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 PARERI SULLA LEGGE CHE ORDINA LA PROFESSIONE DELLO PSICOLOGO

A cura di Franca Maisetti

Intervista a Mauro Mancia, della Società Italiana di Psicoanalisi

D.: Qual è la sua impressione sulla legge?
R. : Questa è una legge per gli psicologi, non capisco come possano essere inclusi anche gli psicoterapeuti. La normativa che regolamenta gli psicoterapeuti è tutta da discutere.
D.: La sua opinione sulla legge così com’è nei confronti della psicoterapia?
R.: A me sembra che venga devoluto tutto all’Università, la quale non ha né potere, né cultura, né strumenti sufficienti per formare gli psicoterapeuti. Il tutto è anche molto pericoloso perché la scuola di specializzazione in psichiatria rischia di diventare scuola di specializzazione in psichiatria e psicoterapia. Questa legge è in funzione degli psichiatri e delle facoltà di medicina. Gli psichiatri sanno di psicoterapia quando qualunque altro medico che non ha mai fatto nessun training. Chi saranno coloro che decideranno chi deve fare psicoterapia e chi no?
D.: Ma le scuole già esistenti in diverse Università?
R.: Sono scuole di specializzazione in psicologia e non hanno niente a che vedere con la psicoterapia. E’ una follia, non possiamo pensare che da queste scuole vengano fuori psicoterapeuti
D.: La S.P.I., da quanto si è letto sul Corriere della Sera, ha rifiutato la Legge; cosa vuol dire?
R.: Io credo che questo rifiuto volesse dire che la Legge,  così com’è, non permette di formare psicoterapeuti. La S.P.I. prende le distanze dalla Legge.
D.: Cosa vuol dire in pratica?
R.: Vuol dire che non è d’accordo con la Legge.
D.: Ma dal momento in cui la Legge esiste è una norma di Stato, cosa vuol dire in pratica non essere d’accordo? Considerarsi fuori legge?
R.: Prendere le distanze, per la S.P.I. vuol dire non condividere questa normativa relativa alla formazione di psicoterapeuti. Io interpreto così il non essere d’accordo, non come essere fuori legge.
D.: Ma non le sembra assurdo e contraddittorio? Se la legge impone delle norme, anche se non si è d’accordo, bisogna rispettarle.
R.: I miei colleghi non sono fuori legge, sono fuori dalla realtà sociale. La loro voce, nel periodo delle trattative e della formulazione della legge, non è stata ascoltata.
D.: Per la verità la loro voce non si è mai fatta sentire. Anzi, per la verità hanno snobbato quasi del tutto gli incontri organizzati a questo scopo, per esempio quelli della SIPs, cosa notata e lamentata più volte
R.: No, i miei colleghi non hanno snobbato: si sono ritirati sull’Aventino, forse per difesa. Io non so dare una spiegazione. Personalmente non sono mai stato d’accordo, ero piuttosto sulle posizioni di Bellanova che affermava la necessità di venire a patti, entrare nella dinamica formulativa della legge altrimenti si correva il rischio di rimanerne esclusi. Molti colleghi, la maggioranza,  non erano d’accordo. Hanno preferito mettersi sull’Aventino e lo sono ancora, in attesa di non so cosa. Ad un certo punto, se la Legge c’è, deve essere rispettata. Il potere di formare psicoterapeuti non sarà più loro, ma di quelle scuole di specializzazione in ambito universitario. La realtà oggi è che non esiste nessuna scuola di formazione universitaria e nessuna Università in grado di formare nessuno. D’altra parte la psicoterapia non è istituzionalizzabile perché la formazione è legata: 1) all’analisi personale e non c’è nessuna istituzione pubblica in grado di fare analisi personale; 2) alla supervisione, e non c’è nessuna istituzione pubblica in grado di fare supervisione; 3) a seminari e lezioni che possono essere fatti nelle Università, ma questa terza parte è solo la più piccola e la meno importante in tutta l’attività formativa. Questa è la mia posizione. Non so cosa dire. L’Università dovrà pur chiedere alla S.P.I. o ad altre società delle convenzioni e tutto sarà da mediare  e studiare senza rimanere in posizione aventiniana. La S.P.I. dovrà modificare il suo regolamento interno, per essere consona alla legge. Fin d’ora, per regolamento interno, si prevedeva il 20% di domande provenienti da candidati  con laurea diversa da quella in medicina. Se non si accetta una convenzione con le Università o con il Ministero P.I. , la selezione dei candidati non avrà valore giuridico, bensì privato.
D.: Secondo lei, è problematica la convenzione con l’Università?
R.: Per la S.P.I. si, perché non la vuole.
D.: Perché?
R.: Perché è impegnativa. Ciononostante io sarei d’accordo con una convenzione specialmente per la formazione degli psicoterapeuti. A quel punto però la SPI deve adattare il regolamento non solo alla legge ma anche alle esigenze di una Istituzione. In ogni modo, per ora la SPI  è in una buona posizione agnostica per cui credo che non sia neanche in grado di dare un giudizio in merito né di accettare o meno una eventuale convenzione proposta. La SPI peraltro è una società di Psicoanalisi, una convenzione privata con riflessi internazionali.
D.: Mi è sembrato di capire, da come è strutturata la legge, che la psicoanalisi appartiene pur essa all’insieme della Psicoterapia
R.: Vedremo cosa succederà!

