CONTRO IL POTERE! ABOLIRE IL LAVORO! PER UN MONDO DI DESIDERIO TOTALE!
Nessuno dovrebbe mai lavorare.
Il lavoro è la fonte di quasi tutte le miserie del mondo.
Quasi tutti i mali che si possono enumerare traggono origine dal lavoro
o dal fatto che si vive in un mondo finalizzato al lavoro.
Questo non significa che si debba porre fine ad ogni attività
produttiva.
Ciò vuol dire invece creare un nuovo stile di vita fondato sul
gioco; in altre parole, compiere una rivoluzione ludica. Nel
termine "gioco" includo anche i concetti di festa, creatività,
socialità, convivialità, e forse anche arte.
Per quanto i giochi a carattere infantile siano di per sè apprezzabili,
i giochi possibili sono molti di più. Propongo un'avventura collettiva
nella felicità generalizzata, in un'esuberanza libera e interdipendente.
Il gioco non è un'attività passiva. Indubbiamente noi
tutti necessitiamo di dedicare tempo alla pigrizia e all'inattività
assolute molto più di quanto facciamo ora, e ciò senza
doversi preoccupare del reddito e dell'occupazione; ma è anche
vero che, una volta superato lo stato di prostrazione determinato dal
lavoro, pressoché ognuno desidererebbe svolgere una vita attiva.
L'oblomivismo e lo stakanovismo sono due facce di una stessa moneta
falsa.
La vita è totalmente incompatibile con la realtà attuale.
E allora tanto peggio per la "realtà", questo buco
nero che succhia la residua vitalità da quel poco che ancora
distingue la nostra vita nella semplice sopravvivenza. È strano
o forse non tanto che tutte le vecchie ideologie appaiano
conservatrici, e ciò proprio in quanto tutte danno credito al
lavoro. Per alcune di esse, come il marxismo, e la maggior parte delle
varianti dell'anarchismo, la loro fede nel lavoro appare tanto più
salda in quanto non vi è molto d'altro cui esse prestino fede.
I progressisti dicono che dovremmo abolire le discriminazioni sul lavoro.
Io dico che dovremmo abolire il lavoro. I conservatori appoggiano le
leggi sul diritto al lavoro. Allo stesso modo dell'ostinato genero di
Karl Marx, Paul Lafargue, io sostengo il diritto alla pigrizia.. La
sinistra è a favore della piena occupazione. Come i surrealisti
a parte il fatto che sto parlando seriamente io sono a
favore della piena disoccupazione. I trotkisti diffondono l'idea
di una rivoluzione permanente. Io quella di una baldoria permanente.
Ma se tutti gli ideologi, così come accade, sono a favore del
lavoro e non solo perché hanno in mente di far fare ad
altri la parte di esso che loro compete tuttavia sono stranamente
riluttanti ad ammetterlo. Continuano a disquisire all'infinito su salari,
orari, condizioni di lavoro, sfruttamento, produttività e profitto.
Parleranno volentieri di qualunque argomento tranne che del lavoro stesso.
Questi esperti, che sempre si offrono di pensare per noi, raramente
ci renderanno partecipi delle loro conclusioni riguardo al lavoro, e
ciò malgrado il rilievo che esso assume nella vita di noi tutti.
Fra di loro arzigogolano sui dettagli. Sindacati ed imprenditori concordano
sul fatto che sia necessario vendere tempo della nostra vita in cambio
della sopravvivenza, benché poi contrattino sul prezzo. I marxisti
pensano che dovremmo essere diretti dai burocrati. I "libertari" da
uomini d'affari. Le femministe non si pongono il problema di quale forma
debba assumere la subordinazione, purché i dirigenti siano donne.
Chiaramente questi mercanti di ideologie mostrano un notevole disaccordo
su come dividersi le spoglie del potere. Ma è ancora più
chiaro che nessuno di loro ha nulla da obiettare sul potere in quanto
tale, e che tutti costoro vogliono che noi si continui a lavorare.
Forse vi state chiedendo se stia schermando o parlando seriamente. L'uno
e l'altro. Essere ludici non significa essere incongruenti. Il gioco
non è necessariamente un'attività frivola, ancorché
l'essere frivoli non significhi essere superficiali; molte volte è
necessario prendere seriamente ciò che appare frivolo. Vorrei
che la vita fosse un gioco, ma che la posta in gioco fosse alta. Vorrei
continuare a giocare per sempre.
L'alternativa al lavoro non è solo l'ozio. Essere ludici non
è essere QUAALUDIC. Sebbene ritenga molto apprezzabile il piacere
del sonnecchiare, questo non è mai così appagante come
quando fa da pausa rispetto ad altri piaceri e distrazioni. E non sto
nemmeno esaltando quella valvola di sfogo comandata a tempo chiamata
"tempo libero": lungi da me. Il tempo libero è un non-lavoro,
che esiste in funzione del lavoro. Il tempo libero è tempo impiegato
a ristabilirsi dagli effetti del lavoro, non è altro che il tentativo
frenetico e frustrante di dimenticare il lavoro. Molta gente torna dalle
vacanze talmente spossata, che non vede l'ora di tornare al lavoro per
potersi finalmente riposare. La principale differenza tra il lavoro
e il tempo libero è che al lavoro in fin dei conti sei pagato
per la tua alienazione e per il logoramento dei tuoi nervi.
Non sto proponendo astratti giochi di parole. Quando affermo che voglio
abolire il lavoro, intendo dire esattamente quello che sto dicendo,
ma ora voglio chiarire la questione definendone i termini in modo non
emotivo. La mia definizione minima di lavoro è quella di lavoro
forzato, cioè, produzione obbligatoria. Entrambi gli elementi
sono essenziali. Il lavoro è produzione imposta attraverso strumenti
economici e politici, cioè col metodo del bastone e della carota.
(La carota è la continuazione del bastone con altri mezzi). Ma
non ogni produzione è lavoro. Il lavoro non è mai un'attività
fine a se stessa, ma è sempre svolto in vista di una certa produzione
o risultato che il lavoratore (o, più spesso, qualcun altro)
trae da esso. Questo è ciò che il lavoro necessariamente
rappresenta. Definirlo significa disprezzarlo. Ma il lavoro è
di solito molto peggio di quanto esprima la sua definizione. La dinamica
del dominio intrinseca al lavoro lo spinge nel corso del tempo lungo
un percorso evolutivo. Nelle società avanzate basate sul lavoro,
e quindi in tutte le società industriali, sia capitalistiche
che "comuniste", il lavoro invariabilmente acquisisce ulteriori
connotati che ne accentuano il carattere ripugnante.
