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PSICOLOGI E MEDICI NELLE USL

Di recente le 20 USSL di Milano si sono trovate a rendere operativa la Legge 207/85 che all’art. 4 stabilisce, nell’ambito dei servizi sanitari pubblici, l’equiparazione normativa tra medici e psicologi. Il significato di questa legge non è da poco se si considera che la sua applicazione comporta la qualifica di “aiuto” e di “primario” anche per gli psicologi. Tali qualifiche infatti erano un privilegio di carriera riservata ai medici i quali, non concordando con i principi legislativi, hanno presentato i dovuti ricorsi. Che tra medici e psicologi non corresse buon sangue si sa fin da quando, portata la psicoterapia all’interno delle istituzioni pubbliche, ci si chiese chi fossero i componenti a doverla esercitare. Mai tuttavia come oggi ci troviamo di fronte, almeno nel milanese, a un desiderio di entrambe le parti  per una risoluzione cruenta del conflitto: l’altare per il vincitore, la polvere per lo sconfitto.
Ed è curioso constatare come, aumentando il livello centrale, ossia in Parlamento e in Regione, la tendenza  a riconoscere una parità di ruolo giuridico-amministrativo alle due professioni, aumenta a livello periferico, quello dei singoli operatori, la tendenza al malumore e alla ritorsione. Che le disposizioni di legge si incamminino sempre più verso un proclame di parità, è un dato di fatto; basta ricordare come esempi, oltre alla normativa or ora citata, la ristrutturazione del Corso di laurea in Psicologia e della Scuola di Specializzazione post lauream. Un altro dato curioso è che nessuna delle due lauree di per sé abilita alla psicoterapia. I fondatori dei vari orientamenti psicoterapici, da quello psicoanalitico a quello comportamentista, avevano infatti posto come condizione per l’esercizio, una formazione individuale specifica non ritrovabile all’interno delle Università e non condizionate dal tipo di laurea conseguito. Valgano a proposito glie sempi di terapeuti riconosciuti dalle rispettive Scuole di Formazione che non sono laureati né in medicina né in psicologia. Pur tuttavia la guerra tra psicologi e medici per l’esercizio dell’arte terapeutica ha un senso, a parto che tale senso non sia da ricercare nella giustificazione logica e manifesta in quanto ci troveremmo, come appena dimostrato, di fronte ad un non-senso. Ricerchiamolo invece altrove. E poiché questo altrove coincide, per  mia formazione, a un altrove “inconscio”, è nell’ambito del non-detto che voglio indirizzare questa mia breve indagine. Ma anche qui, tuttavia, essendo i modelli di riferimento diversi e vari, occorre fare una scelta. È così che in questa riflessione personale vi troverete a che fare con un modello semiotico, pensato e strutturato da F. Fornari in termini di codici affettivi. Secondo tale modello l’inconscio è abitato da decisioni inerenti le funzioni esercitate nella famiglia, dal padre, dalla madre e dai figli. Il comportamento quindi come il linguaggio, veicolando dall’inconscio il contenuto di tali funzioni, si fa rappresentante ora del codice paterno, ora del codice materno, del codice del figlio oppure del codice dei fratelli. I fatti cioè sono dei veri e propri atti comunicativi che consentono al soggetto la messa in scena della propria famiglia interna. Se analizziamo perciò quanto sta accadendo all’interno delle USSL  come se succedesse all’interno di una famiglia, ci  accorgiamo che il conflitto tra medici e psicologi per fare psicoterapia, è lo stesso conflitto dei genitori che vogliono assumersi individualmente il compito di curare ed educare il proprio figlio, escludendo l’altro. Tale conflitto è forse uno dei più vecchi e più diffusi che esistono sulla faccia della terra, ma anche uno dei più delicati, poiché si sa che la sopravvivenza di una famiglia è garantita solo se al proprio interno trova spazio la funzione paterna quanto quella materna. Un articolo apparso sul Corriere della Sera del 24/12/86 nella rubrica “L’opinione”, ci dà la misura di quanto l’appello di due psicologi milanesi, affinché “medici e psicologi insieme – al di là di sterili ed ingiustificati atteggiamenti corporativi – si impegnino nell’affermazione della psicoterapia come disciplina scientifica”, contiene nella sua struttura profonda una verità inequivocabile: ciò che è giusto o ingiusto è sempre rimandabile a ciò che è giusto o ingiusto per la sopravvivenza della famiglia. L’altare per il padre e la polvere per la madre o viceversa, comporta gravi conseguenze sia al figlio sia all’arte di educarlo.

Aristide Tronconi