A nome degli Istituti neofreudiani di psicoanalisi e della Società italiana  neofrudiana di Psicoanalisi, condivido appieno il giudizio di incongruità relativamente alla legge per quanto riguarda la formazione degli psicoterapeuti. Le varie scuole, per lo meno quelle a carattere psicoanalitico, non possono accettare una istituzionalizzazione che mira a togliere il carattere specifico della formazione, vale a dire la conoscenza delle dinamiche psichiche, attraverso un inevitabile lungo percorso di analisi personale. Forse la legge intende snellire un percorso burocratico, affidando tutto alle Università? Di fatto lo complica, rischiando sicuramente di rendere vuota e banale una professione che già oggi lamenta superficialità e impreparazione. I corsi di specializzazione in Università non possono che avere carattere culturale e teorico, ma anche formandoci a questa parte della formazione, appunto quella teorica, non è chiaro in quale maniera verrebbero rappresentate  le varie correnti culturali (freudiane, junghiane, lacaniane, adleriane, reichiane, ecc.) e quanto rimarrebbe della libertà di pensiero, di scelta, di decisione, ecc. dei vari allievi legati ad una Università piuttosto che ad un'altra. Oppure tutte le Università di proporranno garanti delle varie correnti? E come? Nella confusione che regna nelle varie Università, questo elemento nuovo non sarebbe di sicuro tranquillizzante. Eravamo tutti ansiosi e speranzosi nell’attesa di una legge che regolamentasse finalmente una professione, che garantisse una sicurezza all’utente molto spesso frastornato  e in balia della buona stella, allorquando, proprio in momenti di malessere e sofferenza, pretendeva a ragione una indicazione valida nella scelta di colui al quale affidare se stesso tutto intero, con le sue confusioni e le sue patologie. Speravamo che una regolamentazione responsabile liberasse il campo della sofferenza psichica da maghi,  indovini guru, santoni, ma specificatamente da psicoterapeuti improvvisati  che spesso proiettano, consciamente o inconsciamente, le proprie patologie sui loro pazienti. Bene. Così come si prospetta, la nuova legge per la formazione degli psicoterapeuti, ci si prepara a dare libero accesso  ad una marea di “dottori” che magari avranno una buona cultura teorica, ma non sapranno mai cosa vuol dire in pratica: contenere, decodificare, bonificare e ricomporre quella enorme  quantità di “affetti” che circola in una relazione terapeutica vera. E fermiamoci qui. Purtroppo sta diventando un vizio politico e di costume il livellamento  verso il basso delle capacità umane e l’affossamento di quelle qualità che, lungi dall’essere  uno stimolo, diventano dei difetti o, nella migliore delle ipotesi, degli esibizionismi culturali. Nella nostra cultura occidentale, e italiana in particolare, una delle caratteristiche (quasi mai positive)  è l’individualismo, che non coincide affatto con identità, ma che in se ha dell’identità il desiderio. Ebbene, alla ricerca della propria identità, è giusto che non si combatta il male con un male ancora maggiore. Il qualunquismo intellettuale  o il razzismo di classe non verranno cancellati da leggi come questa, ma troveranno un’altra veste con la quale coprirsi.