Di solito e questo e ancor più vero nei paesi "comunisti"
che in quelli capitalisti, in quanto in essi lo Stato è praticamente
l'unico datore di lavoro e ognuno è lavoratore dipendente
il lavoro è lavoro subordinato, vale a dire lavoro salariato,
ciò che significa vendersi a rate. Così il 95% degli americani
che lavorano, lavora per qualcun altro (o qualcos 'altro). In
Russia, a Cuba, in Jugoslavia, o in qualsiasi altra situazione del genere
a cui si voglia far riferimento, la percentuale corrispondente si avvicina
al 100%. Solo le fortezze contadine sotto assedio costituite dai Paesi
agricoli del Terzo Mondo cioè Messico, India, Brasile,
Turchiadifenderanno ancora per qualche tempo l'esistenza di forti
concentrazioni di agricoltori che perpetuano la condizione tradizionale,
comune alla maggior parte dei lavoratori negli ultimi millenni, cioè
il pagamento di tasse (= riscatto) allo Stato o dell'affitto a proprietari
terrieri parassitari, in cambio della semplice possibilità di
vivere in pace. Ma ora anche un patto così brutale comincia ad
apparire accettabile. Ora tutti i lavoratori dell'industria (e negli
uffici) sono salariati e sottoposti ad un tipo di sorveglianza che ne
assicura il servilismo.
Ma il lavoro moderno implica conseguenze ancora peggiori . La gente
non lavora in senso proprio, ma svolge delle "mansioni". Ognuno svolge
continuamente una sola mansione produttiva in forma coercitiva. Anche
nel caso in cui il lavoro presenta un certo interesse intrinseco (carattere
sempre meno presente in molte occupazioni) la monotonia derivante da
tale coercizione all'esclusività elimina il suo potenziale ludico.
Una "mansione" che, qualora venisse svolta per il piacere che ne deriva,
impegnerebbe le energie di alcune persone per un lasso di tempo ragionevolmente
limitato, si tramuta invece in un peso per coloro che la devono svolgere
per 40 ore la settimana, senza poter dire nulla su come dovrebbe essere
svolta, e questo per il profitto dei proprietari, i quali non contribuiscono
affatto al progetto, e senza nessuna opportunità di dividere
i compiti e di distribuire il lavoro fra quelli che effettivamente lo
devono compiere. Questa è la realtà del mondo del lavoro:
un mondo di confusione burocratica, di molestie e discriminazioni sessuali,
di capi ottusi che sfruttano e tiranneggiano i loro subordinati i quali
- secondo ogni criterio razionale - sarebbero in realtà nella
posizione di decidere da soli. Ma nel mondo reale il capitalismo subordina
l'aumento razionale della produttività e del surplus alla propria
esigenza di tenere sotto controllo l'organizzazione della produzione.
Il senso di degradazione che molti lavoratori sperimentano sul lavoro
deriva da un insieme di prevaricazioni, le quali possono essere riassunte
nel termine "disciplina". Nell'analisi di Foucault esso risulta
essere abbastanza semplice. La disciplina consiste nell'insieme di quei
sistemi di controllo totalitari che vengono applicati sul posto di lavoro
- sorveglianza, lavoro ripetitivo, imposizione di ritmi di lavoro, quote
di produzione, cartellini da timbrare all'entrata e all'uscita-. La
disciplina è ciò che la fabbrica, l'ufficio e il negozio
condividono con la prigione, la scuola e il manicomio. Storicamente
questo sistema risulta essere qualcosa di originale e terrificante.
Un tale risultato va al di là delle possibilità di demoniaci
dittatori del passato quali Nerone, Gengis Khan, o Ivan il Terribile.
Nonostante le loro peggiori intenzioni, essi non disponevano di macchine
atte a un controllo dei loro sudditi così capillare quanto quello
attuato dai despoti moderni. La disciplina è un diabolico modo
di controllo tipicamente moderno, è un corpo estraneo prima d'ora
mai visto, e che deve essere espulso alla prima occasione.
Tale è la natura del "lavoro". Mentre il gioco è
esattamente il suo opposto. Il gioco è sempre deliberato. Ciò
che altrimenti sarebbe gioco si tramuta in lavoro quando diviene un'attività
coercitiva. Questo è lampante. Bernie de Koven ha definito il
gioco come la "sospensione della consequenzialità".
Tale definizione è inaccettabile se implica che il gioco non
sia un'attività conseguente. La questione non è se il
gioco sia privo di conseguenze. Affermare ciò significa svilire
il gioco. Il fatto è che le conseguenze, quando ci sono, hanno
il carattere della gratuità. Il giocare e il donare sono attività
fortemente correlate, sono aspetti comportamentali e transazionali relativi
ad uno stesso impulso, l'istinto del gioco. Condividono lo stesso aristocratico
disprezzo per i risultati. Il giocatore vuole ottenere qualcosa dal
gioco; questo è il motivo che lo spinge a giocare. Ma la ricompensa
essenziale sta nell'esperire quella stessa attività, qualunque
essa sia. Uno studioso del gioco altrimenti avvertito, qual è
stato Johan Huizinga (Homo ludens), definisce il gioco come un'attività
retta da regole. Per quanto io nutra rispetto per l'erudizione di Huizinga,
respingo energicamente una tale limitazione. Esistono, è vero,
numerosi e ottimi giochi (scacchi, baseball, monopoli, bridge) che seguono
regole ben precise. Tuttavia, l'attività ludica comprende molto
più che il gioco normato. La conversazione, il sesso, il ballo,
i viaggi - queste attività non seguono regole ma sono sicuramente
dei giochi, se mai ne esiste qualcuno -. E delle regole ci si può
prender gioco facilmente, come di qualsiasi altra cosa.
Il lavoro si fa beffe della libertà. La linea ufficiale è
che a tutti sono riconosciuti dei diritti, e che viviamo in una democrazia.
Ma esistono individui meno fortunati che non sono così liberi
come noi e vivono in Stati di Polizia. Costoro sono delle vittime costrette
ad eseguire continuamente ordini senza discussioni, per quanto essi
possano essere arbitrari. Le autorità li sorvegliano strettamente.
