Il contributo di Lai ha il grande merito di riaprire un dibattito
su un tema che sembra sia stato rimosso dallo scenario accademico
e professionale italiano. La rimozione è un fatto tanto più
strano se si considera che essa riguarda, come ha detto Rogers, "la
più potente tecnica inventata dalle scienze sociali durante
tutto il secolo"
. I motivi di questa rimozione sono tanti e potrebbero occupare da
soli una profonda riflessione. Tuttavia, per ora mi preme fare qualche
precisazione e qualche distinguo in margine al lavoro di Lai.
La sostanziale precisione dellarticolo di Lai ha unombra
di fondo che mi pare vada fugata. Lai sembra dare eccessiva importanza
a coloro che, in passato, vedevano nel T-group un modello esistenziale
o social-politico, scambiando in sostanza una tecnica per un contenuto.
Se non si parte dal concetto che il T-group è una tecnica,
molti sono gli equivoci possibili. Tale errore è stato fatto
da molti e anche per diverse tecniche. Non sono stati pochi i contributi,
anche assai accreditati, che hanno fatto questo errore con la psicoanalisi,
lo psicodramma, la psicosintesi o la bioenergetica. I risultati di
questa confusione hanno sempre prodotto fedi e sette, invece di professionalità
raffinate ed efficaci. Ora le cose stanno cambiando e in meglio, per
fortuna. La maggioranza dei professionisti è arrivata a chiarirsi
meglio il significato di una tecnica e la differenza che esiste fra
una tecnica, una teoria, uno stile, un metodo, una fede.
Una tecnica è uno strumento concreto e operativo, plasmabile
e aggiornabile, ma da inserire in un contenitore più ampio
(il metodo), da fondare su uno scenario produttore di senso (la teoria)
e da interpretare in modo originale (lo stile). La tecnica senza metodo
diventa trucco da fiera, senza teoria diventa orpello, senza stile
diventa freddo automatismo. La concezione per cui una tecnica è
in sé metodo, teoria e stile è solo frutto di illusioni
magiche o di una idolatria tecnocratica tipica delle stagioni infantili.
Che il T-group possa "essere esportabile dai partecipanti alle
organizzazioni da cui provengono" è una idea che può
aver dato a Lai qualche neofita folgorato dalla esperienza della destrutturazione,
ma che non ha mai sfiorato alcun trainer serio. Così come è
dalla fine degli Anni Sessanta (visita di A. Winn allARIPS)
che i trainers sanno bene come i "risultati locali" di un
T-group non possono essere fatti "filtrare nel contesto globale,
nellazienda, nella città, nella società".
Spaltro, assai più criticato che letto e ascoltato, non ha
mai detto che il T-group potesse assumersi il compito di cambiare
il mondo. Semmai certe teorizzazioni macrosociali riguardano i piccoli
gruppi, ma allora siamo in un capitolo ben più ampio e diverso,
rispetto a quello del T-group.
Allo stesso modo, mi sembra fuorviante affermare che "per tutti
(i trainers) limpegno nei T-group non è più esclusivo,
comera una volta, ma rappresenta in genere quasi un dopolavoro
rispetto ad altre attività
". In primo luogo perché
non mi risulta che ci sia stato un tempo né qualche formatore
per il quale il T-group fosse un impegno esclusivo. Ho cominciato
a bazzicare allARIPS nel 1971 quando tutti coloro che allora
vi erano impegnati si occupavano di interventi sulla sicurezza lavorativa.
I primi lavoro che realizzò lISMO, e di cui mi occupai
personalmente, furono una ricerca (seguita da formazione) per venditori
porta-a-porta e un piano di ristrutturazione della Formazione Professionale
della Regione Lombardia. In secondo luogo perché coloro che
hanno continuato a fare il mestiere di formatore (e il T-group è
una tecnica di formazione) non hanno mai smesso di usare il T-group
o tecniche simili da esso derivate.
Enzo Spaltro parla spesso della "sconfitta" del T-group,
come tecnica da usare sul territorio dellinterfaccia tra piccolo
gruppo e società. Ma questo discorso non va inteso come un
problema del T-group, bensì di tutte le tecniche di cambiamento
programmato, applicate ai macrotesti. La onestà di uno psicologo
del lavoro e di un esperto di piccoli gruppi come Spaltro non rende
il T-group meno efficace di latre tecniche che, forse non avendo "padri"
altrettanto lucidi e onesti, vengono contrabbandate come un toccasana.
