I PRIMI ANNI DEL T-GROUP IN ITALIA Enzo Spaltro* 
(estratto da T-GRoup. Storia e teoria della"più significativa ionvenzione sociale del secolo" , Clup, 1987 (edizione elettronica edazioni Arcipelago, 2002)

Vorrei evitare il pericolo di nobilitare scientificamente certe cose che sono state abbastanza banali. Per esempio, quando noi siamo partiti col T-group avevamo idea di chi era Lewin, ma molto relativamente. La motivazione nostra non era Kurt Lewin o il seminario di Santa Marinella di cui parlerò.Io diffido un po’ del discorso delle origini nobiliari del T- group. Per fare un paragone, diffido della logica di chi sostiene che Cristo non sia mai esistito e che sia stato inventato da San Paolo: siccome diventare Cristo è difficile tutti tentano di diventare San Paolo. Ho un po’ paura di questo tipo di logica: quindi ho preparato delle riflessioni a flash, cercando di ricordare cosa ho fatto in quel periodo che qualcuno definisce l’alba del T-group.

Per la verità, non ricordo tanto bene che cosa sia successo in quegli anni. So che c’era una grande confusione e mentre sono d’accordo nel definire il T-group come la tecnica didattica più significativa del nostro secolo, mi chiedo ancora oggi come certe cose siano state possibili. Rivedendo centinaia di depliantes di Congressi, di gruppi - a volte T-groups, a volte Laboratori, a volte Clima e a volte Incontri che abbiamo fatto in quegli anni - mi chiedo come mai ciò sia stato possibile e come sia stata così rapidamente metabolizzata e inglobata e scompaginata, questa tecnica, questa attività, questa mentalità. Quello che ci mosse negli anni ‘50 prima e ‘60 poi, fu un disagio, un senso di incompletezza, un bisogno di decidere. Le letture degli anni Cinquanta erano state letture confuse. Non ci andavano bene. Ricordo gli articoli di Matteo Viviano nel ‘55 sulla psicoterapia di gruppo; le esperienze del ‘57 con Pierangelo Achille, con i ragazzi di Ferdinando Barison nel ‘56, in rieducazione. Non avevamo la più pallida idea di che cosa si trattava; ma ci si trovava a discutere e c’era il senso di successo che queste cose davano, e che incentivava nella continuazione. E ci fu il famoso seminario di Santa Marinella a cui parteciparono Mirella Ducceschi e Luigi Meschieri. Io non capii niente di quello che era successo; mi sembrò una cosa “americana”, una delle tante americanate: c’era però la sensazione di una novità. Nel ‘61 ci fu un congresso al Passo della Mendola, sui rapporti tra psicologia e psichiatria. Sembrava una cosa straordinaria che psicologia e psichiatria si parlassero; ma evidentemente il bisogno di comunicazione era grosso. Nel ‘61 ci fu anche il Congresso di Vienna di Psichiatria e fu fondata anche l’Associazione per la Psicologia Italiana del Lavoro.

Nel ‘62 ci fu l’invito di Moreno ad organizzare a Milano il III Congresso di Psicoterapia di Gruppo, che si svolse poi nel ‘63. Seguirono la fondazione dell’Associazione Italiana di Psicoterapia di Gruppo nel ‘62, e il Il Congresso Nazionale a Milano nel ‘63. Da tutte queste iniziative si comprende che le origini dell’interesse per i gruppi furono prevalentemente psicotera­peutiche; di T-group non si parlava. Santa Marinella lanciò l’idea, ma non lanciò l’idea del T-group; si parlava soprattutto di “laboratorio” o di “seminario di relazioni umane. Tra l’altro credo che l’intestazione di quel seminario fosse proprio sulle relazioni umane o sulle relazioni interpersonali; il titolo non era comunque T-group. Successivamente compaiono le prime esperienze. La primissima esperienza in assoluto è nel ‘64 a Gardone: vi partecipò anche Mirella Ducceschi, e fu organizzata da Edoardo Abele. Per essere sincero, in quella occasiòne non capii molto bene di cosa si trattava e nonostante il povero Luigi Meschieri mi invitasse più volte e fossi molto in dubbio, non ci andai.