I burocrati controllano anche i più piccoli dettagli della loro
vita quotidiana. I funzionari che li comandano a bacchetta, rispondono
solo ai diretti superiori, siano essi pubblici o privati. Il dissenso
e la disobbedienza vengono entrambi repressi. Gli informatori riferiscono
regolarmente alle autorità. Ovviamente tutto ciò rappresenta
una situazione terrificante.
E così è, sebbene questa non sia altro
che la descrizione di un moderno luogo di lavoro. I progressisti, i
conservatori e i libertari che si lamentano del totalitarismo sono falsi
e ipocriti. Cè più libertà in una dittatura
modernamente destalinizzata di quanta ve nè in America
in un ordinario luogo di lavoro. In un ufficio o in una fabbrica trovi
lo stesso genere di gerarchia o di disciplina proprio di una prigione
o di un monastero infatti, come Foucault ed altri hanno dimostrato,
prigioni e fabbriche nascono allincirca nello stesso periodo,
e i loro gestori consapevolmente si scambiano fra loro le tecniche di
controllo. Il lavoratore è uno schiavo part-time. il datore di
lavoro decide quando bisogna comparire sul luogo di lavoro e quando
bisogna andarsene, e cosa si deve fare in quel lasso di tempo. Tu dice
quanto lavoro devi fare e a che ritmo. Ha la facoltà di spingere
il suo controllo fino ad estremi umilianti, stabilendo, se lo desidera,
quali vestiti devi indossare e quanto spesso puoi recarti al gabinetto.
Con poche eccezioni può licenziarti per una ragione qualsiasi,
o anche per nessuna. Può spiarti facendo uso di informatori ed
ispettori, compila un dossier per ogni impiegato. Latto di ribattere
viene chiamato "disobbedienza", proprio come se il lavoratore
fosse un bambino impertinente. Egli non solo può licenziarti,
ma può anche farti perdere il diritto dei sussidio di disoccupazione.
Senza necessariamente avallare un tale atteggiamento in rapporto ai
bambini stessi, è degno di nota che a scuola e a casa essi ricevono
lo stesso trattamento, giustificato nel loro caso da una supposta immaturità.
E che cosa fa venire in mente tutto ciò riguardo i loro genitori
o i loro insegnanti in quanto lavoratori?
Per decenni, e per la maggior parte delle loro vite, lumiliante
sistema di dominio che ho descritto regola più della metà
del tempo che la maggior parte delle donne e la stragrande maggioranza
degli uomini passano in stato di veglia. In rapporto a certi scopi,
non è troppo fuorviante chiamare il nostro sistema democrazia,
oppure capitalismo, o meglio ancora industrialismo, ma i termini più
appropriati sarebbero fascismo e oligarchia dufficio. Chiunque
dica che certe persone sono "libere" mente o è uno
sciocco. Tu sei quello che fai: se fai un lavoro stupido, noioso, monotono,
hai buone probabilità di diventare stupido, noioso e monotono.
Il lavoro è la migliore spiegazione per il cretinismo servile
da cui siamo circondati, ancor più dei pur potenti meccanismi
di istupidimento rappresentati dalla televisione e dal sistema di istruzione.
Gente irreggimentata per tutta la vita, sospinta al lavoro dalla scuola,
rinchiusa nella famiglia allinizio della loro vita e in una casa
di cura alla fine, non può che essere assuefatta alla gerarchia
e mentalmente schiava. Ogni attitudine allautonomia risulta talmente
atrofizzata che la paura della libertà è tra le fobie
che in loro appaiono razionalmente fondate. Laddestramento alle
dedizione verso il lavoro ha luogo nelle loro famiglie di provenienza,
ma anche nellambito della politica, della cultura, e in ogni altro
campo di attività, riproducendo così il sistema in più
di una maniera. Una volta che la vitalità della gente sia stata
loro sottratta nellambito del lavoro, è molto probabile
che costoro si sottometteranno alla gerarchia e agli specialisti in
rapporto ad ogni altra attività. Ci sono abituati.
Siamo così immersi nel mondo del lavoro che non possiamo renderci
completamente conto di quanto esso determini la nostra esistenza. Dobbiamo
così affidarci ad osservatori esterni, prodotto di altre epoche
e di altre culture, se vogliamo essere in grado di percepire pericoli
e il carattere patologico della nostra presente condizione. Nel nostro
passato vi fu unepoca in cui "letica del lavoro"
sarebbe stata comprensibile, e forse Weber era sulla strada giusta quando
collegò la sua scomparsa allavvento di una nuova religione,
il calvinismo, poiché se tale etica fosse comparsa oggi invece
di 4 secoli fa sarebbe stata appropriatamente e immediatamente riconosciuta
come il prodotto di una scelta. Comunque stiano le cose, possiamo solo
far ricorso alla saggezza degli antichi se vogliamo collocare il lavoro
in una prospettiva storica. Gli antichi considerano il lavoro per ciò
che effettivamente è, ed il loro punto di vista prevalse, nonostante
le eccentricità calviniste, fino a quando le loro idee non vennero
cancellate dallindustrialismo, ma non prima di ricevere lapprovazione
dei suoi stessi profeti.
Ammettiamo per un momento la falsità della tesi secondo la quale
il lavoro riduce luomo ad una condizione di insensata sottomissione.
Ammettiamo pure, a dispetto di ogni plausibile visione della psicologia
umana e dellideologia degli imbonitori, che il lavoro non abbia
alcun effetto sulla formazione del carattere. E conveniamo ancora che
il lavoro non sia così noioso, faticoso e umiliante come ben
tutti sappiano esso sia nella realtà. Anche se così fosse,
la realtà del lavoro mostrerebbe ancora quanto siano derisorie
tutte le prospettive a carattere umanistico e democraticistico ad esso
connesse, e ciò proprio in quanto esso usurpa una parte così
rilevante del nostro tempo. Socrate disse che i lavoratori manuali diventano
dei cattivi amici e pessimi cittadini, e ciò in quanto non dispongono
del tempo necessario alladempimento dei doveri inerenti allamicizia
e alla cittadinanza. Aveva perfettamente ragione. A causa del lavoro,
qualunque cosa facciamo, la facciamo guardando lorologio. Ciò
che è "libero" nel cosiddetto tempo libero, è
nientaltro che un insieme di attività paralavorative che
oltre tutto non costano nulla al padrone. Infatti, il tempo libero è
dedicato soprattutto a prepararsi al lavoro, a tornare dal lavoro, a
riposarsi dal lavoro. Il tempo libero è un eufemismo che allude
al è particolare carattere del lavoro come fattore di produzione,
costituito dal fatto che esso non solo provvede a sue spese al proprio
trasporto al e dal posto di lavoro, ma si assume lonere principale
per quanto concerne la propria manutenzione e la relativa messa a punto.
