10/1974 reintrodusse l'interrogatorio del
fermato da parte della polizia giudiziaria, abolito nel 1969.
- La legge n.152 del 22/5/1975 ("Legge Reale") all'art.8
rese possibile la perquisizione personale sul posto senza l'autorizzazione
di un magistrato, nonostante la Costituzione (art.13, comma 2) non
ammetta "alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione
personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà
personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria
e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
Da quel momento le forze dell'ordine poterono (e possono tuttora)
perquisire persone il cui "atteggiamento" o la cui presenza
in un dato posto non apparissero "giustificabili", anche
se la Costituzione (art.16) dice che il cittadino è libero
di "circolare liberamente" dove gli pare.
La "legge Reale" conteneva molti altre innovazioni liberticide,
ma non è questa la sede per esaminarle.
- Un decreto interministeriale del 4/5/1977 istituì le "carceri
speciali". Per chi ci finiva dentro non valeva la riforma carceraria
di due anni prima. Il trasferimento in una di quelle strutture era
a totale discrezione dell'amministrazione carceraria, non c'era bisogno
del parere del giudice di sorveglianza. Si trattava addirittura di
un peggioramento del regolamento carcerario fascista del 1931: all'epoca,
solo il giudice di sorveglianza poteva mandare un detenuto alla "casa
di rigore". La rete delle carceri speciali divenne presto una
zona franca, di arbitrio e negazione dei diritti dei detenuti: lontananza
dalla residenza delle famiglie; visite e colloqui a discrezione della
direzione; trasferimenti improvvisi per impedire socializzazioni,
divieto di possedere francobolli (l'Asinara); isolamento totale in
celle insonorizzate, ciascuna con un cortiletto per l'ora d'aria separato
dagli altri (Fossombrone); quattro minuti per fare la doccia (l'Asinara),
sorveglianza continua e perquisizioni corporali quotidiane; privazione
di ogni contatto umano anche visivo tramite citofoni e completa automazione
di porte e cancelli etc.
Questi erano i posti in cui gli inquisiti, a norma di legge ancora
innocenti, scontavano la carcerazione preventiva. La Costituzione,
all'art. 27 comma 3, recita: "Le pene non possono consistere
in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato". Verso quale rieducazione tendeva
il trattamento appena descritto?
- La legge n.534 dell'8/8/1977, art.6, limitò le possibilità
da parte della difesa di dichiarare nullo un processo per violazione
delle garanzie dell'imputato, e rendendo più sbrigativo il
sistema delle notifiche facilitò l'avvio di processi in contumacia
(in contrasto con il diritto di difesa e contro la Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, che è del 1954).
- Il "decreto Moro" del 21/3/1978, oltre ad autorizzare
il fermo di polizia di ventiquattro ore a fini di identificazione,
eliminò il limite di durata delle intercettazioni telefoniche,
rese le intercettazioni legali anche senza permesso scritto del magistrato,
le ammise come prove anche in processi diversi da quello per cui le
si era autorizzate, infine rese autorizzabili intercettazioni "preventive",
anche in assenza di indizi di reato. Inutile ricordare che la Costituzione
(art.15) definisce inviolabile la corrispondenza "e ogni altra
forma di comunicazione" se non per "atto motivato"
dell'autorità giudiziaria "con le garanzie stabilite dalla
legge".
- Il 30/8/1978 il governo (violando l'art.77 della Costituzione) emanò
un decreto segreto, che non fu trasmesso al Parlamento, e venne pubblicato
sulla "Gazzetta ufficiale" soltanto un anno dopo. Il decreto
dava al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa - senza togliergli l'incarico
di garantire l'ordine nelle carceri - poteri speciali per combattere
il terrorismo.
