L’alba del T-Group in Europa e in Italia di Mirella Ducceschi*
Dirò anzitutto che mi ha fatto piacere ricevere questo invito dall’ARIPS perchè mi ha riportato molto indietro nel tempo, e in qualche modo mi ha costretto a rivivere una parte della mia vita che considero molto importante, in funzione di quello che è successo poi. In un certo senso mi emoziona dover ripassare nella mia mente, come in un film, le cose avvenute oltre 25 anni fa. L’argomento su cui mi è stato chiesto di scrivere ècome è nato il T-group in Europa. Occorre dire che all’epoca - e parlo della fine degli anni ‘50 - esisteva un’agenzia che si chiamava EPA (European Productivity Agency): un’agenzia Europea per la Produttività che al suo interno aveva dei comitati di vario tipo. Uno di questi comitati si chiamava Comitato delle Scienze Comportamentali Applicate; sorto a seguito di incontri precedenti fra quello che era il gruppo americano del­l’NTL e un gruppo di psicologi sociali europei che volevano trasferire in Europa le esperienze e le teorie americane seguite al lavoro di Lewin. Il Comitato fu istituito con questo scopo: trasferire la dina­mica di gruppo, tutte le teorie e le esperienze di laboratorio sulla dinamica di gruppo e sui T-groups, dall’America all’Europa. Il responsabile di questo Comitato era uno psicanalista belga, professore di Università, che si chiama Charles Mer­tens de Wilmars. Dovrei fare ancora un passo indietro e dire che sempre nel quadro delle iniziative EPA nel ‘57 arrivarono in Italia degli psicologi sociali americani fra cui ricordo chiaramente Harold Leavitt, che fecero in Italia, due esperienze:
  • una a Santa Marinella, e prima una a Milano.
  • A Milano fu un totale insuccesso; le persone furono molto disorientate, scettiche di fronte a questo tipo di approccio e nuovo tipo di fonnazione e l’esperimento cadde assolutamente nel vuoto.

Io a quel tempo lavoravo nel Comitato Nazionale per la Produttività il quale faceva parte del quadro più generale dell’EPA. Quando ci fu la seconda edizione con molta perplessità a Santa Marinella fui mandata come osservatrice del CNP. Ricordo veramente come qualcosa di assolutamente nuovo e non categorizzabile quello che vidi. Bisogna anzitutto ricordare cos’era la formazione a quel tempo. Quando si diceva formazione- e già si diceva poco comunque come parola - che cosa si intendeva, a che cosa ci si riferiva? Ricordiamoci che era una cosa molto tradizionale; era riferita all”’aula”, era qualcosa di autoritario, di strutturato, di estremamente scontato.

La cosa a quei tempi più rivoluzionaria cui si potesse pensare erano i “casi’, importati da Harvard, che venivano usati nelle Business Schools, di cui ricordo l’IPSOA di Torino, poi l’ISIDA a Palermo (nata nel ‘56). La formazione rientrava in canoni molto precisi, in schemi molto noti, molto fami­liari. Io andai a Santa Marinella. Già il posto era insolito: era sul mare, c’erano questi alberghi, c’era la sabbia, c’erano le palme; tutto dava la sensazione di qualcosa di diverso dal tradizionale. Ricordo molto chiaramente, come immagine visiva, questo grande salone trasformato in aula dove la sistemazione non era come fu nei successivi T-groups. C’era un trainer, che non era Leavitt, che stava sopra una pedana mentre i partecipanti erano tutti sullo sfondo, come in un salone per conferenze; e, ricordo, questa persona sulla pedana non parlava, ma era proprio muto come un pesce, impenetrabile, indecifrabile, e le persone erano al tempo stesso affascinate e disorientate. Compresa me. Ricordo nell’intervallo il commento nel corridoio di un partecipante che disse all’altro: “...a questo punto se gli chiedi di che colore ha le scarpe, lui ti nsponde: lo chiedo al gruppo”.