Il carbone e lacciaio questo non lo fanno. Il tornio e la macchina
da scrivere neppure. Mentre i lavoratori sì. Nessuna meraviglia
se Edward G. Robinson in uno dei suoi film di gangster proclama: "Il
lavoro è per gli imbecilli!".
Sia Platone che Senofonte attribuiscono a Socrate ed ovviamente
siamo daccordo con lui una profonda consapevolezza circa
gli effetti distruttivi del lavoro sul lavoratore, sia in quanto cittadino
che come essere umano. Erodoto considerava il disprezzo per il lavoro
come un tratto caratteristico della Grecia classica al culmine della
sua fioritura. Traendo dalla civiltà romana un solo esempio,
osserviamo che Cicerone affermava: "Chiunque offra il suo lavoro
in cambio di denaro vende se stesso, e pone sé medesimo nel novero
degli schivi". Oggigiorno una tale franchezza è molto rara,
ma le attuali società primitive, quelle che noi guardiamo dallalto
in basso, ci mandano messaggi che hanno influenzato gli antropologi
occidentali. I Kapauku della Nuova Guinea occidentale, secondo Posposil,
hanno una concezione equilibrata della vita, e coerentemente ad essa
lavorano solo a giorni alterni, essendo il giorno del riposo destinato
"a riguadagnare il potere perduto e la salute". I nostri antenati,
ancora alla fine del XVIII secolo, quando già si erano inoltrati
lungo il cammino che porta alla nostra triste situazione attuale, almeno
erano consapevoli di ciò che noi abbiamo dimenticato, cioè
del lato oscuro dellindustrializzazione. La loro osservanza riguardo
il "Santo Lunedì" cioè la pratica de
facto della settimana di cinque giorni 150-200 anni prima della sua
instaurazione per legge era la disperazione dei primi proprietari
di industria. Fu necessario molto tempo prima che essi accettassero
la tirannia della sirena, strumento che precede lorologio a sveglia.
Infatti, fu necessario per un paio di generazioni sostituire gli adulti
maschi con donne abituate allobbedienza, e bambini che potevano
essere plasmati secondo le necessità della produzione industriale.
Perfino i contadini sfruttati nellancien regìme
riuscivano a strappare una considerevole quantità di tempo ai
proprietari terrieri. Secondo Lafaegue, un quarto del calendario dei
contadini francesi era dedicato alle domeniche e ad altre festività,
e le cifre, desunte da Chaynov relative a villeggi della Russia zarista,
che è arduo qualificare come società progressista, mostrano
analogamente che i contadini dedicavano al riposo un quarto o un quinto
dei loro giorni. In rapporto al livello di produttività siamo
ovviamente molto indietro rispetto a queste società arretrate.
I mugiki sfruttati sarebbero molto stupiti del fatto che vi sia
ancora qualcuno di noi che lavori. E noi dovremmo condividere tale stupore.
Comunque, al fine di comprendere pienamente la profondità del
deterioramento della nostra condizione consideriamo ora la vita dellumanità
primitiva, senza stato e proprietà, quando conducevano unerrabonda
esistenza come cacciatori e raccoglitori. Hobbes presume che la loro
vita fosse pericolosa, brutale e breve. Anche altri sostengono che allora
la vita fosse una lotta continua e disperata per la sopravvivenza, una
guerra contro una Natura ostile, con la morte e ogni genere di sventure
in agguato per i meno fortunati, o per chiunque si fosse rivelato inadatto
alla sfida posta dalla lotta per lesistenza. In realtà
tale idea rappresenta nientaltro che una proiezione del timore
diffuso nellInghilterra di Hobbes ai tempi della Guerra Civile,
e proprio di comunità non abituate a fare a meno dellautorità,
riguardo un possibile crollo della struttura dello Stato. I connazionali
di Hobbes avevano già incontrato forme alternative di società
che mostravano altri modi di vita particolarmente nel Nord America
ma queste erano già troppo lontane dalla loro esperienza
per essere comprensibili. (I ceti inferiori, più alle condizioni
degli Indiani, potevano comprendere meglio questo modo di esistenza
e spesso ne furono attratti: durante tutto il XVII secolo i coloni inglesi
abbandonarono il loro mondo unendosi alle tribù indiane, oppure
quando vennero catturati in guerra, rifiutarono di tornare. Mentre gli
indiani non si rifugiavano presso gli insediamenti dei bianchi, non
più di quanto i tedeschi saltassero il muro di Berlino da ovest
verso est). Il darwinismo, nella versione "della sopravvivenza
del più adatto" cioè quella di Thomas Huxley
costituisce più una fedele immagine della condizioni economiche
dellInghilterra vittoriana di quanto fosse della selezione naturale,
come lanarchico Kropotkin dimostrò nel suo libro Il
Mutuo Appoggio, un fattore dellevoluzione. (Kropotkin fu uno
scienziato un geografo che ebbe modo, del tutto involontariamente,
di sperimentare a fondo il lavoro dei compi quando venne esiliato in
Siberia: sapeva di cosa stava parlando). Come la maggior parte delle
teorie sociali politiche, ciò che Hobbes e i suoi successori
hanno raccontato appare nullaltro che qualcosa di simile ad una
autobiografia non autorizzata. Lantropologo Marshall Sahlins,
studiando i dati disponibili sugli attuali cacciatori-raccoglitori,
confutò il mito hobbesiano in un articolo intitolato "Loriginaria
società dellabbondanza". Infatti, essi lavorano molto
meno di noi, ed è difficile distinguere il loro lavoro da ciò
che noi chiamiamo gioco. Sahlins conclude che "cacciatori e raccoglitori
lavorano meno di noi; la ricerca di cibo, invece di essere un compito
continuo, è unattività saltuaria mentre dispongono
di molto tempo da dedicare al riposo, e la quantità di tempo
da dedicare al riposo, e la quantità di tempo consacrata al sonno
da ciascun individuo nel corso di un anno è molto maggiore che
in qualsiasi altro tipo di società". Essi "lavorano"
in media quattro ore al giorno, presumendo che si possa ancora chiamare
lavoro tale attività. Il loro "lavoro" così
come esso ci appare, è un lavoro altamente qualificato che coinvolge
tutte le loro capacità fisiche ed intellettuali; un lavoro non
qualificato su larga scala, dice Sahlins, è impossibile eccetto
che nellindustrialismo. Pertanto, tale attività è
adeguata alla definizione di gioco data da Friedrich Schiller, secondo
la quale esso costituisce lunico ambito in cui luomo può
realizzare completamente la sua umanità, "mettendo in gioco"
entrambi i lati della sua duplice natura, cioè intelletto e passione.
