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DI TUTTO DI PIU': LA GUERRA IN DIRETTA

La moltiplicazione dei canali, l'avvento del telecomando, il saltellare da un programma all'altro, ha portato negli anni Ottanta ad una nuova era televisiva, nella quale lo spettatore si è conquistato un ruolo attivo. In che senso? Nel senso che è diventato, quasi senza saperlo, un fattore di trasformazione. Al primo accenno di ripetizione, pubblicità o noia, cambia canale. E allora si moltiplicano gli allettamenti per sedurre il teleutente e accrescergli l'illusione di essere davvero coprotagonista o coautaore. Da "Telefono giallo" a "Chi l'ha visto", da "Domenica In"  a "Colpo grosso", il set televisivo è diventato la succursale del Bar Sport o del salotto delle più diverse espressioni: conversazione, polemica litigiosa, dialogo sui massimi sistemi, quattro salti in famiglia con spogliarello e barzellette. La neotelevisione accetta tutti con Vanna Marchi o si fa ospitare da tutti con Piero Chiambretti. Tutti parlano di tutto, ecologia, guerra e pace, film e telenovelas, diritti e castighi, intercalati dagli inossidabili Bongiorno e Carrà, Pippibaudi e compagni.
"La guerra in diretta è una premessa per la non coscienza" ha detto Romain Rainero, esperto di storia e di questioni mediorientali, a proposito della guerra nel Golfo. E come dargli torto? I tre telegiornali di stato sembrano più impegnati a farsi guerra reciproca che a privilegiare i fatti rispetto alle opinioni. Sulle reti Fininvest Emilio Fede appare più interessato agli arti inferiori delle sue ospiti che non alle telefonate dei corrispondenti. E forse non ha torto nemmeno lui, visto che i corrispondenti molto spesso non possono vedere oltre lo spazio recintato del loro hotel. Telemontecarlo è adagiata fra le possenti braccia della CNN: memoriabile il servizio da Tel Aviv col corrispondente bifonchiante in maschera antigas ed il tecnico tranquillo senza maschera intravisto in un angolo per un errore dell'operatore. I fatti distinti dallo opinioni: dovrebbe essere la regola base del buon giornalista. Ma quali fatti? Quelli distorti dalla propaganda o cancellati dalla  censura? La stampa con i suoi opinionisti di prima grandezza, da Scalfari a Stille a Montanelli, da Biagi a Bocca, da Eco ad Alberoni, ha buon gioco rispetto alla TV, costretta per le caratteristiche intrinseche del mezzo a manipolare il discorso per renderlo omogeneo alle immagini spesso riciclate di cui dispone, o viceversa. Il risultato è che l'informazione si confonde sempre più con lo spettacolo, al punto che  il telegiornale più acuto rischia di essere "Striscia la notizia" (la satira esige comunque di essere decodificata) e quello più attendibile "Televideo" (richiede solo di essere letto).
Così' il 20 gennaio si chiacchierava di una guerra lampo già vinta in una notte, il 10 febbraio si lamentavano le conseguenze di una guerra lunga e dolorosa, e qualcuno pareva sorprendersi che l'Irak, la "quarta potenza militare del mondo", non si collocasse sullo stesso piano di Grenada o di Panama. Di questa guerra in diretta, toast farcito di De Michelis e Maradona, morte di Laura Palmer e disperazione di Occhetto, una sola immagine sopravvive emblematica. È quella del cormorano impastato di catrame e incapace di volare. Perché emblematica? Somiglia al giornalista, impastato di "Blob", una marmellata indigesta che viene chiamata con un bell'eufemismo informazione.

Massimo Maisetti