Il che già mi dette la sensazione di essere stata catapultata in un mondo completamente diverso da quello che io conoscevo. Poi ricordo che c’erano molti questionari: questionari che chiedevano ai partecipanti cosa pensavano e le loro reazioni. Tutta una serie di questionari che ci facevano compilare e venivano raccolti, perchè evidentemente dopo l’insuccesso di Milano c’erano molti dubbi sulla validità di un’esperienza di questo tipo. Però nel complesso, ebbi una buona impressione e tornai al CNP con un rapporto positivo, dicendo che era una cosa in qualche modo nuovissima, affascinante, una cosa che valeva la pena di non scartare, come sembrava invece fosse per il caso di Milano. Questo fu nel ‘57.

Bene, quando venne fondato questo comitato dell’EPA con Presidente Charles Mertens de Wilmars in Belgio nel maggio del ‘61, fu fatto il primo seminario in assoluto di dinamiche di gruppo in Europa. Era di tipo internazionale, lo staff era composto da Mertens de Wilmars, da Traugott Lindner che veniva dall’Austria, da Maisonneure, che era francese, e Vanzina, belga, che era co-trainer con Maisonneuve. Le persone provenivano da tutt’Europa però le lingue erano francese e inglese. Per cui avevamo due gruppi: uno francese e uno inglese. La sede era a Bruges. Se voi conoscete Bruges, sapete che ha un’atmosfera molto particolare, è un posto abbastanza incantato; in più eravamo in un convento, con delle suore che avevano dei cappelli con delle grandi ali bianche. Il convento aveva delle ex cappelle e un giardino con un laghetto. Forse questo può far capire meglio le impressioni, le sensazioni di questa esperienza, che credo mi abbia veramente segnato in qualche modo. Abbiamo cominciato questo primo T-group in una stanza con un tavolo al centro; eravamo seduti intorno al tavolo, c’era una lavagna nella stanza, e ricordo che Lindner andò alla lavagna e scrisse qualcosa di molto iapidario come: osservare, analizzare, interpretare, (e forse c’era un altro verbo ancora) tutto quello che succede nel gruppo”.

Scrisse, non disse nulla, poi si sedette insieme a Mertens de Wilmars e noi ci guardammo in faccia. Nel gruppo c’era un’altro italiano con me, Gabriele Ferula, allora dell’IPSOA. Incidentalmente c’erano anche, ma nell’altro gruppo, Remondino, psicologo a quei tempi della Fiat e un funzionario dell’ENPI, un bu.rocrate completamente smarrito assillato dall’idea che doveva fare una relazione scritta su questa cosa ed era preso da quest’incubo. Ferola propose di presentarsi, cosa che poi è diventata molto comune nei T-group. I due trainers erano nello sfondo. E cominciammo a presentarci, con fatica. Dopo di che naturalmente il vuoto. Poi si passò a parlare della pena capitale: certe cose rimangono molto impresse.

Dopodichè di nuovo cademmo nel vuoto e a quel punto Mertens de Wilmars si levò la pipa di bocca e disse: “cosa succede in questo gruppo?” e da lì cominciò il decollo di questo primo T-group. Ve lo racconto come fatto episodico, per farvi anche capire come essendosi incisa chiaramente nella memoria, questa esperienza evidentemente si è incisa anche nella miavita.