- Il decreto del 15/12/1979 (divenuto poi la "legge Cossiga",
n.15 del 6/2/1980), oltre a introdurre nel codice penale il famoso
art. 270bis [1], autorizzò, per i reati di "cospirazione
politica mediante associazione" e di "associazione per delinquere",
il fermo di polizia preventivo della durata di 48 ore, più
altre 48 ore a disposizione per giustificare il provvedimento. Per
quattro lunghi giorni un cittadino sospettato di essere in procinto
di cospirare, poteva rimanere in balìa della polizia giudiziaria
senza l'obbligo di informare il suo avvocato. Durante quel periodo
poteva essere interrogato e perquisito, e in molti casi si è
parlato di violenze fisiche e psicologiche (Amnesty International
protestò diverse volte). Tutto questo all'art.6, una norma
straordinaria della durata di un anno.
All'art.9 la legge rendeva possibili le perquisizione "per causa
d'urgenza" anche senza mandato. La Costituzione, art.14, recita:
"Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire
ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei modi
stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela
della libertà personale" (corsivo mio). Che tutela della
libertà c'è in un sistema dove viene legalizzato l'arbitrio,
il "tiramento di culo" del poliziotto, la facoltà
di decidere sul momento se per una perquisizione sia necessario o
meno un mandato?
All'art.10, i termini della carcerazione preventiva per reati di terrorismo
venivano estesi di un terzo per ogni grado di giudizio. In quel modo,
fino alla Cassazione, si poteva arrivare a dieci anni e otto mesi
di detenzione in attesa di giudizio! All'art.11, si introduceva un
grave elemento di retroattività della legge, ordinando di applicare
i nuovi termini della carcerazione preventiva anche ai procedimenti
già in corso. Il fine era chiaro: impedire che decorressero
i termini, e che centinaia di sepolti vivi attendessero il giudizio
a piede libero.
- La "legge sui pentiti" (n.304 del 29/5/1982) coronò
la legislazione d'emergenza concedendo sconti di pena ai "pentiti".
Il testo parlava di "ravvedimento". In un libro che negli
ultimi giorni viene citato molto spesso (in Rete, non certo sui media
tradizionali), Giorgio Bocca si chiedeva chi fosse mai il "pentito":
"Uno che per convinzioni politiche si è unito al partito
armato e che poi, per ripensamenti politici, se ne è dissociato
al punto di combatterlo, o qualsiasi avventurista che prima si diverte
a uccidere il prossimo e poi, catturato, scampa alla punizione denunciando
tutto e tutti?"
Cito Elio e le storie tese: "Propenderei per la seconda ipotesi
/ perchè emani un fetore nauseabondo" (dalla canzone "Urna",
del 1992).
Bocca proseguiva: "Sono terroristi pentiti quei capetti del terrorismo
diffuso che prima hanno plagiato dei ragazzi delle scuole medie, li
hanno convinti ad arruolarsi e poi li hanno denunciati per godere
delle clemenze giuridiche? Sono ravveduti sinceri quelli che in mancanza
di serie delazioni se le inventano? [...] Lo stato di diritto non
è la morale assoluta, l'osservanza rigorosa delle leggi in
ogni circostanza, ma è la distinzione e il reciproco controllo
delle funzioni. Nello stato di diritto la polizia può eccedere
nei metodi inquisitori, ma il cittadino può ragionevolmente
contare sul controllo del giudice sul poliziotto. Ma se si accetta
con la legge sui pentiti e simili che giudice e poliziotto siano la
stessa cosa, quale controllo sarà possibile? Ma, si dice, la
legge sui pentiti è stata efficace, ha ottenuto centinaia di
arresti e la fine del terrorismo. Questo è scambiare gli effetti
per la causa: non sono i pentiti che hanno sconfitto il terrorismo,
ma è la sconfitta del terrorismo che ha creato i pentiti. Ci
si dovrebbe chiedere se la legge ha giovato o meno a quel bene supremo
di una società democratica che è il sistema delle garanzie.
