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L'entrata nel XXI secolo
apre prospettive inedite per gli psicologi italiani. Tre elementi sembrano
porsi come condizionanti per la professione psicologica:
1 - la progressiva riduzione del Welfare State tenderà a ridurre i servizi
sociali ed immateriali e quindi gli spazi di occupazione degli psicologi
nel settore pubblico;
2 - il Terzo Millennio sarà caratterizzato, in Occidente, dalla centralità
dei bisogni immateriali che competeranno sul mercato con i tradizionali
bisogni materiali;
3 - la psicologia sarà la disciplina e la professione centrale fra quelle
dedite alla soddisfazione dei bisogni immateriali.
Sulla base di queste premesse la psicologia ha di fronte a sé due
precisi imperativi: espandersi dalla funzione terapeutica a quella più generale
di sostegno alla trasformazione (passando da pratica del disagio a pratica
dell'agio); diventare sempre più libera professione ed impresa psicologica.
Lo psicologo dipendente dal servizio pubblico sarà una figura trascurabile,
mentre si svilupperanno spazi per lo psicologo libero professionista, associato
con altri, sotto forma di studio professionale o addirittura di impresa.
Una impresa che non sarà più solo centrata sulla fornitura di servizi e
prodotti psicologi ma che spazierà in tutte le aree del benessere (salute,
bellezza, realizzazione9. Il che porterà di conseguenza la costituzione
di èquipes pluri-professionali costituite non solo da psicologi ma anche
da altri professionisti: medici e fisioterapisti, esperti di turismo e di
sport, di spettacolo e di gioco, educatori e architetti, pubblicitari ed
ergonomi, artisti.
Questa trasformazione epocale richiederà molti sforzi di cambiamento
negli psicologi. In primo luogo per inventare nuovi prodotti e servizi,
che rispondano ai bisogni del mercato immateriale. Non è possibile che gli
psicologi continuino a lavorare col modello del "gabinetto di consultazione",
dove chi sta male si presenta a chiedere aiuto.
Ci vorranno prodotti mirati a targets precisi, forniti presso gli utenti,
e per bisogni che non sono finora all'orizzonte dello psicologo. In secondo
luogo per acquisire competenze manageriali, a sostegno di quelle professionali
in senso stretto. Infine per darsi una organizzazione di categoria aggressiva
e capace di far insediare socialmente e politicamente la psicologia non
più ricercando un consenso normativo (la Legge sull'Ordine è la base minima,
ma non basta affatto), ma promuovendo la nostra professione nella cultura
occidentale in trasformazione.
Guido Contessa
CREARE UN'IMPRESA PSICOLOGICA: IL NUOVO ORIZZONTE DEGLI STUDENTI DI PSICOLOGIA
I corsi di laurea in Psicologia,
come ha detto Rubini (il Preside di Padova) non hanno formazione psicologica
né formazione professionale: si limitano ad una informazione di base sulle
teorie e i metodi della psicologia. È vero che in questo stato sono più
o meno tutte le Facoltà, ma è vero che ciò non basta nemmeno per desiderare
(non dico trovare) un posto di lavoro, per una professione che non si può
dire che va a ruba sul mercato occupazionale.
Il ridicolo palliativo dell'anno di tirocinio obbligatorio, anche
nei rari casi in cui non assume un aspetto grottesco ed umiliante, non ha
alcun valore per imparare la professione.
La strettoia dell'imprescindibile necessità di formazione psicologica
e professionale non può essere evasa sistemando l'archivio di una USL, o
aiutando qualche accademico nelle ricerche bibliografiche.
Intorno al 2005 avremo in Italia circa 50.000 psicologi, più della metà
dei quali sarà disoccupato. E ciò, paradossalmente, in un contesto ove i
bisogni psicologici sono in espansione geometrica e rischiano di essere
soddisfatti da altre professioni (i maghi già ci hanno sottratto miliardi).
I più attivi degli studenti universitari cercano di farsi un training psicoterapeutico,
per cercare almeno di intraprendere questa carriera. Purtroppo la psicoterapia
sarà l'area psicologica meno espansiva dei prossimi anni: già oggi è in
grave crisi di mercato. E allora?
E allora gli studenti devono darsi da fare. Anzitutto impegnandosi, fin
dal terzo o quarto anno, in una formazione psicologica e professionale extra-accademica,
in settori che abbiano un mercato aperto. In secondo luogo, mettendosi da
subito nella logica dell'impresa, pensando a trovare associati, e cercando
le strade ed i sostegni giusti per l'autoimprenditorialità.
Guido Contessa
NETWORKING E FRANCHISING: DUE NUOVE PAROLE PER LA PSICOLOGIA PROFESSIONALE
L'idea che la psicologia debba trasformarsi in impresa di prodotti e servizi immateriali sta ormai diffondendosi. Occorre però superare molti problemi culturali (sono ancora tanti i colleghi che si vedono solo dietro un divano, ad ascoltare). Problemi giuridici: quale tipo di impresa fondare? Professionisti associati, cooperativa oppure società a responsabilità limitata, o che altro? Ed infine i problemi di contenuto: non ha senso creare un'impresa, se ciò che si sa e vuole fare è semplicemente qualcosa che si può fare nel proprio studiolo. Le nuove prospettive per questi problemi si chiamano Networking e Franchising. Il termine Networking si può tradurre con "fare rete" e dovrebbe essere familiare ai colleghi ad orientamento sistemico, abituati ad operare con reti della comunità. Fare rete fra imprese di prodotti e servizi immateriali significa uscire dal proprio guscio individuale, pluralizzarsi, abituarsi alla pluriappartenenza, alla negoziazione, al gioco di squadra. Può sembrare difficile agli psicologi esperti in "solitudine", ma è questa la via che abbiamo davanti. Gruppi di colleghi legati ad altri gruppi, con accordi articolati, flessibili e dinamici. Il termine Franchising è forse meno minacciante perché implica un aiuto da parte di rete già esistente, a chi vuole varare un'impresa. Intraprendere in franchising significa iniziare non da soli ma in compagnia di qualcuno che ha già percorso i primi passi e può farteli risparmiare. La rete ospitante in genere assicura contatti, prodotti, servizi di consulenza, sostegno all'avvio di impresa; in cambio chiede lealtà, rischio ed impegno. Lo stesso rischio ed impegno che si richiede a chiunque intraprenda qualcosa, e la stessa lealtà che si chiede a chi vuole "affiliarsi" (affiliato si chiama infatti di solito chi entra in una rete di franchising). Il franchising chiede la stessa lealtà che chiede un'impresa tradizionale, offrendo però molta più autonomia e soprattutto un'autonoma titolarità di impresa all'affiliato. Networking e Franchising: due parole chiave per il futuro degli psicologi.
Guido Contessa