Franca Maisetti

Sono in generale d’accordo con la legge sull’Albo anche per il fatto che riconosce la terapia come elemento  che “appartiene” agli psicologi. Mi pare che i criteri transitori siano “pasticciati” e frutto di numerosi aggiustamenti, con una conseguente scarsa chiarezza. In generale la Legge dell’Albo ha tenuto conto delle indicazioni  che sono state offerte nelle precedenti fasi di lavoro. Resta aperto il problema della formazione e delle Scuole a ciò abilitate.

Alberto Melucci - Ordinario all’Università di Trento – Direttore di ALIA

La Legge è certo la peggiore  edizione di 20 anni circa di caos. Come tutto quello che accade in Italia,  c’è una differenza, per fortuna –occorre dire in questo caso – tra il Paese legale e il Paese reale. Io mi auguro dunque che questo consenta di scongiurare l’atrofia che può immobilizzare o comunque ridurre  la vitalità della psicologia in generale e della psicoterapia in particolare. E’ significativo che le principali scuole di psicoterapia si siano dichiarate  “fuori da questa faccenda”: la realtà loro e di altre scuole, da alcuni considerate eterodosse, ma che hanno per la verità  molto vitalizzato e dialettizzato il panorama culturale, non può essere cancellata. A loro si deve la preparazione degli psicoterapeuti che hanno operato fino ad ora ed è impensabile espropriare  “il privato” di questa realtà più che decennale. Non sarebbe certo augurabile che venissero riconosciute soltanto alcune scuole a danno di altre: ne deriverebbe un enorme impoverimento allo studio, alla ricerca e alla pratica psicoterapeutica. Per questo occorre da un lato lottare per avere il massimo possibile di riconoscimento; ma dall’altro combattere lo “statalismo” ed il “monopolio” perché sono improduttivi. E’ certamente prevedibile la deregulation che consente una “selezione naturale” al tentativo di contenimento e di regolamentazione della psicoterapia. Mi associo alla battuta di Amleto a Polonio: “Imprigiona una nuvola, se puoi!”.

Luigi de Marchi - Presidente Ass. It. Psicologia Umanistica

Il problema riguarda in particolare le scuole di formazione e le loro differenti impostazioni. Sarebbe meglio ricorrere a dei parametri di valutazione sul genere degli standards di qualità. L’inserimento di un meccanismo di controllo consentirebbe di garantire la qualità degli psicologi e degli psicoterapeuti senza rischiare di perdere le differenti “correnti” attualmente presenti nella psicologia italiana.

Leonardo Marletta - Direttore del Centro Ricerca Comunicazione Acquario

La Legge rappresenta un passo aventi e fa chiarezza su  molte questioni legate alla psicologia e alla professione psicologica, ma lascia aperte molte altre questioni e ne produce di nuove, in particolare sulla psicoterapia. In questo settore sono anzi numerose, e i particolare riguardano il rapporto con alcune grandi realtà come, ad esempio, la Società di Psicoanalisi. Il problema delle scuole di formazione non è nuovo ed anzi la dimensione del rapporto fra ortodossia ed eterodossia è spesso stata analizzata come distinzione fra serietà di intenti e superficialità. Resta dunque aperto il grosso problema dell’individuazione dei percorsi formativi. Va anche tenuto presente che nessuna Università, né italiana né straniera, può seriamente garantire una formazione in campo psicoterapeutico dove è necessario, accanto ad un curriculum didattico, un training. Per fare solo un esempio, rispetto a questo problema in Argentina i docenti universitari anziché fare l’anno sabbatico lavorano sul campo per un periodo corrispondente.