La risposta è che i danni sono stati superiori ai vantaggi,
anche se un'opinione pubbica indifferente al tema delle garanzie fino
al giorno in cui non è direttamente, personalmente colpita,
finge di non accorgersene. Sta di fatto che una notevole parte della
magistratura inquirente si è lasciata sedurre dai risultati
facili e clamorosi del pentitismo, ha preso per oro colato le dichiarazioni
dei pentiti sino a capovolgere il fondamento del diritto, le prove
sono state sostituite con i sentito dire. Grandi processi sono stati
imbastiti sulle dichiarazioni dei pentiti, centinaia di arresti fatti
prima di raccogliere le prove. Un magistrato italiano ha potuto dichiarare
a una radio francese a proposito del caso Hyperion... 'Non ho le prove
ma le troverò'. Uomini politici, insegnanti, moralisti non
si sono preoccupati delle conseguenze inquisitorie della legge, della
infernale catena di delazioni incontrollabili che essa metteva in
moto. La reazione delle vittime della delazione è stata, come
si poteva prevedere, feroce, una serie di cadaveri 'infami' è
stata raccolta dalle guardie carcerarie a cose fatte, secondo la legge
barbara delle nostre prigioni. Nella fossa dei serpenti tutto è
possibile e niente accertabile."
Chiedo scusa per la lunghezza della citazione, ma credo ne valesse
la pena.
La Corte Costituzionale non potè negare che tutte queste leggi
fossero da stato d'eccezione: semplicemente decise che, "vista
l'emergenza", andava bene così. Ponzio Pilato ha ancora
le mani nel catino.
Non c'è cattiva memoria pubblica che possa rimuovere questa
realtà, non c'è ex-PM che riesca a farmi accettare questa
barbarie in nome della "Ragion di Stato", nessuna sinistra
legalitaria potrà mai a convincermi della bontà di tutto
questo.
2. Terrorismo, coscienza, "guerra preventiva"
E' proprio lo stato d'animo, il pensiero nascosto
e non espresso, la interna disobbedienza che divengono oggetto di
indagine, in quanto è all'accertamento di essi che il giudice
tende a risalire
Ecco che in processi di questi ultimi anni
sono sottoposti al vaglio del giudice penale comportamenti quali la
creazione di un collettivo di lavoratori contrapposto al sindacato,
l'organizzazione dei seminari autogestiti, la collaborazione, mediante
un articolo dal contenuto lecito, a un periodico riconducibile ad
una struttura associativa ritenuta illecita; l'intervento in un'assemblea
universitaria, e, in genere, rapporti interpersonali manifestatisi
attraverso scambi di documenti politici, lettere, telefonate, ecc.,
tutti dal contenuto penalmente irrilevante."
Antonio Bevere, "Processo penale e delitto politico, ovvero della
moltiplicazione e dell'anticipazione delle pene", in Critica
del diritto n.29-30, Sapere 2000, aprile-settembre 1983
La Costituzione, all'art. 27, comma 1, dice che "la
responsabilità penale è personale".
Eppure il nostro codice penale (che risale al fascismo e nel periodo
delle leggi speciali fu peggiorato in più punti) pullula di
reati come il "concorso morale" nel reato o la "adesione
psichica" allo stesso, nonché di ogni forma di reato associativo
che si possa immaginare tra cielo e terra.
Gran parte delle istruttorie sul terrorismo lavorarono soprattutto
su questi elementi, oltreché sui sospetti e le intenzioni (il
famoso "essere in procinto di"), su un'idea oltremodo estesa
del concorso, del favoreggiamento, delle contiguità.
Si arrivò a teorizzare il "fine terroristico" come
sussistente "al di là dello scopo immediatamente perseguito
dall'agente (omicidio, danneggiamento ecc.)" e di definirlo "reato
a forma libera" il cui specifico dolo "offre l'elemento
unificatore e l'essenza dei delitti terroristici" (corsivo mio)
[2]. In parole povere, terrorista è lo scopo, il fine ultimo,
anche a prescindere da fatti concreti. Non c'è quindi da stupirsi
se in molti casi si finirono per processare la personalità
degli imputati e la loro ideologia, quest'ultima identificabile nel
loro essere amici di Tizio e Caio, o nel loro avere ospitato Sempronio.
Terroristi si è, anche a prescindere da ciò si fa. Terrorista
è l'intenzione, contro la quale va combattuta una "guerra
preventiva" che è tipica della società del controllo.
