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MUSATTI

La prima volta che io incontrai Musatti nel suo studio, ricordo di aver suonato il campanello della sua porta col cuore in gola. Ero agli inizi della mia carriera e sta o sperimentando le incertezze, le paure e i dubbi relativi al mio primo paziente. Lui per  me era stato solo l’autore del “Trattato di Psicoanalisi”, il professore, il massimo cui potessi rivolgermi per imparare.Aprì lui e dandomi la mano sulla porta, mi tirò dentro. Questo gesto era per lui abituale, lo scoprii dopo, ma in quel momento lo interpretai come a me faceva più comodo, e cioè: “dai non aver paura” e insieme “ormai sei qui e non mi scappi più”. da quel giorno ebbe inizio la mia seconda analisi individuale.Molti anni dopo scelse il titolo del libro “Chi ha paura del lupo”, io gli parlai della prima impressione che lui mi aveva fatto, e lui, ridendo, disse: “Che naso lungo hai! Per sentire meglio”. E arricciò il naso.Mi vengono in mento solo ricordi come questi, mentre sono seduta accanto al suo letto di morte. Guardo a lungo i suoi occhi chiusi e devo chiudere i miei per ritrovare dentro di me l’azzurro liquido del suo sguardo attento e severo che negli ultimi anni, spesso e volentieri, si velava di lacrime.Di Musatti mi piace ricordare questo: l’insieme di durezza e dolcezza, severità e bonomia. Io ho vissuto in lui il padre saggio e severo, l’uomo vanitoso che amava essere ammirato, il nonno che ti asciuga le lacrime e il bambino capriccioso che vuole assolutamente non essere contraddetto. E di tutto ciò in lui la piena consapevolezza. Ricordo quanto, finita la mia analisi personale con lui, scelsi come didatta Franco Fornari. Ero entusiasta della sua teoria ed affascinata dalla ricchezza spirituale dell’uomo Fornari. Ebbene, al grande maestro questo mio entusiasmo dava fastidio. Difendendo, come lui affermava, l’ortodossia del pensiero di Freud, contro qualunque attacco di eresia, Musatti difendeva se stesso, la sua figura di padre erede di Freud, da ogni attacco dei figli (e Fornari era  il suo primogenito) ai quali lui attribuiva intenti parricidi (“io sono una figura scomoda, usava dire, non muoio mai e questo disturba”).
E poi ricordo il giorno in cui Fornari morì e lui  mi cercò e io corsi da lui e piansi disperatamente, mentre lui mi accarezzava la testa, dicendomi tra le lacrime: “Abbiamo perduto il più geniale degli psicoanalisti, il mio figlio prediletto. Toccava a me morire, sono più vecchio:” Io lo amavo per questo, per questa sua sincerità sempre, per la sua capacità, consolidata nel tempo, di racchiudere in sé gli aspetti vari dell’umanità che vive.Non c’era incoerenza in lui, né contraddizione, c’era invece una grande capacità di vivere onestamente, attimo per attimo, ogni sensazione, ogni emozione che il mondo intorno a lui gli proponeva senza difendersi e senza aver bisogno di tutelare un’immagine. Anticonformista quel tanto che basta per non essere mai confuso nella massa dei “conformisti”, ma altrettanto conforme all’immagine che lui aveva di se stesso. “Sono vecchio” , era solito dire, “posso permettermi tutto, tanto non possono più mettermi in galera” e difendeva con ciò il bambino giocherellone e amante della novità e di qualche trasgressione.
“Ormai è come una prima donna” io gli dicevo, e lui ne era compiaciuto.
“E’ vero, ormai non  mi rimane che ballare a teatro”, e rideva divertito.
Qualche anno fa mi disse: “Sono venuti a propormi un film su di me, sulla mia vita. Questo si chiama “coccodrillo”, perché sarà utilizzato dpo la mia morte. Pensano che mi rimarrà poco da vivere. Io ho chiesto quanto mi pagano perché faccia la parte di me stesso. Un po’ di soldi fanno sempre comodo. Andrò a divertirmi … li spenderò in champagne”, e si mise a canticchiare… “Libiamo, libiamo…”.
Ho conosciuto solo lui, che alla soglia dei 90 anni sapeva così amabilmente ironizzare sulla sua morte.
E la morte l’ha colto con dolcezza, ancora nel pieno delle sue capacità mentali, a quasi 92 anni. Tre giorni prima di morire mi aveva detto al telefono: “No  cara, non venirmi a trovare oggi, sono brutto”. Sicuramente sorrideva quando aggiunse “Aspetta qualche giorno che io sia più bello”.
Addio grande Musatti, tutte le volte che la vita mi  presenterà dei dubbi, la tua voce dentro di me saprà, spero, darmi una risposta giusta, sorridendo.


Franca Maisetti Mazzei