Così egli afferma: "lanimale lavora quando
la privazione diventa limpulso fondamentale della sua attività
e gioca quando limpulso fondamentale proviene dalla pienezza
delle sue forze, quando una vitalità sovrabbondante diviene il
proprio stimolo allattività". (Una versione moderna
di tale concezione ma è dubbio che abbia carattere evolutivo
è data dalla contrapposizione che Abraham Maslov postula
tra motivazione da "deprivazione" e motivazione da "crescita").
In rapporto alla produzione, gioco e libertà sono coestensivi.
Anche Marx, che (nonostante tutte le sue buone intenzioni) appartiene
al pantheon dei produttivisti, osserva che: "Di fatto il regno
della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro
determinato dalla necessità e finalità esterna".
Infatti, non giunge mai del tutto a definire questa felice condizione
per quella che è, cioè come abolizione del lavoro
sarebbe piuttosto anomalo, del resto essere a favore dei lavoratori
ma contro il lavoro mentre noi possiamo permettercelo.
Laspirazione ad andare indietro, o avanti, verso una vita senza
lavoro è evidente in ogni seria storia sociale o culturale dellEuropa
pre-industriale, tra cui England in transition di M. Dorothy
George e Popular culture in early modern Europe di Peter Burke.
Risulta pertinente anche il saggio di Daniel Bell "Il lavoro
e le sue insoddisfazioni", che costituisce, a quanto ne so,
il primo scritto che si diffonda con tale ampiezza sulla "rivolta
contro il lavoro", saggio che, quando venga rettamente interpretato,
incrina fortemente il generale compiacimento che circonda il volume
in cui esso compare, cioè, The End of Ideology. Né
i critici né gli elogiatori hanno notato che la tesi di Bell
sulla fine delle ideologie segnalava non la fine dei movimenti sociali
ma linizio di una nuova fase, per la quale non esistono mappe,
libera e non conforme ad alcuna ideologia. Fu Seymour Lipset (in Political
man), e non Bell di certo, ad annunciare nello stesso periodo che: "I
problemi fondamentali della rivoluzione industriale sono stati risolti",
e ciò solo pochi anni prima che linsoddisfazione, fosse
essa post-modena o meta-industriale, manifestata dagli studenti del
suo college inducesse Lipset ad abbandonare lUC di Berkley per
la situazione relativamente (e temporaneamente) più tranquilla
che gli offriva Harvard.
Così come rileva Bell, in La ricchezza delle nazioni,
Adam Smith, nonostante tutto il suo entusiasmo per il mercato e la divisione
del lavoro, era più consapevole (ed anche più onesto)
riguardo il lato sgradevole del lavoro di Ayn Rand, gli economisti di
Chicago, o qualche altro moderno epigono di Smith. Smith osserva: "Le
doti intellettuali della maggior parte degli uomini sono necessariamente
determinate dalle loro occupazioni ordinarie. Un uomo la cui vita trascorre
nello svolgimento di qualche semplice operazione (
) non ha occasione
di esercitare la sua intelligenza (
). Generalmente diventa stupido
e ignorante come solo un uomo può diventarlo". Qui, in queste
poche aspre parole, è compiutamente espressa la mia critica del
lavoro. Bell, scrivendo nel 19756, cioè nellEtà
dellOro dellimbecillità eisenhoweriana e dellautocompiacimento
americano, già avvertiva il malessere disorganizzato, e non organizzabile,
così come si sarebbe poi manifestato nel 1970; quel malessere
che nessuna tendenza politica era in grado di sfruttare; quello che
veniva riconosciuto nel rapporto redatto dalla HEW "Working America";
quello stesso malessere che non si prestava ad essere recuperato e così
veniva ignorato. Tale problema è costituito dalla rivolta contro
il lavoro. Esso non compare negli scritti di alcun economista del laissez
faire Milton Friedman, Murray Rothbard, Richard Posner
poiché, per esprimersi come gli eroi di Star Trek, "non
quadra".
Se queste obiezioni, informate allamore della libertà,
non riescono a persuadere gli umanisti a compiere una svolta utilitaristica
o anche paternalistica, vene sono altre delle quali non possono non
tener conto. Possiamo affermare, prendendo a prestito il titolo del
libro, che il lavoro è un rischio per la tua salute. Infatti
il lavoro è un assassinio di massa, cioè un genocidio.
Direttamente o indirettamente il lavoro ucciderà la maggior parte
delle persone che legge queste righe. Tra i 14.000 e i 25.000 lavoratori
vengono uccisi ogni anno in questo paese dal loro lavoro. Oltre 2 milioni
rimangono invalidi. I feriti ammontano a 20-25 milioni ogni anno. E
queste cifre si basano su di una stima molto cauta di quello che costituisce
un danno causato da attività lavorative, cioè non viene
incluso mezzo milione di casi di malattie professionali che insorgono
ogni anno. Ho avuto tra le mani un testo di medicina del lavoro spesso
1.200 pagine. Anche questo tocca a mala pena la superficie del problema.
Le statistiche disponibili comprendono i casi più evidenti, come
i 100.000 minatori che contraggono la silicosi, dei quali 4.000 muoiono
ogni anno, cioè una percentuale di decessi che risulta, ad esempio,
più elevata di quella dellAIDS, malattia cui i media prestano
così tanta attenzione. Tutto ciò riflette lassunto
non dichiarato secondo il quale i pervertiti afflitti dallAIDS
dovrebbero controllare la loro depravazione, mentre coloro che estraggono
il carbone svolgono unattività sacrosanta e fuori discussione.
Quello che le statistiche non lasciano trapelare è il fatto che
il lavoro abbrevia il tempo di vita a 10 milioni di persone, ciò
che, daltra parte, è il significato proprio del termine
omicidio. Ci riferiamo a quei dirigenti che si ammazzano di lavoro alletà
di 50 anni, ci riferiamo a tutti i dipendenti.