La "cospirazione" c'è, anche se non ha portato a
niente. Si può essere processati per "insurrezione"
anche se l'insurrezione non c'è stata: come disse Pietro Calogero,
si tratta di un "reato a consumazione anticipata", cioè
- in parole poverissime - il vero reato è volerla, l'insurrezione.
Tribunali della coscienza.
Non sono un giurista, eppure mi sembra di poter rinvenire il nucleo
ideologico, il "meme" di quest'idea contemporanea di "prevenzione"
oltreoceano, nell'Anti-Riot Act dell'11 aprile 1968, ideato e usato
contro i movimenti afro-americani e le mobilitazioni per porre fine
alla guerra in Vietnam. Tale legge punisce chi, durante uno spostamento
sulla rete viaria interstatale, o durante l'uso di infrastrutture
della rete viaria interstatale, commetta atti finalizzati a "incitare,
organizzare, promuovere, incoraggiare, prendere parte e portare avanti
una sommossa [riot]", o aiuti qualcuno in tale incitazione. Secondo
la legge americana, un riot è un assembramento di cinque o
più persone che, comportandosi in modo violento o minacciando
di farlo, mettano in grave pericolo le persone e la proprietà.
Riassumendo, alcuni esponenti dei movimenti americani furono inquisiti,
processati e condannati per aver viaggiato su strade interstatali
con l'intenzione di aiutare qualcuno a incitare un assembramento di
cinque o più persone che minacciassero di comportarsi in modo
da arrecare danni alla proprietà. Spero sia chiara la percezione
della grande distanza che separa la persona dal presunto reato.
Sia ben chiaro che non sto dicendo che tutti gli imputati di processi
per terrorismo erano estranei a fatti concreti, ci mancherebbe. Tuttavia,
molte persone furono processate e condannate non per atti specifici
bensì in nome di un'idea astratta di "fattispecie terroristica".
Il proverbiale "processo alle intenzioni" fu reso una realtà
dalla Ragion di Stato.
Gli effetti di quella distorsione sull'opinione pubblica perdurano
a tutt'oggi.
Non è un caso se quello che maggiormente si rimprovera a Cesare
Battisti è il fatto di "non essersi pentito".
Non è un caso se la crescente mostrificazione mediatica di
Cesare Battisti prescinde ormai dai reati per cui fu condannato, e
s'incentra sulla sua personalità e il suo stile di vita (di
adesso, non di allora) lo si accusa di essere un "vigliacco"
perché è fuggito, di essere "un furbo" perché
lo protegge "la lobby degli scrittori di sinistra", lo si
aggredisce coi flash all'uscita di prigione per rubare l'immagine
"strana", congelare la smorfia fugace e sbatterla in prima
pagina per far vedere che è "brutto, sporco e cattivo".
Un giornalista de L'Unità si chiede "Ma Cesare Battisti
sarà ancora convinto che sia stato un atto rivoluzionario ammazzare
il macellaio Lino Sabbadin o il gioielliere di periferia Pierluigi
Torreggiani?". In un Paese laico, dove realmente vigesse una
cultura del diritto e delle garanzie, la "convinzione" di
Battisti, la pseudo-indagine psichica sul suo "pentimento",
sarebbe un non-tema, sarebbe del tutto ininfluente.
3. Censure e rimozioni della stampa sul caso Battisti
Il mio scopo non è dimostrare che Cesare Battisti
è innocente. Giudicare non spetta a me né all'opinione
pubblica. Ciò che mi preme far capire è che il modo
dominante di affrontare questa vicenda soffre di tutte le storture,
i vizi di procedura e i nodi irrisolti del periodo dell'emergenza.
Sono questi elementi, di cui non si vuol fare piazza pulita, a impedire
un confronto razionale, laico e costruttivo.
Le frettolose ricostruzioni della vicenda giudiziaria di Cesare Battisti
apparse sulla stampa italiana sono molto lontane dalla realtà
dei fatti, e addirittura in contrasto con gli atti delle istruttorie
e dei processi. Se addirittura uno dei PM di allora infila nella sua
lettera aperta errori grossolani, scrivendo ad esempio che il gioielliere
Torregiani aveva ucciso un rapinatore nel proprio negozio anziché
al ristorante "Transatlantico" [3], figurarsi i semplici
commentatori di versioni di quarta mano.