Questo seminario non ebbe una grande conseguenza perchè fu schiacciato dal dilemma fra accademici e non accademici. Il primo seminario che seguii con molto interesse fu nel settembre del ‘66 a Brunate, con Charles de Villmars, belga, che ci fece una settimana chiamata appunto T- group. Fu la prima volta che io mi imbattei in questo termine, nonostante avessi avuto delle esperienze precedenti negli Stati Uniti e in Canada, di dinamica di gruppo. Mi colpì in quella settimana questo senso di possibilità del successo, questa allucinazione, se vogliamo, di facilità di intervento; la sensazione che certe cose che sembrano impossibili da soli, insieme diventano possibili. Infatti subito dopo fondammo l’IRIG, Istituto di Ricerca sui Gruppi, nel ‘66, che organizzò dei T- groups. Poi ci fu la fondazione dell’IRIPS, il 3 febbraio del ‘68 a Milano, da parte di Stella, Casnatì, Spaltro, Residori e Odescalchi.

Ciò nonostante a mio parere, tutto il movimento del T-group in Italia non si sarebbe sviluppato senza il ‘68. Esisteva il problema di una didattica diversa; e aldilà delle nobiitazioni o delle indubbie radici culturali questa è stato in Italia la molla principale dell’origine del T-group, cioè il bisogno di un obiezione al dato, a quello che esiste, un bisogno di contraddire quella che era la situazione di fatto, una situazione assolutamente inaccettabile e soffocante. C’era proprio un bisogno di dire di “no”. Tra l’altro, questo è abbastanza interessante da tener presente perchè sono convinto che le cose nascono per caso, però spesso attribuire un ordine casuale alle cose nasconde sensi di colpa cioè nasconde una paura di assumersi la responsabilità e l’iniziativa di qualcosa. La casualità dell’origine di un movimento ci scarica dal senso di colpa di essere stati in parte anche noi i responsabili di esso. L’aggressività verso l’autorità, la richiesta di maggiore trasparenza, la voglia di sapere: tutto ciò inizia con un atto di opacità, cioè inizia col pensiero negativo. Inizia col dire “no” che è poi il modo di mettersi opacamente a chiedere trasparenza. Nel momento in cui vogliamo capire di più dei meccanismi di potere, noi dobbiamo cominciare a dire no opacamente, un no irrazionale, un no che non tiene conto di niente e questo dà molti sensi di colpa perchè il dover obiettare, contraddire per principio, per metodo alla situazione è certamente colpevolizzante.

Allora io penso che anche in Italia il T-group non è nato a caso; è nato e si è sviluppato, seguendo questa stimolazione antiautoritaria. Non dimentichiamo questo fatto, perchè se è vero, è importante. Ricordo alcuni appunti presi durante il T-group svolto presso l’Università Cattolica, nel ‘66. Tre giorni chiusi nell’Istituto di Psicologia con Direttori del Personale che si erano iscritti e che gridavano: “Voi ci dovete dire come gestire meglio i nostri uomini" e noi muti come pesci, senza rispondere. Questi partecipanti ogni tanto li trovo in giro, sono diventati, tra l’altro potentissimi e ancora mi rinfacciano di non aver risposto alla loro domanda nel ‘66 al T-group. Poi ci fu un altro seminario all’Hotel Bosco Marino a Inverigo l’8 settembre del ‘67: fu altrettanto interessante perchè lì si formarono molti degli attuali responsabili della formazione dell’impresa. Vi fu il T-group sul cambiamento a Milano dal 5 al 14 settembre del ‘68 che fu un fallimento totale perchè non vi partecipò quasi nessuno. Andammo in giro a cercare amici, parenti, fratelli, perchè sull’idea di cambiamento (eravamo in pieno ‘68 naturalmente) tutti morivano dalla paura. Ricordo che in mezzo agli scontri che c’erano in Piazza Sant’Ambrogio, l’IRIPS che era proprio lì di fronte ospitava feriti, poliziotti e studenti. Nel ‘71 cominciò il discorso sui contenuti: non ci andava più bene di occuparci solo dei processi. Mirella Ducceschi ricorderà certamente le litigate tra lei e me, perchè lei era stata più favorevole all’analisi dei processi di gruppo, mentre io sempre più a favore dei contenuti. Incominciarono i “laboratori”, e questo fu un grosso passo avanti. Sicuramente l’influenza americana si fece sentire, però il discorso dei laboratori fu una nostra scoperta. Ci accorgemmo che finchè c’era un gruppo di 10 persone si faceva un T-group; ma se gli iscritti erano 50 non si poteva più fare un gruppo, essendo il massimo dei partecipanti 12, ma due gruppi, tre gruppi, quattro gruppi e automaticamente la situazione diventava un “laboratorio” perchè simulava un’organizzazione. Così c’era il livello del piccolo gruppo e poi c’era il livello del grande gruppo. In quel periodo, dal ‘71 in poi, si passò da quello che era uno dei canoni del T-group cioè l”’here and now” a una ricerca di contenuti e strutturazioni, “there and then”, cioè dal qui ed ora al là ed allora. Si negò una delle caratteristiche del T- group cioè la atemporalità.

