Piccoli germogli
di espatrio, ovvero: fare cultura nell'Italia post-coloniale
di Wu Ming 2
Estratto da un'intervista apparsa sulla rivista
"Lo spazio bianco".
Doppio botta-e-risposta: pars destruens con omaggio a Remo
Remotti; pars construens senza illusioni.
Che cosa significa "fare cultura"? E che significato date al
"fare cultura" in un contesto come quello italiano?
Minchia. Nel contesto italiano,
niente ha significato. Le poche cose sensate che si riescono a
partorire nascono a prescindere dall'Italia, come se il
Mediterraneo arrivasse fino alla Svizzera. Per vivere in questo
paese bisogna sottoporsi a una ginnastica mentale estenuante,
la cosiddetta "fuga di cervello". Ripetere come un mantra: "Qui
fuori c'è Godthab, Groenlandia". Appena ho finito con queste domande
mi metto la tuta termica e vado allo spaccio del mio amico eschimese
a comprare merluzzo e renna affumicata. Non voglio dire che bisogna
abbandonare il paese a sé stesso, ma il giardino che ci è stato
affidato è più ampio. L'Italia è solo una vecchia aiuola, piccola
e nascosta, giusto dietro i cessi. Cureremo l'aiuola prendendoci
cura dell'intero giardino, non certo standocene lì a contare le
spine sulle rose e a pestare merda di cane. La fuga di cervello
è l'unica soluzione non-violenta per il paese (l'altra sarebbe
un pogrom da venti milioni di persone). Ogni giorno coltivo la
speranza di poter fuggire anche con il corpo, per non condannare
i miei figli ad un'adolescenza italiana. Ma forse avverrà il contrario.
I bambini sono nomadi per natura, si addormentano al ritmo dei
passi. Saranno loro a salvarci, a portarci via.
Via da quest'Italia di leccaculo,
yes-men e sissignori. L'Italia monarchica che parla di leader,
ma vuole solo un capetto, un duce in sedicesimo, un re pastore.
L'Italia che va da Che Guevara a Madre Teresa, passando per San
Patrignano. Quest'Italia di cocainomani contro la droga, papa
boys contro il fondamentalismo, emigranti contro immigrati. L'Italia
uniti contro il terrorismo, prendiamo le distanze, sono d'accordo
a metà col mister. L'Italia del campionato più bello del mondo
e dei calciatori che non cantano l'Inno. L'Italia con l'elmo di
Scipio, te lo faccio vedere io come muore un italiano. L'Italia
che va tutto bene, siamo brava gente, non è colpa di nessuno e
se c'ero dormivo. L'Italia che si beve il sangue dei vinti, ventimila
infoibati, le Fosse Ardeatine per colpa dei partigiani. L'Italia
strapaese, quartierino, tuttinfamiglia. L'Italia che se ne frega,
l'Italia impaurita, l'Italia no grazie. L'Italia dei tormentoni,
allegra come un DJ, depressa per noia. L'Italia dei nonni al potere,
il cinquantenne giovane scrittore, mai fidarsi di uno sotto i
sessanta. L'Italia che va da Firenze a Bologna in trenta minuti,
venti cimici, tre scorpioni, un'ora di ritardo indipendente dall'azienda
e grazie per la preferenza accordataci. Via dall'Italia del Maresciallo
Rocca, Distretto di Polizia, Ros, Carabinieri 5, Bolzaneto 50,
Genova -1, Lampedusa – 20. L'Italia del volemose bbene, gli amici
degli amici, tutte puttane tranne la mamma. L'Italia che crepa
di parto, di anestesia e di lavoro ma la pillola del giorno dopo
è un omicidio e l'influenza aviaria una pandemia. L'Italia Sua
Emergenza, la pista anarchica, i satanisti, gli Anni Settanta
e il reato d'opinione. L'Italia di Beccaria contro la pena di
morte che annega i clandestini nel canale d'Otranto. Via dall'Italia
dei sondaggi, 30% di analfabeti, 60% di ana-alfabeti, 90% di anal-fabeti
che parlano col culo. L'Italia senza elezioni, solo share. L'Italia
a sovranità limitata, col Vaticano, Porto Marghera e il Cermis.