Tutti, ma proprio tutti, ripetono che Cesare Battisti sparò
a Torregiani e a suo figlio tredicenne, costringendo quest'ultimo
sulla sedia a rotelle. Alberto Torregiani è stato anche intervistato
dalle televisioni, che lo hanno presentato come "vittima di Cesare
Battisti".
Eppure, a detta dello stesso ex-PM di cui sopra, Battisti non faceva
parte del commando che uccise Torregiani [4]. Battisti è stato
condannato per aver "ideato" e/o "organizzato"
quel delitto, conclusione molto difficile da dimostrare, interamente
basata su prove indiziarie e testimonianze di "pentiti".
Questa è una delle cose che fa storcere il naso Oltralpe, tanto
alla giustizia quanto all'opinione pubblica. Battisti viene indicato
da "pentiti" come egualmente responsabile per due omicidi
avvenuti lo stesso giorno alla stessa ora. Di fronte all'evidente
impossibilità logica, il quadro si modifica sì da farlo
risultare esecutore materiale di uno (delitto Sabbadin) e "ideatore"
dell'altro (delitto Torregiani). Inoltre è ritenuto ugualmente
responsabile di decine e decine di rapine, e in generale di tutti
i reati compiuti dall'organizzazione di cui faceva parte, i Proletari
Armati per il Comunismo (gruppo che ebbe vita piuttosto breve).
Chi ignora quanto il nostro diritto (soprattutto quello dell'emergenza-
terrorismo) sia incistato di contiguità, complicità
e "compartecipazioni" di varia natura, si stupisce e non
può che trovare contraddittorio il quadro emerso dalla sentenza.
Ma non sto facendo una controinchiesta, quello che mi preme chiedere
è perché, di fronte alle madornali idiozie dette dai
media sul ruolo di Battisti nel delitto Torregiani, il dottor Spataro
non ha agito nell'interesse di una corretta informazione e di una
maggiore comprensione di quelle vicende, prendendo carta e penna e
precisando "Attenzione, questa cosa non è vera"?
Perché, pur sapendo benissimo che Battisti non ha mai sparato
a un ragazzino inerme, Spataro non ha smentito gli sciacalli dell'informazione
gridata? E' convinto di aver reso onore alla funzione pubblica che
esercita, comportandosi in modo tanto reticente?
Il direttore di un giornale razzista, in una trasmissione televisiva,
ha gridato che "Battisti sparò alla schiena all'orefice
Torregiani", premendo sul pedale dell'isteria, descrivendo l'agguato
come ancor più vile di quanto ci si potesse immaginare. Ma
Battisti non c'era, ce lo conferma il dottor Spataro. Inoltre, Torregiani
- che indossava un giubbotto antiproiettile - affrontò il commando
e rispose al fuoco. A rendere la tragedia più amara, fu proprio
un suo proiettile a colpire il figlio Alberto.
Qualche sera prima, Torregiani e un suo cliente di nome Lo Cascio
stavano cenando al Transatlantico. Ad un certo punto entrarono due
rapinatori armati, che puntando le pistole contro gli avventori cominciarono
a derubarli di portafogli, gioielli etc. Comportandosi in modo che
- eufemisticamente - definirei "poco cauto", Torregiani
e Lo Cascio estrassero le loro pistole e scatenarono una sparatoria
nella quale, oltre a un rapinatore, morì un cliente, che sarebbe
ancora vivo se tutti avessero mantenuto i nervi saldi anziché
cercare di farsi giustizia da soli.
Questo episodio non giustifica in alcun modo la giustizia sommaria
dei PAC, tantopiù che se Torregiani era colpevole di giustizia
sommaria, somministrandogli la stessa medicina e facendo colpire un
innocente non si fece che replicare quanto lui aveva fatto al ristorante.
Ma appunto, proprio perché non c'è rischio di giustificare
l'attentato, perché rimuovere l'episodio da tutte le ricostruzioni
del contesto? Perché nascondere il primo anello della catena
di eventi?