E’ difficilissimo per me spiegarvi che cosa a quei tempi voleva dire scoprire il T-group. Perchè dopo secondo me è tutto cambiato, ma a quei tempi con quei punti di riferimento della formazione così classici, così tradizionali, piombare in un tipo di formazione assolutamente fuori da quelle che sono le aspettative e le regole, aveva un suo fascino indescrivibile. Perchè era un po’ come entrare in una dimensione assolutamente diversa dalle tradizionali e familiari: ma anche in una dimensione che aveva qualcosa del mistico e del religioso in un certo senso, del misterioso, un po’ come un incantesimo. Un po’ era l’atmosfera del convento, le suore, i cigni che passavano nel laghetto.
Pensavo: “E’ una realtà o è un sogno o qualche cosa che non riesco a riagganciare al mio passato?”. E al tempo stesso l’euforia, l’entusiasmo, la gioia di scoprire un mondo di questo tipo, in cui si poteva parlare in un certo modo. Un modo completamente diverso da quello che fino a quel momento avevo sperimentato. Questa esperienza mi affascinò: devo dire che mi affascinò senza sapere neanche bene perchè. E decisi che volevo in qualche modo continuare. Per riprendere la storia del T-group in Europa, questo Comitato dopo Bruges, ogni anno ripetè un seminario. Forse potrei aggiungere, prima di proseguire, che l’approccio teorico e comunque lo schema del seminario di Bruges era estremamente semplice, focalizzato sui T-groups, per cui avevamo T-group e Plenarie. I due gruppi non avevano rapporti fra di loro, forse anche per ragioni di lingua, ma avevano ognuno la propria vita e ci incontravamo nelle Plenarie o ai tavoli dove si mangiava ma senza nessun tentativo a scopo di inter-gruppo, assolutamente. Il vero protagonista era il T-group mentre nelle Plenarie si avevano delle lezioni e delle esercitazioni basate molto sul Role-Playing. Tutto molto semplice e molto orientato al T-group.

L’anno successivo andai in America, all’NTL di Bethel e feci un seminario di due settimane e prima ne feci un altro ancora aIl’UCLA (1’ Università di Los Angeles) in California. Era un seminario residenziale di tre giorni e poi, ogni settimana per due mesi ci riunivamo presso l’Università. In questo modo, acquisii il passaporto per poter partecipare a quello che il Comitato di Mertens de Wilmars chiamava Advance Training Program, cioè il programma di formazione avanzata per diventare trainer di T-group. Il che dice anche come fosse stata presa sul serio questa nuova professione. Se uno voleva diventare Trainer di T-group doveva rispondere a certi requisiti. Un requisito era il tipo di personalità ma l’altro requisito era in termini di esperienza, per cui si chiedeva di aver fatto almeno tre T-groups. In che consisteva questo formazione per diventare trainer?

Avevamo un nostro gruppo con un trainer - Lindner - e un osservatore - Claude Faucheaux - e tutte le sedute venivano registrate. In più noi partecipavamo a gruppi, cioè facevamo da osservatori nei gruppi che stavano andando avanti nel programma regolare di T-group e partecipavamo alle sedute dello staff (staff meetings).

Quindi era un programma molto articolato, come vedete, in modo da consentire a chi voleva poi nel futuro fare questo lavoro, di acquisire gradualmente una formazione, mediante l’osservazione nei gruppi condotti da trainers ormai specia­lizzati, le partecipazioni alle riunioni di staff, e quindi agli incontri di riflessione sulle dinamiche complessive. Con una acquisizione sempre maggiore di conoscenza e sensibilità a questo tipo di formazione. Partecipai a questo programma, dopodichè ci fu un altro seminario, e fu l’ultimo, nel ‘64 ad Oxford. Fu un grosso seminario: c’erano 50 persone, 4 o 5 gruppi e lì, come stadio ulteriore di avanzamento nel programma di formazione, io fui affiancata ad Harold Bridger del Tavistock Institute per fare con lui questo co-training. Harold era estremamente disponibile, e dopo ogni seduta di gruppo discuteva su cosa era successo e quindi per me fu molto im­portante perchè veramente mi mise in condizione di essere sempre più sensibile a quello che era la dinamica di gruppo. Nel frattempo, per varie vicissitudini dell’EPA, questo Comitato fu sciolto (‘64).