Piero Paolicchi - Università di Pavia

Ritengo che l’istituzione dell’Ordine degli Psicologi sia stata doverosa, perché sancisce e tutela una professione in effetti esistente. Ritengo che le norme relative all’esercizio della psicoterapia non siano pertinenti alla legge sull’ordinamento della professione di psicologo, in quanto coinvolgono altre categorie professionali.  Come presidente della Società Italiana di Psicologia Individuale coincido con le Scuole storiche di analisi nel differenziare la pratica analitica da quella genericamente psicoterapica e ribadisco il principio che la formazione degli analisti debba avvenire, a garanzia dell’utente e della cura, mediante un training a cura dei didatti ufficiali delle suddette Scuole, con prudente e progressiva apertura a nuovi organismi che offrano le medesime garanzie, selezionati da un comitato interanalitico.

Francesco Parenti - Presidente della Società Italiana di Psicologia Individuale

La battaglia, che da diciotto anni si protraeva, con alterne vicende, e che ha più volte acceso vive speranze e, ancor più spesso, amare delusioni, è vinta. E’, questo, un evento storico per la comunità degli psicologi, i quali vedono oggi riconosciute formalmente le loro competenze, tutelata la loro professionalità, cancellata una condizione di subalternità e di confusione non oltre tollerabile. La Legge istitutiva dell’Ordine professionale degli psicologi è, nel suo insieme, una buona legge, in cui sono stati largamente recepiti i suggerimenti che la SIPs aveva a suo tempo avanzato. Non è qui il luogo per farne un esame analitico, ma è giusto sottolineare che la figura dello psicologo ne esce in piena autonomia e senza sudditanze di alcun genere.

Eugenio Calvi
Dalla lettera ai soci della SIPs dell’11 febbraio 1989

Devo dire che, fino a due anni fa, in occasioni ufficiali mi sono sempre schierato contro la Legge, perché ancora c’era la possibilità di cambiarla e di impedire l’elenco degli psicoterapeuti, mentre ora mi pare stupido lottare contro qualcosa che esiste e che resterà in vigore per i prossimi 10/15 anni. Se mai ciò che occorre fare è cercare di ridurre i danni culturali che questa situazione produrrà in particolare agendo sulle scuole di formazione. La situazione, con uno slogan, potrebbe essere definita come “La rivincita degli accademici sui privati; ossia la rivincita della psicologia di Stato sulla psicoterapia dei privati”.  In più va sottolineato che l’Università potrà forse preparare dei buoni psicoterapeuti, ma non degli psicoanalisti!

E’ il monopolio totale. Personalmente sono d’accordo con l’Onorevole Schelotto, da me recentemente intervistato, che sostiene come sacrosanta la regolamentazione dell’Ordine, ma non opportuna la regolamentazione della psicoterapia e delle circa 800 Scuole che se ne occupano. L’unico risultato sicuro di un’operazione di questo genere è il conseguente appiattimento culturale.

Gianpaolo Lai – psicoterapeuta

La legge sull’ordinamento della professione di psicologo approvata in via definitiva dal Senato il 3 febbraio u.s.  cerca di “mettere ordine” in un mondo dove spesso hanno allignato l’improvvisazione, la confusione e la ciarlataneria. Purtroppo però i mezzi adottati non si rivelano adeguati allo scopo: si cerca infatti di risolvere illusoriamente con formalismo giuridico problemi che invece sono di sostanza.

ASPETTI POSITIVI:

A) Sancisce in maniera definitiva l’autonomia professionale degli psicologi  (dopo che da tempo si è affermata – anche in sede accademica – l’autonomia scientifica della psicologia)

B) Comprendendo nella professione psicologica “le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito” favorisce un più stretto legame tra formazione accademica e pratica professionale, come risulta anche dall’obbligatorietà del tirocinio pratico per poter accedere all’esame di stato.