Anche se non si rimane uccisi o mutilati mentre si è effettivamente
al lavoro, ciò può tranquillamente accaderci mentre ci
rechiamo al lavoro, o stiamo tornando dal lavoro, oppure mentre lo stiamo
cercando, o tentiamo di dimenticarlo. La maggior parte delle vittime
di incidenti dauto stavano svolgendo una di queste attività
legate al lavoro, oppure vennero travolte da qualcuno impegnato in esse.
A questo computo dei cadaveri, pur così ampliato, occorre aggiungere
le vittime dellinquinamento industriale, del traffico automobilistico,
dellalcolismo indotto dal lavoro e del consumo di droga. Anche
il cancro e le malattie cardiocircolatorie sono dei mali moderni, e
normalmente sono attribuibili, direttamente o indirettamente, al lavoro.
Il lavoro, dunque, istituzionalizza lomicidio come modo di vita.
La gente pensava che i cambogiani fossero pazzi dal momento che si sterminavano
fra loro in quel modo, ma noi siamo poi molto diversi? In fondo il regime
di Pol-Pot, per quanto in modo confuso, si poneva nella prospettiva
di una società egualitaria. Noi sterminiamo la gente in ecatombi
esprimibili in numeri di 6 cifre (come minimo) per vedere Big Mac e
Cadillac ai superstiti. I nostri 40 o 50 mila morti, che registriamo
annualmente sulle nostre autostrade sono vittime, non martiri. Muoiono
per nulla o piuttosto, muoiono per il lavoro. Ma il lavoro è
nulla, e non vale la pena di morire per esso.
Cattive notizie per i progressisti: in un contesto che si presenta come
una questione di vita o di morte i palliativi di tipo normativo sono
inutili. A livello federale, allOccupational Safety and Health
Administration venne affidata la vigilanza per quanto concerne il problema
centrale, cioè la sicurezza sul posto di lavoro. Ma anche prima
che Reagan e la Corte Suprema ne paralizzassero lattività,
la OSHA era già una farsa. Nonostante i precedenti (e confronto
agli standard attuali) generosi livelli di finanziamento dellera
Carter, ci si poteva aspettare mediamente unispezione casuale
ad un posto di lavoro, da parte di un funzionario dellOSHA, una
volta ogni 46 anni.
Affidare il controllo delleconomia dello stato non è una
soluzione. Semmai, il lavoro è più pericoloso in uno stato
socialista che altrove. Migliaia di lavoratori russi sono stati uccisi
o feriti durante la costruzione della metropolitana a Mosca. Voci pervenute
attorno ad incidenti verificatesi nellUnione Sovietica e passati
sotto silenzio, fanno sembrare Times Beach e Three Mile Island semplici
esercitazioni di allarme aereo per le scuole elementari. Daltro
canto, la deregulation, ora di moda, non serve molto, anzi probabilmente
peggiora la situazione. Fra le altre cose, anche dal punto di vista
della salute e della sicurezza, il lavoro mostrava il suo lato peggiore
proprio nel periodo in cui leconomia più si avvicinava
al modello laizzer-faire. Storici come Eugene Genovese, analogamente
a quanto affermavano gli apologeti della schiavitù prima della
guerra di secessione, hanno sostenuto in maniera persuasiva la tesi
secondo la quale i salariati degli stati del Nord America e dellEuropa
stavano peggio degli schiavi nelle piantagioni del sud. È chiaro
che nessun mutamento di rapporti tra burocrati e uomini daffari
può cambiare qualcosa per quanto concerne la produzione. Limposizione
di misure coercitive, o anche solo lapplicazione che in teoria
lOSHA potrebbe imporre della piuttosto vaga normativa vigente,
comporterebbe probabilmente il blocco delleconomia. Chiaramente
i funzionari competenti se ne rendono conto, poiché finora non
hanno nemmeno tentato di diventare più severi coi trasgressori.
Quello che ho detto finora probabilmente non susciterà grandi
opposizioni. Molti lavoratori sono stufi del lavoro. Si manifestano
forti e crescenti tassi di assenteismo, dimissioni, furti e sabotaggi
compiuti da dipendenti, scioperi spontanei e soprattutto frodi sul lavoro.
Ciò può significare che vi è un movimento verso
il futuro cosciente e non solo viscerale del lavoro. Eppure, lidea
prevalente universalmente diffusa sia tra i padroni e i loro agenti,
che tra i lavoratori stessi, è che il lavoro sia inevitabile
e necessario.
Non sono daccordo. È possibile fin dora abolire il
lavoro e sostituirlo, nella misura in cui sia finalizzato a scopi utili,
con una molteplicità di attività libere e di nuovo genere.
Al fine di abolire il lavoro è necessario procedere lungo due
direzioni, una quantitativa e laltra qualitativa. Per quanto riguarda
il lato quantitativo, dobbiamo decurtare massicciamente la quantità
complessiva di lavoro che è necessario effettuare. A tuttoggi
la maggior parte del lavoro è inutile, o peggio che inutile,
e noi semplicemente dobbiamo liberarcene. Daltra parte
e penso che qui sia il punto cruciale di tutta la questione e il nuovo
punto di partenza per il movimento rivoluzionario dobbiamo analizzare
il lavoro utile rimasto e trasformato in una piacevole varietà
di passatempi simili, al tempo stesso, sia gioco che ad attività
produttiva, cioè indistinguibili da altri passatempi salvo che
per essi si dà il caso che generino un prodotto finale utile.
Di sicuro ciò che non li renderebbe per questo meno allettanti
di altri divertimenti. Da questo momento tutte le barriere artificiali
derivanti da rapporti di potere e di proprietà potrebbe venir
meno. La creazione potrebbe diventare ricreazione. E potrebbe cessare
ogni diffidenza gli uni verso gli altri.
La mia ipotesi non è che la maggior parte del lavoro sia recuperabile
in questo modo. Ma che, in tal caso, per la maggior parte di esso non
varrebbe nemmeno la pena di tentarne il recupero. Infatti, solo una
piccola, e sempre decrescente, parte del lavoro sociale serve a fini
che siano realmente utili, e non connessi alla difesa e riproduzione
dellattuale sistema di lavoro, e delle sue sovrastrutture giuridiche
e politiche. Ventanni fa, Paul e Percival Goodman stimavano che
il solo 5% del lavoro svolto e presumibilmente questa cifra,
se esatta, sarebbe ora perfino inferiore sarebbe sufficiente
a soddisfare i nostri bisogni minimali per il cibo, il vestiario e labitazione.