L'Italia di don Mazzi, don Benzi, don Gelmini, don Giussani, don
Calogero e Padre Pio. L'Italia della maggioranza e dell'arroganza.
L'Italia Cenerentola, Terra dei Cachi travestita da G8 . L'Italia
che non c'è la censura, sei tu terrorista, antisemita, frocio
e assassino. L'Italia che ce l'ha sempre duro, ma casto e puro.
Quest'Italia che le gallerie sono Grandi Opere ma dormire per
strada è degrado. L'Italia con la busta paga in lire e la verdura
in euro. L'Italia che per staccarle il culo dalle automobili ci
vorrà il greggio a cento dollari il barile. Via da quest'Italia
porca e infame. Quest'Italia dimmerda.
Hai dato un'immagine tremenda dell'Italia, un'immagine che
nasce senza dubbio dall'osservazione, dall'esperienza e da un
confronto con quello che accade fuori da qui. Ma allora, esiste
un luogo fuori dall'Italia, in cui abbia senso "fare cultura"?
Questa domanda investe il senso
stesso del termine "utopia" e il nostro rapporto con l'idea di
avvenire. Roba grossa, insomma. Cosa succede se il contesto dove
vivo è talmente lontano dal mio ideale di territorio e di comunità
da rendere quell'ideale un'utopia distante, tanto dal qui ed ora
che dal futuro remoto? Ci provo lo stesso? Cerco la via d'uscita?
Mi sforzo di coltivare piccoli germogli di un'esistenza diversa?
Da sempre mi trovo a mio agio con la terza ipotesi – e la chiamo
"fare cultura" – convinto che la "via d'uscita" non esista mai
(o conduca, a lungo andare, a progettare la fuga su un altro pianeta)
e che il "ci provo lo stesso" (a ribaltare il contesto come un
calzino), porti a perdere di vista la dimensione individuale e
immediata del desiderio, in nome delle magnifiche sorti dell'umanità.
Il problema è che questa terza via ha senso se il contesto che
intendo criticare è spacciato ma decente, inumano ma ancora sostenibile.
L'Italia non è più nemmeno questo. Ecco allora che prende vita
una quarta opzione, figlia della precedente: coltivare piccoli
germogli di espatrio, quella che ho chiamato "fuga di cervello".
Scrivere romanzi pensando al pubblico inglese, spagnolo, delle
Isole Figi. L'Italia viene dopo il Botswana nella graduatoria
della libertà di stampa, quindi smettiamo di tirarcela da "potenza
culturale". Contiamo quanto il Burundi e Capo Verde. Uno scrittore
del Burundi, di solito, anche se parla del suo paese, cerca sempre
un pubblico più vasto, quantomeno anglofono. Noi dobbiamo entrare
in questa logica post-coloniale e trasformarci da consumatori
globali in produttori globali. La rete ce lo permette, e non solo
lei. Però attenzione: logica post-coloniale non significa sudditanza
nei confronti dell'Impero di turno (americano, cinese o marziano
che sia). Significa ottica globale. Ti faccio un esempio: oggi
molte band della scena indie italiana riescono a proporsi all'estero,
a fare tournée. Parlo di Settlefish, Afterhours, Yo Yo Mundi,
Forty Winks, Death of Anna Karina, Yuppie Flu, Franklin Delano...Molti
di loro hanno scelto di cantare in inglese, influenzati da milioni
di ascolti in quella lingua e per rivolgersi a un pubblico internazionale.
È una scelta che non mi convince. Voglio dire: o sei bilingue
(come molti autori delle ex-colonie) oppure dovresti cogliere
l'occasione di sperimentare, con l'italiano, una sonorità rock
diversa, aliena. Se il pubblico inglese può innamorarsi di una
band come i Sigur Ros, che canta in finto islandese, allora puoi
provarci anche tu con l'italiano, o con l'ostrogoto [...]
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