Forse perché Pierluigi Torregiani non può essere descritto
come un essere umano, con le sue contraddizioni e i suoi tragici sbagli,
ma solo come un "eroe borghese", un santo difensore della
proprietà, un cavaliere immacolato, in modo da far apparire
Battisti ancor più sanguinario e mostruoso?
E ancora perché omettere di citare le proteste di Amnesty International
per il modo in cui furono trattati i sospetti durante il fermo di
polizia nell'istruttoria Torregiani? Amnesty International usò
l'inequivoco termine "tortura". Aveva ragione? Aveva torto?
Rimuovendo, non lo scopriremo mai.
4. Il "mal francese"
"Ma come si permettono questi francesi? Pensano
di poterci dare delle lezioni?". Ecco uno dei leitmotiven di
questi giorni.
Il rancore nei confronti dell'opinione pubblica francese che non ci
vuole restituire un "macellaio", un "mostro".
Quanto sono boriosi, i "cugini"! Sono Pazzi Questi Galli.
Anziché cercare di capire il punto di vista altrui, si dà
per scontato e indiscutibile che abbiamo ragione "noi".
E non ci si rende conto che, mentre li riteniamo colpevoli di farsi
gli affari "nostri", in realtà siamo "noi"
che ci facciamo i cazzi loro. Non si capisce perché mai i francesi
dovrebbero rinunciare a una consuetudine giuridica pluridecennale,
la cosiddetta "Dottrina Mitterrand" (che in realtà
è stata rispettata anche dai governi di destra), solo perché
il loro ministro Perben ha fatto un accordo col nostro ministro C*******.
Se il ministro della giustizia cinese, o birmano, in barba alla legge
italiana che vieta l'estradizione di persone condannate a morte nel
loro paese, ottenesse da C******* l'arresto e l'espatrio di un rifugiato
(chiamiamolo Chèsáré Xiliren), noi non reagiremmo
con forza?
E se venissimo a sapere che un tribunale italiano ha già esaminato
la situazione di Xiliren nel 1991, dando un parere contrario all'estradizione,
e che nessun nuovo elemento giustifica un secondo arresto e un riesame
a distanza di tredici anni?
E se, per soprannumero, nel nostro Paese Chèsaré Xiliren
non avesse mai e poi mai commesso un reato, tenendo anzi una condotta
impeccabile, dando anche un contributo alla cultura nazionale?
Questo esempio ha un difetto la Cina e la Birmania non sono nell'Unione
Europea. Infatti, molto rancore nei confronti dei francesi si basa
sull'idea che i "cugini" stiano ostacolando la formazione
dello "spazio giuridico europeo". Tale critica proviene
da un Paese, il nostro, più volte oggetto di critiche e condanne
da parte della Corte di Strasburgo, che per più di quarant'anni
non ha rispettato la Convenzione europea per quanto concerneva le
condanne in contumacia, e che durante e dopo il G8 ha trattenuto in
arresto cittadini europei sulla base di accuse inverosimili, attirandosi
anche la protesta ufficiale del governo austriaco. Inoltre, al momento
l'Italia detiene il primato del governo più "anti-europeista",
e si è fatta ridere dietro tutti i giorni da mane a sera durante
il Semestre di presidenza dell'UE. Davvero crediamo noi di poter criticare
chicchessìa su questi temi?
Poi c'è chi ha detto i francesi sono teneri solo coi terroristi
degli altri. I loro invece li trattano malissimo. Non c'è dubbio.
Nonostante le distorsioni dei media nostrani, la Francia non è
un paese dove se fai la lotta armata si congratulano dandoti pacche
sulle spalle. Ti mettono in galera, come accade in tutto il mondo.
La conclusione sarebbe dunque semplice da trarre la sinistra francese
non sta difendendo Battisti perché è stato un terrorista,
ma nonostante lo sia stato. L'opposizione all'estradizione va ben
oltre Battisti e la sua vicenda umana (benché sia giusto far
notare che non delinque da trent'anni e non ha alcun collegamento
coi nuovi gruppi lottarmatisti).
