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PSICOLOGIA & POLITICA
INTERVISTA A LUIGI DE MARCHI

In chiusura di quest'anno molto travagliato, abbiamo deciso di intervistare Luigi De Marchi per il suo passato (è l'ideatore, fra l'altro, della psicopolitica, un metodo di indagine che sviluppa la lettura psicologica delle grandi dinamiche sociali) e per il suo presente (è presidente di SIPPOL, un neonata associazione che si occupa di psicologia politica).
De Marchi è il principale esponente della Scuola reichiana in Italia. Tutta la sua "vita pubblica" è all'insegna della divergenza e del rispetto della minoranza, di cui egli stesso ne ha fatto parte. Attualmente si sta battendo per una "finta minoranza" (gli psicologi privati che sono numericamente più significativi dei dipendenti - v. nelle pagine seguenti) e per una proposta di legge riguardante gli psicologi in alternativa a quella esistente.
Proprio per queste caratteristiche che fanno di lui quasi un ribelle, refrattario a qualsiasi inquadramento, lo abbiamo intervistato.
La psicopolitica come "legge" l'Italia di oggi?
La psicopolitica è il mio primo amore degli anni '50, di cui scrissi "Sesso e civiltà" edito da Laterza, nel tentativo di interpretare in termini psicologici la realtà e lo sviluppo storico del cristianesimo e delle altre religioni da un lato e dei totalitarismi di destra e di sinistra dall'altra. Successivamente con "Psicopolitica" (75 Sugar) cercai di analizzare la svolta verso destra dell'occidente avanzato che attirava in quel momento il mio interesse. Oggi questa ricerca è particolarmente attuale per poter comprendere alcuni drammatici enigmi politici del nostro secolo. In particolare: perché il comunismo e la socialdemocrazia che erano stati arcinemici per quasi 100 anni sono crollati insieme? Il crollo del comunismo avrebbe dovuto portare al successo della socialdemocrazia. In realtà il crollo del muro di Berlino porta al crollo della socialdemocrazia. A questo ed ad altri enigmi cerca di rispondere "Il manifesto dei liberisti" (ed. Seam). Infatti questo libro legge la storia del nostro secolo come conflitto di classe non più nel senso marxiano, ma nel senso psicopolitico. La vera lotta è fra la classe politico-burocratica, vista come la vera classe sfruttatrice e parassitaria del nostro secolo, e i lavoratori del privato, pur nelle diverse vesti di dipendenti, lavoratori autonomi ed imprenditori.
La classe burocratica è diventata purtroppo, per l'assurdo odio stimolato dal marxismo, l'alleata innaturale della sinistra d'ogni marca che ha paradossalmente preteso di cambiare la società appoggiandosi appunto alla burocrazia, cioè alla classe intrinsecamente  conservatrice e conformista.
E qui si innesta il discorso psicopolitico: perché la classe burocratica, il burocrate, è di norma conservatrice e conformista? Perché  la personalità dei burocrati è affamata psicologicamente di sicurezza e di autorità delegate dall'alto. Ed un uomo o una donna che non ha fiducia nelle sue forze e nella sua capacità di affrontare la vita, i suoi rischi, le sue avventure. Viceversa, il produttore, come libero professionista, piccolo imprenditore, lavoratore autonomo, è una persona che privilegia la libertà rispetto alla sicurezza; confida di poter camminare con le proprie gambe e non ha quindi né padrini, né padroni e per questo è di norma un anticonformista per indole ed un innovatore perché il mercato lo costringe ad esserlo. Qui sta il vizio strutturale della sinistra storica: aver combattuto i ceti per indole e per condizionamento innovatori e di essersi appoggiata al ceto parassitario, conservatore e sfruttatore.
Qui sta la spiegazione del parallelo crollo della sinistra laburista e di quella comunista.
La massa dei lavoratori del privato, che in tutto l'occidente avanzato sono l'85%, hanno capito alla fine, intorno agli anni '70-'80 la grande truffa di cui erano stati vittima e hanno congedato simultaneamente sia il comunismo che il socialismo.
Purtroppo le uniche alternative istituzionali alla sinistra erano e sono i partiti conservatori che hanno però il merito di aver difeso i diritti economici dei ceti produttivi. Io credo però di aver dimostrato in questo saggio che i ceti produttivi, per natura innovatori e progressisti, hanno dovuto votare per i partiti conservatori, ma non sono affatto conservatori. Insomma, in questa analisi la tragicommedia politica del nostro tempo appare essenzialmente questa sterile altalena del popolo e dei produttori preso tra un progressismo malato di statalismo e un liberismo malato di conservatorismo.

Cosa ci può dire della situazione degli psicologi che operano nel privato?
La nostra situazione è a mio parere drammatica. La psicologia e la psicoterapia sono una professione e una disciplina che devono tutto o quasi ai liberi professionisti, dai loro esordi freudiani a tutte le principali conquiste teoriche e tecniche.
Poco prima di entrare in coma, il regime consociativo e statalista ci ha regalato la legge 56/89 "catto-comunista" (Ossicini-Bompiani) che di fatto ha confiscato la professione, la formazione, e gli Ordini professionali degli psicologi consegnando il tutto nelle mani di un pugno di baroni spesso analfabeti nel campo della psicoterapia e delle altre applicazioni pratiche della psicologia e ad un'armata di passacarte dei servizi sanitari. Abbiamo così assistito all'appalto della formazione a poche scuole "gradite" ai baroni dell'accademia e dei servizi per motivi trasparentemente finanziari  e personali: una vera "tangentopoli" della psicoterapia.
Per fortuna il Consiglio di Stato ha annullato l'operazione "mafiosa". Ma il disastro è ormai generalizzato: migliaia di studenti che non sanno come e dover darsi una formazione perché temono di vederla annullata dai capricci di qualche nuovo burocrate e che scoprono di dover versare quote di  iscrizione 4/5 volte maggiori del normale nelle scuole riconosciute.
Una quintuplicazione dei costi della formazione che si è resa necessaria per pagare i "baroni" docenti nelle scuole private e le loro inutili lezioni nozionistiche, l'unica cosa che sanno offrire. E centinaia di scuole "non" riconosciute, spesso le migliori, ridotte alla corda o addirittura all'estinzione. Se gli psicologi e gli psicoterapeuti del privato, che costituiscono oltre i 2/3 della compagine complessiva, non sapranno organizzare una risoluta azione politica e ordinistica, il destino di psicologia e psicoterapia è di tipo "terzomondista". Del resto la retrocessione dell'italia in serie B sul piano europeo è già stata assicurata dallo statalismo che ci governa per mezzo secolo e che ha immediatamente bloccato la speranza e la volontà di rinnovamento del 27 marzo.a cura di M. Sberna