In pratica la destrutturazione del tempo fu controbattuta da una strutturàzione del tempo; una strutturazione parziale che si rifaceva un po’ alle origini del T-group, quando non era possibile partire con una situazione totalmente destrutturata perchè la gente moriva di ansia. L’idea di passare delle settimane in silenzio era un po’ preoccupante, e quindi si cominciò a strutturare qualcosa, ad inventare dei contenuti. E’ chiaro che se ci si avvicinava alla situazione di Lab, cioè in una interazione fra i diversi livelli, era più facile. La strutturazione avveniva per il fatto stesso che esistevano gli “esterni”. Ricordo a Inverigo il caso dell’allucinazione dei vari gruppi: ogni gruppo aveva il suo significato (c’era il gruppo “orso” che rappresentava un’immagine che compariva di notte) e ogni gruppo aveva il suo simbolo. D’altra parte non c’era niente di strano: si riscoprono sempre le cose vecchie. Nel medioevo c’erano le varie comunità che avevano i loro simboli. Evidentemente acquisivano ed usavano dei significati simbolici. In quell’epoca fu molto con noi in Italia una cara persona che amo ricordare qui e che è Alec Win che ci diede un grosso contributo. Win ci insegnò ad usare i cosidetti “modelli di intervento” cioè i T-groups “focalizzati” e ci insegnò anche come praticamente passare alla ricerca dei contenuti senza alterare quella che era la natura “processuale e duale” del T-group. Teniamo presente che in quel periodo c’è stata una produzione febbrile di corsi di psicosociologia, tecniche di intervista, conduzione di riunioni, psicodramma, ecc. Intorno aI ‘70 iniziarono anche le prime esperienze di psicodramma, sempre sotto la spinta di questa tecnica di gruppo chiamata T-group. La quale ha rappresentato e rappresenta ancora oggi il momento più significativo, non dico la cosa più importante, ma certo la più significativa, la più diversa nelle cose fatte nel campo della formazione nel nostro Paese dalla fine della guerra ad oggi.Quando andai a insegnare a Bologna portai pari pari queste esperienze e questo metodo nei miei corsi. Ma il corso non si poteva più fare perchè il “life’ planning” (così chiamavamoo questi T-groups) fluidificava la situazione e finiva in modo molto piacevole, gradevole; i rapporti studenti docenti si modificavano e non si poteva più fare lezione: bisognava fare altre cose. Si insegnavano molte cose, ma di fronte alla strut­tura dei corsi con le lezioni, le aule, gli esami, i seminari, le tesi si restava “disarmati”; era difficile tenere tutto questo insieme. Si arrivò al punto che gli studenti che venivano a lezione da me, entravano mettevano un registratore e se ne andavano; per cui io parlavo a 5 o 6 registratori e l’aula era vuota, non c’era nessuno, perchè c’era un rifiuto del rapporto istituzionalizzato e una richiesta di un rapporto diverso.

