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BUSINESS CULTURALE INTORNO A JUNG

Sono andata  con molte aspettative e molti interrogativi al IV Congresso CIPA, che si è tenuto a Milano al Palazzo delle Stelline il 6-7 dicembre 1986 per il venticinquennale della morte di Jung, intitolato “Presenza ed eredità culturale di C. G. Jung”, perché invitata da un caro vecchio amico di famiglia psicoanalista junghiano e accanito sostenitore della sua scuola. Con questo amico c’è sempre stato uno strano rapporto, che potrei definire, per parlare in termini junghiani, “degli opposti”, in quanto c’è stima e simpatia reciproca, ma io sono troppo settentrionale  per lui e lui troppo meridionale per me. Non parliamo poi di preparazione culturale e validità come professionisti psicoterapeuti: lui subito e solo junghiano, io freudiana e psicologa dei tests e delle terapie brevi.
Ora non so quanto e in che modo abbia influito nel mio accostarmi a questo Congresso quanto premesso, certamente quest’aria o complesso “degli opposti” l’ho poi sentita aleggiare durante i due giorni di lavoro. Avrete capito, che pur non volendo disconoscere la sua indubbia fama, io non ho mai avuto per Jung l’attrazione che ancora oggi esercita su di me Freud. Non so spiegarmi se ciò è dovuto al fatto che non mi piace come scrittore perché lo trovo ridondante e affannoso, né come analista clinico perché non  riesco facilmente ad entrare in contatto con le sue tematiche dell’ambra, degli archetipi, delle voci dell’inconscio che ci riportano alla Storia universale e a mondi spirituali poco delineati, ma ciò è certamente un mio limite.
C’è stata molta partecipazione al meeting annuale CIPA, le sale erano affollate, nel complesso le relazioni interessanti anche se a volte un po’ lunghe. Naturalmente a me è piaciuto particolarmente l’apporto di Cesare Musatti che ha parlato dell’ “enantiodromia” cioè la corsa dell’opposto, da un atteggiamento determinato all’opposto che spesso abbiamo in  noi ma che nessuno vuole ammettere di vivere; questo a proposito del pensiero junghiano sulla dialettica dei contrari. Musatti ha portato come esempi i recenti eclatanti casi di enantiodromia tra i cosiddetti “pentiti” che per interesse o salvezza personale si convertono in delatori dei propri compagni, e i sequestri di persona, compreso il caso “Moro”, in questi casi di solito la polizia aspetta qualche tempo dopo la liberazione a far domande ai sequestrati contro i sequestratori in quanto le vittime sono troppo coinvolte emotivamente con i loro custodi e non portano giuste testimonianze. Quel è il rapporto emotivo tra il sequestrato e l’oppressore?
Pare che non ci sia nulla di comune tra gli uni e gli altri, ma solo apparentemente: oggi si è coinvolti nella pluralità delle istanze psichiche in rapporto dinamico, per cui,  ha concluso Musatti, quando ci capita di pronunciare un giudizio contro persone che pensano in modo antitetico al nostro, ricordiamoci che “la verità ha sempre due facce”. Altro intervento che mi è particolarmente piaciuto è stato quello di Umberto Galimberti che ha sottolineato la messa in crisi dei codici fissi in psicologia con l’argomento: “Realtà psichica e realtà storica” dimostrando che le mutazioni storiche portano a mutazioni psichiche. Se ne periodo greco di Omero il modello era Mito e il dolore era vissuto come visione tragica perché la matura era più forte dell’uomo; se nel periodo cristiano si aveva nel dolore una visione  biblica, altro è il modo di vedere la sofferenza nel tempo della scienza e della tecnica dove l’uomo domina la natura: oggi si affida il sofferente al competente (il malato al medico specialista e la persona confusa all’analista). Anche il concetto di identità è diverso nella nostra epoca: è il contesto sociale che decide la nostra identità non il libero arbitrio. Mariella Loriga ha parlato di come dati interiori e contesto sociale si intersecano e di come è avvenuta la trasformazione della psicologia femminile nella nostra società. Da come si è passati dal sintomo “isteria” dato dalla condizione subalterna della donna negli anni passati, al sintomo “depressione” delle donne di oggi che sono nella patologia, figlie senza madre e quindi alla ricerca di una propria identità che la svalutazione dei rapporti coi genitori rende assai difficile. Infine Augusto Romano ha evidenziato la relativizzazione e la problematica dell’interno della quale scomodamente e difficilmente  si muove il paziente junghiano oggi.
Gli altri relatori, dai vari punti di vista, hanno sottolineato l’importanza del discorso junghiano e la ricchezza del contributo che può dare al pensiero contemporaneo, dando in generale la sensazione che questo Convegno sia stato progettato come un consesso ecumenico e compositivo di conflitti e di differenze interne alle Associazioni, come qualcosa da contrapporre a quella vasta dissidenza junghiana che con le Associazioni non ha nulla a che fare. Ma nello stesso tempo ha mostrato come lo junghiano sia affetto da rissosità in un certo senso positiva e da attualità-inattualità e su questo punto gli “eredi”, ciascuno dei quali ai propri occhi è l’unico junghiano, si picchino o perlomeno si dividono i “mitici” e “razionali”. Per finire, sottolineando che questo Convegno, uno dei pochi offerti gratis ai partecipanti, ha attirato migliaia di persone e questo ci mostra che nel mondo di oggi così disincantato, svuotato dai valori, di religione di speranze e perfino di desideri, sussistono “bisogni spirituali”che non sanno più bene come trovare soddisfazione.

Carla Pignatelli