La loro era solo una timida congettura ma la questione principale è
abbastanza chiara: direttamente o indirettamente, la maggior parte del
lavoro viene svolto a fini produttivi attinenti la circolazione delle
merci e il controllo sociale. In un batter docchio potremmo liberare
dal lavoro 10 milioni di commessi, militari, manager, poliziotti, agenti
di borsa, preti, banchieri, avvocati, insegnanti, proprietari, addetti
alla sicurezza, pubblicitari, e tutti quelli che lavorano per loro.
Si verificherebbe una reazione a catena per cui ogni volta che viene
disattivato qualche pezzo grosso, vengono liberati anche i suoi scagnozzi
e tirapiedi. In tal modo leconomia implorerebbe. Il 40% della
forza lavoro è costituita da colletti bianchi, e la maggior parte
di loro svolge un lavoro trai più noiosi ed idioti che si possano
immaginare. Industrie intere, assicurazioni, banche e agenzie immobiliari,
ad esempio, sono costituite da nientaltro che da un inutile afflusso
di cartaccia. Non è un caso che il "settore terziario",
cioè il settore dei servizi, si stia ampliando, mentre il "settore
secondario" (lindustria) sia stagnante, mentre il "settore
primario" (lagricoltura) sia sul punto si scomparire. Poiché
il lavoro non è necessario se non per coloro ai quali esso assicura
il potere, i lavoratori vengono trasferiti da occupazioni relativamente
utili ad altre relativamente meno utili, proprio in quanto ciò
costituisce una misura finalizzata a garantire lordine pubblico.
Qualsiasi cosa è meglio che il far niente. Questo è il
motivo per cui tu non puoi semplicemente andare a casa quando il lavoro
è finito prima del tempo. Vogliono il tuo tempo, e in
misura sufficiente da farti loro, anche se della maggior parte di quel
tempo non sanno che farsene. Altrimenti perché la settimana lavorativa
media non è scesa che di qualche minuto negli ultimi 50 anni?
E ora passiamo ad applicare la nostra mannaia anche al lavoro produttivo
stesso. Non più produzioni belliche, energia nucleare, prodotti
alimentari scadenti, deodoranti per ligiene intima femminile,
e soprattutto chiuso ogni discorso riguardo lindustria automobilistica.
Una Stanley Steamer o una Model-T doccasione possono andare bene,
mentre lautoerotismo da cui dipendono lazzaretti come Detroit
e Los Angeles è fuori questione. E subito, senza neanche muovere
un dito, abbiamo virtualmente risolto la crisi energetica, la crisi
ambientale ed equilibrato altri insolubili problemi sociali.
Infine, dobbiamo abolire ciò che rappresenta di gran lunga la
più di diffusa occupazione, quella con loratorio prolungato,
il compenso più basso, e che comporta alcuni dei compiti più
noiosi che sia dato vedere. Mi riferisco alle nostre casalinghe, quelle
che svolgono i lavoro domestici e allevano bambini. Con labolizione
del lavoro salariato e con il raggiungimento del pieno dis-impegno,
viene scardinata la divisione sessuale del lavoro. La famiglia nucleare
così come la conosciamo costituisce un inevitabile adattamento
alla divisione del lavoro imposta dal moderno lavoro salariato. Che
ci piaccia o meno, così stanno le cose, da uno o due secoli a
questa parte, risulta più razionale, dal punto di vista economico,
che luomo si guadagni lo stipendio, che la donna svolga quel lavoro
di merda costituito dal costruire per lui un rifugio in questo mondo
senza cuore, e che il bambino venga avviato verso quei campi di concentramento
per i giovani chiamati "scuole"; e questo in primo luogo per
allontanarli dalle braccia materne pur mantenendo ancora un certo controllo
familiare, ma incidentalmente anche per acquisire quella consuetudine
allobbedienza e alla puntualità così necessaria
ai lavoratori. Se vuoi liberarti dal patriarcato, devi sbarazzarti della
famiglia nucleare, il cui lavoro "sommerso" non pagato, secondo
quanto affermava Ivan Illich, rende possibile il sistema di lavoro che
ne rende necessaria lesistenza. Parte integrale di questa strategia
pacifica è la abolizione dellinfanzia e la chiusura delle
scuole. In questo paese ci sono più studenti a tempo pieno che
lavoratori a tempo pieno. Abbiamo bisogno che i bambini diventino insegnanti,
e non studenti. Essi possono dare un grosso contributo alla rivoluzione
ludica perché meglio degli adulti sanno come si gioca. Adulti
e bambini non sono identici ma potrebbero diventare uguali attraverso
linterdipendenza. Solo il gioco può colmare il gap
generazionale.
Finora non ho nemmeno accennato alla possibilità di ridurre il
poco lavoro rimanente tramite lautomazione e la cibernetica. Tutti
gli scienziati, gli ingegneri, i tecnici liberarti dal fastidioso impegno
costituito dalla ricerca a fini bellici, o indirizzata a pianificare
lobsolescenza delle merci, potrebbero applicarsi al piacevole
compito di progettare dispositivi atti ad eliminare la fatica, la noia,
e il pericolo da lavori come lattività estrattiva nelle
miniere. Senza dubbio troverebbero altri progetti con cui dilettarsi.
Forse istituiranno un sistema integrato di comunicazione multimediale
esteso a tutto il mondo, oppure fonderanno colonie nello spazio cosmico.
Forse. Per quanto mi riguarda non sono un maniaco della tecnologia.
Non vorrei vivere in un paradiso fatto di pulsanti. Non desidero robot
schiavi che fanno tutto; voglio farmi le mie cose da solo. Credo che
esista spazio per una tecnologia che faccia risparmiare fatica, ma uno
spazio modesto. Le testimonianze storiche e preistoriche non sono incoraggianti.
Quanto la tecnologia produttiva si evolse da quella propria dei cacciatori-produttori
a quella agricola ed industriale, il lavoro aumentò mentre labilità
individuale e la capacità di determinare la propria vita diminuirono.
Lulteriore evoluzione dellindustrializzazione accentuò
quella che Harry Braveman chiama la degradazione del lavoro. Gli osservatori
più avvertiti sono sempre stati consapevoli di tale fenomeno.