Abbiamo fatto molte esperienze coi gruppi. Ma un principio è rimasto, che è tuttora valido e che andrebbe utilizzato: il principio della destrutturazione. Le aziende lo stanno riscoprendo quando si parla di differenziazione/integrazione: praticamente utilizzano la stessa logica al livello anche di strategia, anche se le potenzialità del principio della destrutturazione non sono state ancora sviluppate appieno.Questo principio della destrutturazione oggi satura tutta quella gamma di attività che hanno avuto nel T-group il loro punto di rottura, il punto di inizio. Penso che la cosa più importante è stata proprio il proporre l’idea del pensiero negativo, della obiezione come negazione del dato, il “non sono d’accordo” che Luft ci ha detto essere stato la scintila di inizio del T- group. Dunque il riconoscimento della diversità, il pretendere di cam­biare continuando ad esistere. Un’altra impressione di quel periodo riguarda la sensazione di disagio e di sofferenza che avevamo. Nel ‘70 si è svolto il convegno “Dieci anni di gruppo in Italia”, nel ‘75 l’altro convegno “I piccoli gruppi in Italia”. Gli atti sono pubblicati quindi si potrebbe andare a vedere cosa è successo nei servizi sociali, nelle comunità didattiche, nella conduzione delle riu­nioni, nella conduzione e nel comando delle organizzazioni, nella terapia, nei rapporti interpersonali e nell’ambito anche della soggettività che non è più identificata, oggi, con l’individualità. Ma i discorsi sarebbero molto lunghi. Io penso che la cosa migliore sia che io vi legga una poesia perchè è una poesia del ‘72 fatta durante un T-group e che secondo me non è poi tanto patetica:

"Da una atmosfera di T-group con un viso che avvolge e fa da base al tempo pomeriggio di domenica che avrei voluto diverso. Questa, che non pensavo che non avrei mai pensato mi solleva da un lato ed accompagna altrove il mio posto preferito. Essere altrove, diverso, come se fosse possibile: non come su questa pietra sotto questa pioggia dentro a questa strada. Corro così lentamente il mio rischio mortale esser altrove per sempree non trovare dove e non sapere con chi. Perchè una volta i viaggi si percorrevano in nave o su carri pesanti. Oggi si fanno dentro domenica pomeriggio. Però un poco mi spiace  di non poter girare in questa strada che è sempre uguale, ma così bella piena di bella gente fuori di qui è proibita per la sua stessa dolce banalità. (marzo 1972) 

In realtà fare cose diverse costa, però è un peccato se per questo costo poi non le ‘Si fa più. Ecco, con questo sentimento vorrei concludere: il T-group è costato e costa e adesso le cose che costano forse si preferisce non farle. Però chissà, in futuro, il costo non sarà tanto elevato.  

*Laureato in Medicina nel 1953, Professore di Psicologia Sociale nell’Università Cattolica di Milano dal 1961, Professore di Psicologia del Lavoro nella stessa Università dal 1967, Professore di Psicologia Sociale nell’Università di Trento, Professore di Psicologia del Lavoro nell’Università di Bologna dal 1970, Speciali­sta in Medicina del Lavoro e Psicologia del Lavoro, Presidente dell’Associazione Italiana per la Psicologia Italiana dcl Lavoro dal 1961 al 1969, Presidente del­l’Associazione Italiana di Psicoterapia di di Gnippo dal 1962 al 1966, Assistente all’Università di Montreal (Canada) dal 1959 al 1960, Direttore delle riviste “Psi­cologia e Lavoro” e “Psicologia Italiana”, Direttore dell’istituto di Ricerche e di Interventi Psicosociali dal 1968, Presidente dcli Società Italiana di Psicologia dal1978.E’ autore di: Psicoiogia del lavoro, Milano, Etas Kompass, 1967 - Gruppi e cambiamento, Milano, Etas Kompass, 1969- Psicologia organizzativa dinamica, Milano, Etas Kornpass, 1973 - Storia e Metodo della Psicologia del Lavoro, Milano, Etas Kompass, 1975 - Dizionario di Psicologia del Lavoro, Milano, Ohisoni, 1977 - Lotta contro e lotta per, Milano, CELUC, 1977 - il check-up organizzativo, Milano, ISEDI, 1977 - Psicologia dell’organizzazione, Bologna, CLUEB, 1979