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PRATICA PRIVATA E PSICOTICI
La psicoterapia degli psicotici, nella pratica
privata, dà al paziente la possibilità di organizzare il setting operativo
secondo accorgimenti che rendono più proficuo il lavoro con questi malati,
ciò che non è sempre possibile per motivi diversi, nella pratica istituzionale.
Più di ogni altro paziente, lo psicotico ha bisogno di un ritmo costante
negli incontri con il terapeuta: gli stessi giorni, la stessa ora, lo stesso
luogo, nei limiti del possibile.
In realtà, alcuni di questi malati non rispettano le regole; giungono tardi
alle sedute o le saltano, e quando sono presenti, non sempre resistono rimanendo
tranquilli per lintera ora. Ma la garanzia data dal terapeuta, che
resta fedele alla struttura del contratto, è per se stessa terapeutica in
quanto assicura la stabilità spazio-temporale che lo psicotico ha perduto
nel processo deteriorante della malattia. Un ambiente che non evochi le
strutture ospedaliere, che sia confortevole per la vista, che offra stimoli
riposanti per i colori e per le forme tranquillizzanti; pone il paziente
in un clima di fiducia che può stornare la sua diffidenza. Quadri che riproducono
paesaggi sereni, una luce adeguatamente diffusa, una comoda poltrona, sono
corredi di cui ogni terapeuta può disporre. I primi incontri con lo psicotico
devono mirare, fra laltro, a rendere meno minacciosi i fantasmi che
egli proietta fuori di sé e che ritrova ovunque. Il linguaggio di questo
paziente è ermetico, metaforico e poetico. Egli è poeta che canta la vita
quando langoscia recede lasciando lo spazio a frammenti del Sé non
del tutto deteriorati.
Sono sulla cima di una montagna altissima che sembra sospesa
fra le nuvole; lassù mi sento tranquillo e non ho alcuna paura. Ho
un paese meraviglioso tutto per me; ogni sera salgo lassù; perché è situato
in alto, ed accendo tutte le luci; è un paese di favola, lì è sempre Natale.
Cè un fossato che mi separa da una incantevole casetta
posta nel verde; sono fermo sul bordo di questo fossato, non riesco a saltare,
aspetto che qualcuno mi aiuti, magari dandomi una spinta. Queste sono
le frasi di due psicotici trattati in psicoterapia privata. A queste immagini
si alternano immagini mortifere. Dentro di me ho un uomo che ora è
in una macelleria, è appeso al soffitto per mezzo di un gancio che gli parte
dalla bocca; insieme a questo ho una donna che è priva della parte inferiore
del corpo, ha il volto di un uomo e le mammelle. Oggi è tornato
dentro di me il vichingo, erano quattro o cinque anni che non tornava, forse
è stata la nuova medicina che sto prendendo. Questo personaggio è quasi
femminile, è debole; ha scalzato quello che ho sempre dentro di me, che
è più piccolo e rozzo, ma è forte e capace di uccidere; con lui dentro mi
sento ben difeso. Il terapeuta che riesce a decodificare il linguaggio
schizofrenico, risponde al suo paziente, rima contro rima, con una poetica
che contrappone alle immagini di morte le immagini di vita e, se il malato
è idoneo a recepire, può avvalersi di espedienti che rinforzano questo intento
per mezzo della lettura di poesie, di brani di prosa o di fiabe che siano
rassicuranti e parlino la lingua della speranza e della fiducia.
Ascolta questa musica, cosa ti fa sentire?, Mi fa
venire voglia di disegnare. Disegna!. Lei mi ha
detto, nella scorsa seduta, che ho vissuto in un anno, una intera vita e
mi ha fatto vedere il deserto che dopo un acquazzone si copre di fiori meravigliosi
dalla vita brevissima; voglio disegnare questa immagine.
La musica, nella seduta di cui riporto un tratto, attraverso
legami associativi di suoni e visioni, ha evocato il deserto in fiore.
Il terapeuta insiste affinché tale immagine consolidi e ne
resti la traccia. Lo psicotico è, pur nella terribile malattia che lo travaglia,
un primitivo nel senso poetico del termine, egli è un poco come luomo-fanciullo
che anima ogni cosa intorno a sé. Il suo mondo è popolato di streghe e di
mostri, ma a tratti sia pur fugaci, di fate e maghi buoni. I primi sono
i fantasmi della coppia genitoriale introiettata nella primissima infanzia;
è questa la coppia che la psicoterapia deve richiamare affinché venga trasformata
o almeno tollerata.
Maria Antonia Ferrante