Fu allora che il gruppo europeo che si andava formando attraverso questi seminari fatti nel tempo, decise di fare un istituto europeo che potesse, in qualche modo anche più valido e più solido, sostituire il Comitato delle Scienze Comportamentali Applicate dell’EPA. Questo istituto si chiama tuttora, perchè esiste anche se in forma meno rilevante, EIT che è una formula molto breve per un nome lungo e ambizioso: European Institute for Transnational Studes in Groups and Organisations che tradotto è: Istituto europeo per gli studi nei gruppi e nelle organizzazioni.
L’EIT nacque ufficialmente nel gennaio del ‘66. A monte c’erano state molte riunioni a cui anch’io partecipai e a cui erano presenti persone di vari paesi, c’erano Max Pagès per la Francia, Gunnar Hjelholt per la Danimarca, che poi diventò presidente dell’EIT nel primo trienmo; Traugott Lindner per l’Austria; e Maisonneure. Insomma, eravamo un gruppo piuttosto nutrito per lanciare questo tipo di attività su basi più organizzate, più articolate e più durature in Europa. Infatti l’EIT. immediatamente si mise al lavoro e ci furono nel ‘66 stesso due seminari. Uno fu nel giugno in Svezia ed io ero nello staff con Richard Beckard del MIT. il quale, in stretto rapporto con l’NTL, (ricordo che tutto questo nasce dal fatto che l’Europa e l’America si erano messe insieme per vedere di trasferire il T-group dall’America all’Europa) era venuto per vedere di continuare questo tipo di aiuio e di contributo. Nel settembre ce ne fu uno molto più grande e internazionale in Austria, a Semmering. Poi ce ne furono di nuovo in Danimarca, a Ebeltaft; nel ‘68 in Italia a Sorrento, e via di seguito. L’EIT è tuttora vivo, ma un po’ agonizzante, mi sembra. Scoprimmo che era molto difficile avere un gruppo europeo. E’ già difficile avere un gruppo di questo tipo a livello nazionale, ma in Europa diventava una cosa abbastanza complicata. Comunque facemmo degli sforzi notevoli per vedere di dare a questo organismo forza e vitalità e per un certo periodo ci riuscimmo. Ci furono poi dei seminari EIT-NTL. Ne ho fatto, per esempio, uno a Capri nel ‘70 dove c’era un collega americano dell’NTL, Sherman Kinsbury. Ci fu un momento in cui effettivamente tutto questo sembrava che funzionasse. Ho poche notizie dell’EIT ora, so solo che si è concentrato - stranamente in termini geografici - in due estremi: in Spagna e in Scandinavia. Si è tentato un programma di formazione di trainers di T-group a livello europeo, ma con grandi difficoltà. Era stato annunciato anche in Italia, ma so che non partecipò nessuno; forse ci fu un problema di lingua oltre che di costi. Comunque a quel punto era più l’Europa centrale che era presente che non il resto di essa.

Questo è uno sguardo alla storia dell’Europa; vorrei ora fare un aggangio con l’Italia.
Ho conosciuto Enzo Spaltro nel maggio del ‘66. Egli venne al termine del seminario di Semmering, e partecipò ad una riunione EIT che si svolse subito dopo a Vienna. In quella occasione entrò in contatto con persone come Lindner, Bridger. Da lì nacque l’idea di fare qualcosa assieme, se possibile, e infatti io lo coinvolsi in un seminario a Grottaferrata nel ‘67 in cui c’eravamo Lindner, Spaltro, Faucheux, e la sottoscritta. Siccome avevamo un problema di lingua, decidemmo che i trainers italiani portavano avanti la dinamica di gruppo, mentre gli stranieri cercavano di capire e poi si commentava, ognuno per conto proprio, quello che era successo. Quindi Lindner ed io commentavamo il nostro gruppo e Fauchaux e Spaltro commentavano il loro. Poi però avevamo delle riunioni di staff collettive e passavamo delle ore insieme per vedere di capire tutta la dinamica globale di questo seminario.

Ricordo queste riunioni non solo con piacere ma anche come una cosa molto importante, perchè per me è da li che è partita la scintilla per l’introduzione della dinamica di gruppo in Italia. Perchè scoprimmo che aldilà di quelle che sono le lingue che si parlano, le culture, la provenienza, avevamo molto in comune e avevamo questa intesa e questa motivazione a portare avanti il discorso. Il seminario di Grottaferrata fu più utile secondo me allo staff che non ai partecipanti. Questa è magari un’idea eccessiva: in ogni modo fu per noi senz’altro molto importante. Fra i partecipanti c’erano molti della IBM, che ha una tradizione di T-group perchè ha un centro in Olanda dove i dirigenti europei vanno per fare dei T-groups. Però l’IBM Italia non fa T-group al suo interno, quindi questa fu un’occasione per l’IBM di mandare persone lì anzichè in Olanda.