Per fare qualche esempio, quale efficacia per il cambiamento organizzativo
o sociale hanno mostrato tecniche come la coinemica fornariana, o
la sistemica selviniana, o la socioanalisi di Pagliarani? Il passaggio
dal micro al macro, soprattutto in Italia, è un modo ostico
per ogni tecnica a noi nota. Diverso è il discorso in latri
Paesi, dove il cambiamento organizzativo e sociale viene più
che da noi intenzionalmente programmato. Per citare due casi statunitensi
macroscopici: lNTL ancora oggi, basandosi sul T-group e le sue
derivazioni, forma circa 40.000 dirigenti allanno; lo staff
di consiglieri di Gorbaciov ha partecipato 5 anni fa ad un programma
di formazione che prevedeva anche T-groups. Allo stesso modo diverso
è il discorso in quelle realtà italiane (ancora poche,
ma sempre di più) dove il cambiamento comincia ad essere programmato.
LARIPS consente a circa 300 operatori sociali lanno una
esperienza di T-group e lISMO sta facendo anche di più
nel settore aziendale. Naturalmente non si tratta dei T-groups che
forse alcuni romantici, trasfigurando la loro memoria, hanno sperimentato
venti anni fa. Ma si tratta della stessa tecnica, sia pure evoluta,
inserita i un contesto formativo, supportata da teorie adeguate, e
attuata con stili funzionali agli obiettivi.
Il T-group è una tecnica di formazione, che ha come coordinate
solo tre vincoli: la centratura esclusiva sul presente (qui e ora),
la sovranità plurale (il piccolo gruppo), il ruolo non pedagogico
del conduttore (una direttività ridotta al minimo). Detto ciò
possiamo considerare T-group, o derivato, tutti i momenti formativi
che si traducono in una riflessione collettiva, autocentrata e "condotta"
da uno specialista.
Una prima questione riguarda intanto la distinzione fra i problemi
del T-group e quelli della psicoterapia. Il fatto che certi terapeuti
provengano da esperienze di T-group o facciano cose che "sembrano"
un T-group non ci autorizza a confondere le acque. Sarebbe come confondere
lo psicodramma con il role-playing: tecniche cugine ma assai lontane
fra loro. Una seconda questione riguarda la effettiva diffusione del
T-group: cioè dei momenti formativi autocentranti, collettivi
e con specialista. Forse limpressione della crisi del T-group
è data, ai non specialisti della formazione, dal fatto che
spesso si usano diverse definizioni (e non è raro che tali
diversità dipendano da vera e propria ignoranza) per indicare
attività assai simili.
È difficile trovare, nel sociale come nellimpresa, programmi
formativi che non prevedano momenti detti di "valutazione"
del processo di apprendimento, di "verifica delle motivazioni",
di "riflessioni sul lavoro di gruppo", di "analisi
del clima organizzativo", di "discussione sui ruoli interni",
di "confronto sulle relazioni" fra i partecipanti e questi
e lo staff, e così via. Cosa sono tutte queste attività
se non dispositivi di riflessione collettiva e autocentrata, cioè
T-groups?
Va ricordato che il T-group è nato durante una riunione di
"verifica e valutazione" che lequipe di Lewin faceva
al termine di una giornata di seminario per operatori sociali sulla
integrazione razziale.
Ed ancora, quanti sono i programmi formativi diretti alle skills più
personali (leadership, comunicazione, negoziazione, creatività,
ecc.) che non prevedono momenti autocentranti?
Infine, non mi sembra siano poche le imprese che hanno in corso interventi
di cambiamento organizzativo, che prevedono momenti autocentranti,
nei gruppi omogenei o fra gruppi interfunzionali.
Così come ormai la totalità delle scuole o dei servizi
socio-sanitari sta (ri)organizzandosi, attraverso piani formativi
e consulenze che prevedono in certe fasi momenti autocentranti. Lo
stesso vale per le cooperative e per le piccole imprese del terziario
sociale. È inutile dire che nei casi di gruppi omogenei (family)
il T-group non solo offre un apprendimento individuale da trasferire,
ma anche un apprendimento collettivo che è nello stesso momento
cambiamento organizzativo.
Concludo questo intervento con una riflessione che riguarda la sotterraneità
del T-group. Perché se ne parla poco e spesso in modo imprecisato?
Qui ha ragione Spaltro quando afferma che il T-group è una
tecnica di "periferia", antiautoritaria e non accademica
e perciò poco illuminata dai riflettori dei Congressi e delle
Riviste. Aggiungerei che il T-group è una tecnica "laica":
è nata e si è sviluppata nellunico contesto italiano
che non ha mai creato consorterie, lobbies o corporazioni. Se a ciò
si aggiunge la grande efficacia del T-group, ecco una ipotesi che
può spiegare la sua rimozione: unarma potente, potenzialmente
in mano a tutti, rischia di produrre effettivi cambiamenti
.parliamone
il meno possibile!
Tratto
da "Tecniche", anno 2, numero 2, settembre 1990, Edizioni
Riza, Milano, pag.89-92
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