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DONNE
È
diventato ormai abituale incontrare per le strade, nei mercati, in autobus,
donne di paesi lontanissimi venute alla ricerca di lavoro. Provengono da
luoghi dove la guerra, il terrorismo, le file per i generi di sopravvivenza
e la disoccupazione sono all'ordine del giorno. Magari sono, più semplicemente,
alla ricerca di un futuro migliore per loro e per i familiari, cercano una
speranza che preveda qualcosa di più del semplice "tirare avanti".
Ora che le frontiere sono chiuse per chi dimostri di non avere già un reddito,
il modo di entrare diventa sempre più rischioso e complicato. Infatti i
clandestini che entrano nel nostro Paese, lo fanno dopo aver transitato
per l'Europa dell'Est, per poi affrontare un massacrante tragitto su pullman
e treno fino alle Alpi; qui attraversano il valico a piedi di notte. Il
numero delle donne che intraprendono tutto questo è altissimo. Per loro
c'è possibilità di trovare lavoro presso delle famiglie come domestiche,
mentre per un uomo le opportunità sono minori, a parte la manovalanza in
cantieri e il piccolo commercio.
Per pagare il biglietto aereo per l'Europa e per pagare gli uomini che fanno
attraversare il confine, si fanno debiti e sacrifici grandissimi, sostenuti
sempre dalla fiducia di trovare un paese ricco e pieno di opportunità.
Arrivati qui si scopre che la realtà è ben diversa: c'è crisi economica
e una spasmodica caccia al lavoro. Risolta la prima impellente necessità
dell'alloggio e del convitto grazie all'aiuto di qualche connazionale o
della Caritas, si inizia la via crucis delle offerte di lavoro che, oggi
come oggi, sono quanto mai scarse. Per le donne esiste anche il grave pericolo
di finire nella prostituzione, magari venendo raggirate da qualche favorevolissimo
contratto di lavoro. Quando, con molta pazienza e altrettanta fortuna, le
immigrate trovano un posto come cameriere, sorgono altri problemi, forse
di tipo più psicologico che di sostentamento. Ci si trova in un ambiente
completamente diverso.
La lingua, il cibo, la mentalità: tutto è così dissimile dalla propria
origine; si vorrebbe continuare a vivere con gli antichi stili della propria
terra, ma questo è impossibile.
Si resta sospesi fra due mondi. Non dimentichiamo il forte senso di inferiorità
presente nell'animo di chi ha considerato il nostro modello culturale praticamente
inarrivabile e ineguagliabile.
Le tante Maria, Mercedes, Ana, Fatima, Ràmata, Fatima che affollano
le nostre città pulendo case, accudendo bambini, anziani arteriosclerotici
e malati, hanno il cuore lontano. Il loro pensiero è accanto ai figli, ai
mariti, ai genitori lascianti in paesi strozzati dal debito estero, in cui
ad ogni telefonata si viene a sapere che ogni cosa è sempre più cara, i
soldi non bastano mai e la situazione peggiora. La data del ritorno si allontana
e si progetta di far venire qui il resto della famiglia. Le collaboratrici
domestiche straniere spesso soffrono di depressione, dovendo vivere legate
al posto di lavoro. Un po' come se si dormisse sotto il banco della catena
di montaggio. Si potrà ribadire che la figura della "tata" che
viveva da anni in casa dei padroni è sempre esistita. In questi casi, però,
le extracomunitarie, venendo da società molto diverse, raramente si integrano
nella famiglia in cui lavorano. Esiste sempre il sospetto che rubino o che
siano indolenti, forse perché a qualche conoscente è capitata questa circostanza.
Si sa, è molto facile generalizzare. È spontaneo così frugare nei cassetti,
ascoltare le telefonate e domandare l'analisi AIDS nelle referenze. Tutto
ciò per stare tranquilli ed essere tutelati, insomma per controllare: ma
il rispetto e l'intimità chi la controlla? Quanta meraviglia scoprire che
in queste donne ci sono molti altri talenti e capacità oltre a saper pulire.
Magari amavano il disegno, la lettura e la musica; chi poteva nel proprio
paese ha frequentato l'Università. Fa una certa impressione sapere di avere
una colf laureata, e così si preferisce pensare che siano popolazioni immature
e che conseguentemente devono stare al loro posto: ma quale sarà questo
posto?
Ovviamente la convivenza non è sempre una situazione semplice per
nessuno degli interessati; ma se si tengono come punti di riferimento il
rispetto reciproco e la fiducia, ogni difficoltà si può superare. Queste
infatti sono valori che superano le nazionalità e le etnie.
Gaia Valmarin