La campagna va ben oltre, per i francesi si tratta di difendere un
principio, quello del diritto d'asilo, e un punto d'onore, quello
della parola data da Mitterrand ai nostri connazionali rifugiati nell'Esagono.
5. ""Soluzione politica" e amnistia
C'è voluto uno scrittore francese, Daniel Pennac,
per riuscire a parlare di amnistia sulle pagine di un quotidiano italiano.
Probabilmente un nostro connazionale non sarebbe mai riuscito a superare
certi "filtri".
Pennac, intervistato da un quidam, ha detto "Con la Repubblica
l'amnistia è diventata qualcosa di necessario alla concezione
repubblicana della pace sociale. C'è l'esempio della Comune,
ma più vicino a noi c'è anche l'amnistia dei membri
dell'Oas, che si sono battuti con le bombe e con la violenza contro
l'indipendenza algerina. Ma quattro anni dopo la fine della guerra
sono stati amnistiati. Erano di estrema destra, hanno ucciso non ammetto
che abbiano ammazzato, ma si dovevano amnistiare [...] L'amnistia
è il contrario dell'amnesia. Si tratta di chiudere una porta
per permettere agli storici di capire un periodo in maniera meno passionale.
Mi è difficile ammetterla sentimentalmente, soprattutto se
si immaginano le vittime. Il problema non deve però essere
considerato dal punto di vista affettivo".
E' un invito già caduto nel vuoto, in questo Paese certe cose
non si devono affrontare se non a colpi di emozioni e di psicologia
delle folle. Si produce ancora isteria sugli anni Quaranta, sulle
foibe, sulla "epurazione dal basso" dei fascisti gestita
da Volante Rossa e gruppi consimili, figurarsi se si può far
partire un dibattito sull'emergenza senza rimuovere tutto quanto esposto
sopra. Specialmente oggi, con l'opposizione a B******** dietro i sacchi
di sabbia delle trincee giudiziarie (un bel regalo, con tanto di fiocchetto,
di certa leadership girotondista).
Eppure bisogna fare il tentativo. Non credo di esagerare affermando
che questo Paese non potrà mai cambiare in meglio senza ripensare
quanto vi è successo negli anni Settanta. E solo dopo un'amnistia
per gli ultimi prigionieri e rifugiati di quelli che la cultura dominante
chiama gli "anni di piombo", solo dopo la soluzione politica
di un problema che fu ed è politico e non solo criminale, si
può sperare di capire cosa successe e come quegli accadimenti
hanno condizionato la vita pubblica italiana.
Bologna, 8-9 marzo 2004
NOTE
1. "Chiunque promuove, costituisce, organizza
e dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza
con fini di eversione dell'ordine democratico è punito con
la reclusione da 7 a 15 anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione
da quattro o otto anni."
Nel codice penale esisteva già l'art.270
"Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza
o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura
di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente
una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti
economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la
reclusione da cinque a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove,
costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione
violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione
da uno a tre anni."
Com'è evidente, si tratta del medesimo reato. Che bisogno c'era
di questo "sdoppiamento", se non quello di isolare e amplificare
la "fattispecie terroristica" (vedi sotto), e in base a
questa aumentare le pene?
2. Citazione dalla cosiddetta "Carta di Cadenabbia",
documento conclusivo di un convegno di magistrati titolari delle principali
inchieste sul terrorismo, cit. R. Canosa - A. Santosuosso, Il processo
politico in Italia, Critica del Diritto n. 23-24, Nuove Edizioni Operaie,
Roma, ottobre 1981 - marzo 1982, pag.17)
3. La ricostruzione dettagliata degli eventi che seguono
è presa da Laura Grimaldi, Processo all'istruttoria. Storia
di un'inquisizione politica, Milano Libri, 1981
4. Da un testo di Armando Spataro, riportato integralmente
in Mario Pirani, "Se a Parigi pari sono Battisti e Victor Hugo",
La Repubblica, 8 marzo 2004, pag.14
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