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PSICOLOGIA & SOCIETA PSICOLOGIA & SOCIETA
ASTINENZA SI O NO?
Al di là della sua utilità o meno, il principio
rimanda ad unideologia di tipo sacrale che è sottesa a molti tipi
di rapporto fra cui per esempio quelli col medico il quale, attraverso il
giuramento di Ippocrate, si impegna addirittura a non avere rapporti nemmeno
con le ancelle delle sue pazienti. A mio parere non bisogna
mescolare sacro e profano e occorre superare una concezione che attribuisce
agli dei la concessione a noi della salute e che, per questo dono, ci richiede
sacrifici. Nella realtà più spesso di quanto si crede, può accadere normalmente
che si stabilisca un rapporto affettivo ed emotivo fra paziente e terapeuta
e che questa situazione si avviata da uno qualsiasi dei due, quindi anche
dal terapeuta. È evidente che già di per se la tecnica terapeutica stabilisce
per sua natura un rapporto privilegiato fra le persone coinvolte e che questo
può stimolare e provocare la nascita di altri sentimenti.
Il vero problema riguarda due aspetti: lutilità in termini terapeutici
di una tale situazione e la gestione delle pulsioni che ne derivano. Per
quanto riguarda lutilità va sottolineato che nel momento in cui il
terapeuta agisce con lintenzione di soddisfare un bisogno, in realtà
cambia il suo ruolo e quindi commette un errore.
Di conseguenza in se lutilità o il danno che possono derivare al paziente
sono minimi o nulli, ma il rapporto sessuale che nasce è comunque inquinato
ed il rapporto terapeutico ne è disturbato.
Qualcuno considera questa situazione come una scorciatoia o
come un fatto ineluttabile: in realtà essa introduce una modificazione
nel rapporto terapeutico che si basa sul simbolico e sullimmaginario.
Il rapporto può anche lasciare un buon ricordo e non provocare comunque
tragedie, ma di solito non dura a lungo. Di solito vi sono coinvolte pazienti
donne e terapeuti uomini.
Capita più raramente il contrario forse per motivi di differenze costituzionali
fra maschi e femmine, o perché nei maschi la terapeuta rappresenta più fortemente
la figura materna che unimmagine sessuale e daltronde la sua
posizione nel rapporto terapeutico non facilita la donna ad intraprendere
un rapporto di altro genere con un individuo che ha connotazioni infantili.
Ma anche la donna-paziente oggi non è più quella dei tempi di Freud, ha
una maggiore consapevolezza che la preserva dal subire la seduzione anche
perché è in una situazione maggiormente paritaria nei confronti degli uomini
di quanto fosse un tempo. Ma il passare a vie di fatto introduce
nel rapporto terapeutico situazioni reali che rimangono come mine
vaganti perché non centrano con la terapia e non possono essere
elaborate in essa. Non mi riferisco solo a rapporti sessuali: qualsiasi
rapporto interpersonale esterno al setting terapeutico è per
me inopportuno perché carica il tessuto terapeutico che per sua natura è
fragile e delicato, di un aspetto concreto e reale che non ha seguito nella
situazione terapetica e non è pertinente in essa.