I
luoghi comuni del regime di Eva Zenith
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1. L'euro è indispensabile
all'Italia |
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Da quando circola l'euro i prezzi sono raddoppiati. L'UE conta sempre meno a livello planetario. La crisi internazionale ha toccato l'Europa come e più di altri continenti. Il costo del petrolio è solo aumentato. Dobbiamo buttare miliardi per la Grecia, l'Irlanda e chi sa quale altro Paese, i cui deficit minacciano un effetto domino. Ma non è tutto. Se le premesse dell'euro erano così rosee, i Paesi che non l'hanno adottato avrebbero dovuto mostrare catastrofi economiche in questi anni. Lasciamo da parte i Paesi deboli (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria) che mostrano avanzamenti forse perchè partivano da livelli molto depressi. Ma Regno Unito, Danimarca e Svezia come sono andate in quasi un decennio di rifiuto dell'euro? Sono fallite? Sono scivolate fuori dal mondo del benessere? Hanno dovuto fronteggiare ondate speculative eccezionali? Per niente. I Paesi fuori dall'euro hanno avuto le stesse difficoltà dei paesi con l'euro e forse anche meno. Non basta questa evidenza per concludere che l'euro non è stato quella meraviglia che il regime aveva promesso?
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2. Gli evasori fanno pagare più tasse ai cittadini perbene Da decenni gira la cantilena che gli evasori fiscali non consentono la diminuzione delle tasse a coloro che le pagano. Il concetto di fondo "venduto" dal regime è che allo Stato servano un certo numero di miliardi per pagare i servizi che fornisce. Se la somma necessaria non è divisa fra tutti i contribuenti, coloro che pagano devono pagare di più. La falsità di questo luogo comune è evidente. Ogni anno vengono stanati migliaia di evasori fiscali, ma non è mai successo che le tasse diminuissero. Al contrario, le spese dello Stato, e dunque il prelievo fiscale, aumenta costantemente. Questo prova che non esiste alcun legame fra il numero dei contribuenti ed il prelievo fiscale. Il giorno in cui tutti pagheranno le tasse, non ci sarà alcuna riduzione fiscale ma solo l'estensione delle spese dello Stato.
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3. La scuola serve alla carriera Il mito dell'ascesa sociale attraverso lo studio ha abbagliato per l'intero dopoguerra. "Studia: farai carriera!" è stato per decenni il comandamento di ogni genitore verso i figli svogliati, e di ogni insegnante verso gli studenti demotivati. Oggi la scuola è costosissma, tanto più nei gradi elevati. Il costo di uno studente universitario, magari anche fuori sede e fuori corso, è proibitivo. Un certo costo c'è sempre stato, ma per i primi anni del dopoguerra, fino verso gli anni ottanta, esisteva una corrispondenza fra istruzione elevata ed ascesa sociale. Diplomati e laureati trovavano lavoro più facilmente, erano meglio pagati, avevano più opportunità di carriera. Il costo degli studi era dunque, per la famiglia, un investimento. Da quasi venti anni la relazione fra studi e carriera è solo un luogo comune. Una recente ricerca di Almalaurea dell'università di Bologna ha segnalato che lo stipendio medio di un laureato, a 5 anni dalla laurea, è di 1.320 euro mensili, pari a circa 16.000 euro anno. Lo stipendio medio di elettricista manovale è dai 13.989 ai 23.111 euro annui. Lo stipendio medio di un elettricista operaio generico da dai 15.046 ai 27.875 euro annui. Senza contare che è infinitamente più facile per un elettricista che per un laureato, impegnarsi in una professione privata/imprenditoriale (quasi sempre più remunerativa). A questo si aggiunga che è noto a chiunque il sistema di clientelismo, familismo e raccomandazioni dominante in Italia. La carriera lavorativa e professionale non ha che un debolissmo legame col titolo di studio e la competenza scolastica
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4. La scuola è la chiave per lo sviluppo economico e la prevenzione di ogni disagio sociale Qualsiasi sia il problema che emerge dalla società non manca chi segnala la scuola come la vera soluzione. Gli incidenti d'auto dovrebbero essere limitati con l'educazione al traffico nella scuola. L'alcolismo giovanile potrebbe essere combattuto con l'educazione alla salute nella scuola. Il bullismo può essere limitato con l'educazione civica a scuola. L'alimentazione scorretta troverebbe la sua soluzione nell'educazione alimentare nella scuola. La scuola insomma viene sempre chiamata in causa come la solutrice di ogni problema sociale. Sulla base di questo luogo comune - che la scuola sia la soluzione per ogni cosa- abbiamo realizzato il diritto allo studio, la scuola dell'obbligo, le 150 ore, la liberalizzazione dell'accesso all'università, l'innalzamento dell'obbligo di istruzione fino a 16, i corsi di aggiornamento, le migliaia di corsi finanziati dall'Europa, i corsi aziendali. La proliferazione dell'offerta formativa, se fosse vero che l'istruzione è la chiave dello sviluppo civile, dovrebbe avere fatto dell'Italia in Paese più colto e civile d'Occidente. Purtroppo non sembra così. Nel 1861 l'Italia aveva il tasso di analfabetismo più alto d'Occidente col 77,7. In cento anni il primato è continuato ma scendendo all'8,3 (1960). Da allora i progressi sono stati pochissimi, malgrado le continua riforme. Nel 1990 eravamo ancora il Paese più analfabeta d'Occidente, col 2,9%. Tullio De Mauro, nel libro "Analfabeti dItalia"
(2008), ha denunciato che cinque italiani su cento tra i 14 e i
65 anni non sanno distinguere una lettera da un'altra, una cifra
dall'altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere
con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré
superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che
riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana,
è oltre la portata delle loro capacità di lettura
e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un'icona
incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il
20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti
minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari
per orientarsi in una società contemporanea. Questi dati
risultano da due diverse indagini comparative svolte nel 1999-2000
e nel 2004-2005 in diversi paesi. Ad accurati campioni di popolazione
in età lavorativa è stato chiesto di rispondere a
questionari: uno, elementarissimo, di accesso, e cinque di difficoltà
crescente. Si sono così potute osservare le effettive capacità
di lettura, comprensione e calcolo degli intervistati, e nella seconda
indagine anche le capacità di problem.solving. Sacche di
popolazione a rischio di analfabetismo (persone ferme ai questionari
uno e due) si trovano anche in società progredite. Ma non
nelle dimensioni italiane (circa l'80 per cento in entrambe le prove).
Tra i paesi partecipanti all'indagine l'Italia batte quasi tutti.
Solo lo stato del Nuevo Léon, in Messico, ha risultati peggiori.
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