ASPETTI AMBIGUI:

Demanda a successivi provvedimenti le norme relative all’esame di stato ed al tirocinio pratico: l’esame di stato verrà infatti disciplinato da un decreto del Presidente della Repubblica  (“da emanarsi entro 6 mesi”) e le modalità di effettuazione del tirocinio pratico saranno stabilite da un decreto del Ministro della Pubblica Istruzione  (“da emanarsi tassativamente entro un anno” art. 2). Finché non saranno noti tali decreti occorre sospendere il giudizio circa la bontà ed efficacia della legge stessa

ASPETTI NEGATIVI:

A) Le norme transitorie per l’accesso all’Albo  (art. 32 e 33) sono complicate, farragginose e ingiuste. Il legislatore ha infatti soppresso all’ultimo momento  (come risulta dagli atti parlamentari)  l’unica norma improntata ad una equità sostanziale nei confronti dei potenziali candidati non perfettamente  in regola con i titoli formali, e cioè non in possesso di una laurea o una specializzazione in psicologia. Mi riferisco a quella norma (presente nel primitivo testo del Senato) che prevedeva una sessione speciale dell’esame di stato  per titoli ad esami, alla quale i candidati avrebbero potuto presentarsi  ed essere valutati caso per caso (sulla base quindi di criteri sostanziali, e non solo formali). Nel testo definitivo questa norma è scomparsa e pertanto valgono solo criteri formali: che senso ha, allora, ammettere il laureato che ha fatto sette anni di consulenza psicologica  per un Ente, ed escludere il suo collega, in possesso dello stesso tipo di laurea,  che ne ha fatti soltanto sei?  E questo, si badi bene, è solo uno dei molti possibili esempi.

B) Ma dove la recente legge mostra tutti i suoi limiti, rasentando addirittura il grottesco, è a proposito della cruciale questione della psicoterapia. Qui infatti il legislatore è riuscito nell’incredibile compito di coniugare i burocratismo statalista e l’anarchismo selvaggio. L’art.3, che non fa parte delle “norme transitorie” e quindi si riferisce alla situazione definitiva,  “a regime” di funzionamento della legge, chiarisce che per poter esercitare la psicoterapia non bastano i normali requisiti necessari per entrare nell’Albo, ma che occorre anche una “specifica formazione professionale”, di durata almeno quadriennale, da acquisire o presso Scuole universitarie di specializzazione, o presso “istituti a tal fine riconosciuti” con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione. Qui emerge il burocratismo statalista, perché in questo modo la psicoterapia viene trattata come una qualsiasi disciplina accademica, che si impara dai libri e sui banchi dell’Università. Mentre invece, come ormai tutti sanno, la capacità di fare il terapeuta si apprende e si matura in un processo formativo denominato training, il cui fulcro è la psicoanalisi personale del candidato (“non si può diventare psicoanalista se prima non si è stati psicoanalizzati “ sostengono da tempi tutte le scuole di psicoterapia analitica). Ma queste norme definitive entreranno in vigore solo fra cinque anni. E nell’arco del prossimo quinquennio cosa accadrà? Accadrà che molti psicologi (ovviamente iscritti ai rispettivi Albi) che vogliono fare gli psicoterapeuti “autocertificheranno” (incredibile ma vero: si veda l’art. 35) la loro formazione ai rispettivi Consigli dell’Ordine. Superfluo aggiungere che la validità scientifica e la credibilità etica del principio dell’autocertificazione sono quelle stesse che verrebbero riconosciute a chi affermasse d’essere bello e poi documentasse questa sua affermazione dicendo di essersi guardato allo specchio. Montesquieu nello “Spirito delle Leggi” afferma che “una cosa non è giusta perché è legge, ma, al contrario, deve diventare legge perché è giusta”. Di questo saggio principio pare si sia dimenticato il nostro legislatore quando ha affrontato il delicato problema di come regolamentare la nostra professione.

Alberto Rossati - Ricercatore confermato in psicologia all’Università di Torino e psicoterapeuta libero professionista.