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DAI LADRI DI BICICLETTE AI LADRI DI STATO
Forse
bisognerebbe partire da lì, da quella copia della Gazzetta Ufficiale datata
27 dicembre 1947 esposta in una bacheca del Museum di New York. Sul fascicolo
si legge "Costituzione della Repubblica Italiana".
Quel giorno l'Italia aveva smesso ufficialmente di essere monarchica
e fascista. Per essere e diventare cosa? Per sette dollari a testa al Museum
di Fifth Avenue offre la Mostra "The Italian Metamorphosis: 1943-1968".
L'evento riguarda pittura, scultura, design, moda, architettura, editoria,
fotografia e cinema. Per la prima volta in America viene presentato un panorama
completo di ciò che il nostro paese è stato e ha prodotto in un quarto di
secolo, dagli ultimi anni di guerra a quelli del miracolo economico: Burri,
l'arte povera, Fulvio Roiter, Elio Luxardo, Ugo Mulas, le creazioni di Pucci,
Valentino, Ferragamo, le sorelle Fontana. È la storia di una metamorfosi
ancora in corso, i segni del passato paragonabili ad un presente in ebollizione.
C'è una piazza di Roma gremita di folla che nel 1945 ascoltava De Gasperi,
il poster di "Ladri di biciclette" di Zavattini e De Sica,
la Vespa della Piaggio, il prototipo di legno della nuova Fiat 500 1954.
L'Italia pedala, corre sulle due e quattro ruote con sicurezza, entusiasmo,
vitalità e tanta voglia di recuperare le differenze che la fanno piccola
e arretrata al confronto con le altre nazioni più o meno grandi. Dalla seconda
metà degli anni Cinquanta il nostro cinema tocca i vertici mondiali con
Visconti, Antonioni e Fellini. Sui sassi di Matera del "Vangelo
secondo Matteo" di Pasolini echeggia l'urlo del mezzogiorno povero
e l'eco della discriminazione in atto tra due mondi: quello in evoluzione
del Nord e quello sottosviluppato del Sud. Lo stereo Brionvega di Achille
e Giacomo Castiglioni del 1966, le lampade a rete di Bruno Munari, il computer
di Mario Bellini, i buchi e i tagli di Lucio Fontana attestano che il boom
è una realtà. Contro il mercato che soffoca la creatività, contro l'omogeneizzazione
da mass-media, le scatolette di merda d'artista di Piero Manzoni esprimono
non tanto il piacere di una trasgressione goliardica, quanto la consapevolezza
d'una rivolta necessaria. Gli studenti che corrono in Galleria a Milano
celebrando il '68 chiudono un'epoca. L'Italia metropolitana si è affermata,
è entrata nel salotto buono. E la creatività si smorza, le regole perdono
di significato, anche quelle dettate dalla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre
1947. Assumono i contorni dell'utopia delusa i buoni propositi riassunti
in una frase del "Partigiano Johnny" di Beppe Fenoglio:
"Faremo dell'Italia una cosa alquanto piccola, ma del tutto seria".
L'Italia non è piccola e non è altrettanto seria. Il potere dei partiti
pretende di pagare con le tangenti i costi della politica. I pubblici amministratori
grazie alla tangenti si arricchiscono. Pagando tangenti gli imprenditori
barattano l'intelligenza con la furbizia convinti di battere la concorrenza,
prevalere sul mercato, sfuggire al fisco. La situazione si aggrava nel momento
in cui una questione squisitamente politica diventa "la questione
morale". E precipita nel momento in cui si crede di risolverla
attivando la sola via giudiziaria, che si trasforma in un vicolo cieco.
I giudici si conformano al principio della responsabilità individuale nell'affrontare
un fenomeno che individuale non è. Il fenomeno è generalizzato e coinvolge
tutti in maggiore o minore misura a secondo dei casi: politici vecchi o
riciclati, amministratori, imprenditori e perfino giudici. Ma solo qualcuno
è indagato e lo è in tempi e con modalità che lasciano sospettare un uso
politico della magistratura inquirente. Esiste ancora in Italia (ammesso
che sia mai esistita) una ragion di Stato figlia del senso dello Stato?
Se ancora esiste, nella realtà o nella memoria, pare che stampa e televisione
stiano facendo carte false per cancellarne ogni traccia. E dall' "Italian
Metamorphosis" sta nascendo una generazione di mutanti e clonati
in attesa del pifferaio magico.
Massimo Maisetti