Eravamo comunque a gruppi ben assortiti, con poche donne. Questo seminario di Grottaferrata diede il via a quella che fu successivamente l’attività svolta da Spaltro sotto varie etichette. Con Lindner andammo all’IRIPS di Milano per metterci in contatto con questa organizzazione che faceva capo a Spaltro e vedere di incominciare a gettare le basi per un seminario internazionale in Italia che si svolse poi a Inverigo nel settembre del 1967. Da fl partì poi tutta una serie di iniziative che Spaltro ha portato avanti perchè ci credeva, perchè la cosa ci ha coinvolto ed era come una nuova “religione”: ma in realtà c’era veramente qualcosa che andava aldilà del razionale. Secondo me era veramente una scoperta che ci coinvolgeva a livello emotivo in modo notevole.

Attualmente in Europa non so quanto si faccia T-group. In Italia ho fatto un T-group recentemente in un contesto completamente diverso da quelli che avevo sperimentato prima ed è un contesto di comunità terapeutica per ex-drogati (Centro Italiano di Solidarietà, questo il suo nome) dove ho fatto questa esperienza nel settembre scorso. E’ stata realizzata con

Harold Bridger - con cui sono rimasta in contatto tutti questi anni - che aveva trasferito il modello Tavistock su questa organizzazione del tutto anomala, rispetto perlomeno alle organizzazioni che io conoscevo di tipo aziendale. Devo dire che mi ha molto coinvolto anche perchè, come potete immaginare, i partecipanti erano delle persone con ruoli direttivi all’interno del CEIS e però quasi tutti provenienti da esperienze di droga; quindi persone con già una dinamica loro personale molto diversa dal dirigente FIAT o IBM, e su questo non c’era dubbio.

Quindi per me è stata un’esperienza interessantissima, durissima, devo dire, che mi ha riportato a rivivere la vecchia atmosfera. Naturalmente molto diversa dal ‘61 o dal ‘70. Mi ha fatto comunque capire che ci sono organizzazioni che ancora potrebbero utilizzare il T-group. La mia sensazione è che essendo cambiati i tempi non si è più molto centrati o preoccupati di quelli che sono i rapporti interpersonali o il rapporto con l’autorità, ma soprattutto ci si preoccupa di quelle che sono le evoluzioni tecnologiche. Allora, siccome l’evoluzione tecnologica prevale, qualunque altro problema passa in secondo ordine, in particolare quello dell’interazione interpersonale. Il T-groùp viene spesso sentito non solo come un lusso ma forse anche controproducente, fuorviante nel contesto di oggi.

Probabilmente ciò è sbagliato. Mi sembra molto pericoloso come tipo di indirizzo o di tendenza, però oggi credo che la situazione sia questa. Dopo questa esperienza CEIS, ho capito che il T-group è più trasferibile, più utilizzabile in un contesto dove il rapporto con sé stessi e il rapporto con gli altri è ancora fondamentale, vitale, percepito come tale che non in un contesto dove prevalgono considerazioni di profitto, di marketing o di altro genere.

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Laurea in chimica, indirizzo organi co-biologico (Università di Roma, 1946).
Specializzazione post-laurea in psicologia (Facoltà di Magistero di Tonno, 1970)
Dal 1969 al 1972 incaricata di psicologia sociale presso la Scuola di Amministra­zione Industriale di Tonno.
Consulente in psicologia del lavoro e sociale presso Perugina, IBP, IBM Italia, FIAT, Credito Italiano, STET, e altre organizzazioni nazionali e internazionali.
Dal 1961 al 1964: trainìng in dinamica di gruppo in Europa e U.S.A.
Membro dell’E.I.T. (European Institute for transanational studies in ou s and orgamsations) dalla fondazione (1966).
Come tale, ha fatto parte dello staff di seminari internazionali organizzati dal­l’E.I.T. in Europa dal 1966 al 1970.
Trainer in seminari di dinamica di gruppo in Italia dal 1965 ad oggi. Membro dell’NTL (National Training Laboratones), U.S.A.