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Luomo, in quanto essere sociale, si costituisce
attraverso la relazione e la comunicazione diviene il canale privilegiato
per uno scambio di contenuti ed esperienze che porta ad un arricchimento
interno, proprio attraverso un contatto con laltro. Nella
realtà del colloqui paziente-operatore clinico, a differenza di quanto accade
nelle relazioni quotidiane, i messaggi divengono strumenti di una comunicazione
terapeutica, una comunicazione cioè volta al cambiamento. Nel primo colloquio
ciò che caratterizza il paziente come tale è la richiesta di aiuto, il bisogno
di modificare qualcosa nel proprio modo di essere o di vivere; per esprimere
ciò che egli tenderà da un lato a manifestare i propri disagi, dallaltra
a mantenere intatta la stima di sé presso il locutore, realizzando i propri
disturbi ed inquadrandoli in una cornice di normalità. Ne consegue la tendenza
del soggetto a distorcere i messaggi che gli provengono dal consulente il
quale rappresenta, ai suoi timori o desideri più o meno realistici, lautorità
benevola che tutto perdona, lessere perfetto privo di problemi personali.
A lui il paziente si rapporterà con atteggiamenti di delega, di impotenza,
di diffidenza, di ribellione: questo modo di riproporre le relazioni secondo
un disegno prestabilito, insoddisfacente ma comunque rassicurante perché
conosciuto e sperimentato nei suoi effetti, rende il soggetto prigioniero
dellimmagine rigida che egli ha dei rapporti e contribuisce a dare
allaltro indizi che lo conducono a vivere il soggetto
in questione così come lui desidera, riconfermandolo nei suoi disagi.
Fin dalle prime battute i comportamenti verbali e non verbali del paziente
ripercorrono, nell hic et nunc del primo colloquio, la
trama delle relazioni originarie, investendo la figura del consulente con
caratteristiche appartenenti a importanti figure del passato; il transfert
infatti è un fenomeno presente in un primo colloquio così come in molte
situazioni quotidiane. Loperatore clinico, per compiere il suo lavoro,
deve essere in grado di guardare laltro e guardare con
laltro non perdendo di vista se stesso: essere avvertiti
di sé e dellaltro rappresenta quindi la condizione che
autorizza e rende terapeutica la relazione. Ciò avviene se loperatore
è disponibile nell hic et nunc del proprio colloquio a
coinvolgersi senza nascondersi dietro unetichetta o un ruolo ed assumere
il proprio stato interno controllando e prevenendo gli effetti delle proprie
comunicazioni. Lintervento del consulente non conterrà alcuna valutazione
né alcuni consiglio a cui probabilmente il paziente è abituato nei rapporti
quotidiani e che, comunque, non gli sono serviti a modificare il suo assetto
interno; le parole delloperatore informeranno invece su ciò
che è stato compreso e, tramite la comunicazione di elementi emotivamente
pregnanti, offriranno uno spunto al cambiamento. Nel corso del primo colloquio
linteresse sarà indirizzato verso le relazioni attuali quotidiane
del paziente per focalizzare alcuni importanti punti di intervento, non
tanto nei particolari del racconto del paziente, che rischierebbero di vanificare
lefficacia dellincontro. Lo scopo principale del primo colloquio
non è dunque lofferta di soluzioni o la trasformazione tanto improvvisa
quanto improbabile del soggetto che chiede aiuto, ma è quello di indicargli
quali sono i problemi i quali necessariamente coincidono con quelli per
cui egli si è incontrato con loperatore; il paziente così, dopo il
primo colloquio, essendo a conoscenza di maggiori elementi sulla propria
struttura interiore, è nella posizione di poter decidere qualcosa a proposito
dei propri disagi ed è maggiormente consapevole dellimpegno che deve
assumere per affrontare i propri problemi, soprattutto nel caso di una successiva
terapia. Al termine di un primo colloquio è così possibile parlare di risultati,
seppure parziali, i cui effetti sono avvertibili anche in un momento successivo:
la capacità di riflettere su se stessi, di flettere cioè la mente in uno
sguardo interno, è pur sempre un risultato degno di nota.
Aurelia Rossi