John Stuart Mill scrisse che tutte le invenzioni che finora sono state
escogitate per risparmiare fatica non hanno mai fatto risparmiare effettivamente
un solo attimo di lavoro. Karl Marx scrisse che: "Sarebbe possibile
scrivere una storia delle invenzioni, a partire dal 1830, con il fine
esclusivo di fornire al capitale armi contro le rivolte della classe
lavoratrice". I tecnofili entusiasti quali Saint Simon,
Comte, Lenin, B.F. Skinner hanno mostrato altresì di essere
granitiche personalità autoritarie; vale a dire, dei tecnocrati.
Siamo oltremodo scettici riguardo alla promesse dei mistici dei computer.
Costoro lavorano come cani; è probabile che, se avranno
via libera, lo stesso accada per tutti gli altri. Ma se possono offrire
qualche particolare contributo più direttamente subordinabile
a fini umani che la corsa allalta tecnologia, diamo pure loro
ascolto.
Ciò che essenzialmente vorrei vedere realizzato è la trasformazione
del lavoro in gioco. Il primo passo sarà cancellare le nozioni
di "mansione" e "occupazione". Anche per quelle
attività che presentano già ora qualche contenuto ludico,
accade che ne perdano la maggior parte dal momento che esse vengono
ridotte ad attività imposte a certi individui, e solo a loro,
mentre ne vengono esclusi gli altri. Non è strano che i braccianti
agricoli si affatichino penosamente nei campi mentre i loro padroni,
che vivono in ambienti dotati di aria condizionata, ogni week-end stiano
in casa e qui si dilettino con lavori di giardinaggio? Sotto un sistema
di festa permanente, saremo testimoni della nascita di una nuova Età
dellOro del grande dilettantismo, evento che oscurerà letà
rinascimentale. Non esisteranno più lavori ma cose da fare e
persone per farle.
Il segreto per volgere il lavoro in gioco, come già dimostrò
Charles Fourier, sta nellorganizzare utili traendo profitto da
qualsiasi cosa diversi individui in tempi diversi di fatto già
amino fare. Al fine di rendere possibile per gli individui fare le cose
che amerebbero fare, è sufficiente eliminare lirrazionalità
e le deformazioni che minano queste attività nel momento in cui
vengono ridotte a lavoro. Ad esempio, mi piacerebbe impegnarmi un po
(non troppo) nellinsegnamento, ma non voglio avere un ruolo autoritario
con gli studenti, e non desidero fare il leccapiedi di qualche patetico
pedante per ottenere un incarico.
In secondo luogo, vi sono cose che gli uomini amano fare di tanto in
tanto, ma non troppo a lungo, e di certo non per sempre. Può
essere gradevole fare il mestiere di baby-sitter per qualche ora, in
quanto così si può condividere la compagnia dei piccoli,
ma non così a lungo come i loro genitori. I genitori, nondimeno,
danno gradevole valore al tempo di libertà che in tal modo viene
loro dato disponibile, mentre diventano ansiosi se rimangono lontani
dalla loro prole troppo a lungo. Sono queste differenze tra gli individui
quelle che rendono possibile una vita di libero gioco. Lo stesso principio
può essere applicato in molti altri campi di attività,
e soprattutto in quelle a carattere primario. Così molte persone
si divertono a cucinare quando lo possono fare davvero a loro piacere,
ma non quando, per lavoro, devono alimentare corpi umani.
Terzo a parità di condizioni alcune cose che sono
sgradevoli se fatte soli o in un ambiente spiacevole, oppure agli ordini
di un padrone, diventano piacevoli, almeno per qualche tempo, se tali
circostanze vengono modificate. Probabilmente questo è vero,
in qualche misura, per tutti i lavori. La gente può dispiegare
la propria ingegnosità altrimenti sprecata trasformando in una
gara, nel miglior modo possibile, il meno allettante dei lavori di fatica.
Attività che interessano alcune persone non sempre interessano
tutti; ma tutti, almeno potenzialmente, posseggono una certa varietà
di interessi ed un certo interesse per la varietà. Secondo la
nota massima: "Ogni cosa almeno una volta". Fourier fu maestro
nellescogitare modi in cui le inclinazioni più aberranti
e perverse potessero trasformarsi in attività utili in una società
post-civilizzata, quella che egli denominò Armonia. Pensava che
limperatore Nerone avrebbe lavorato molto bene se da bambino avesse
potuto soddisfare la sua propensione verso gli spargimenti di sangue
in un macello. I bambini più piccoli, che notoriamente amano
voltarsi nel sudiciume, potrebbero essere organizzati in "Piccole
Orde" che pulirebbero le latrine e svuoterebbero i contenitori
della spazzatura, con lassegnazione di medaglie ai migliori. Non
voglio proporre in concreto proprio questi specifici esempi, ma il principio
che li fonda penso dia il senso preciso di una delle dimensioni di ogni
radicale trasformazione rivoluzionaria. Occorre tener presente che non
dobbiamo prendere il lavoro tale quale come si presenta oggi e abbinarlo
alle persone adatte, alcune delle quali potrebbero anche essere dei
pervertiti. Se la tecnologia può avere un ruolo in tutto ciò,
sarà più quello di aprire nuovi orizzonti alla ri/creazione,
che di automatizzare il lavoro cancellandolo completamente. In una certa
misura vogliamo tornare allartigianato, attività che William
Morris considerava il probabile ed auspicabile esito della rivoluzione
comunista. Larte verrà recuperata dalle mani degli snob
e liberata dallambiente dei collezionisti, abolita come categoria
specialistica rivolta ad un pubblico elitario, e i suoi contenuti estetici
e creativi restituiti alla pienezza della vita cui furono sottratti
dal lavoro. Vi è da riflettere sul fatto che i vasi attici di
cui tessiamo le lodi, e che esponiamo nei musei, nella loro epoca vennero
usati per conservare le olive. Dubito che i nostri manufatti comuni
avranno una sorte così gloriosa in futuro, se mai ne avranno
una. Il fatto è che non esiste qualcosa di simile al progresso
nel mondo del lavoro. Semmai è proprio il contrario. Non dovremmo
esitare a prendere dal passato quello che ci può offrire: gli
uomini del passato sicuramente non ci perdono nulla, mentre noi ne veniamo
arricchiti.
La reinvenzione della vita quotidiana significa andare al di là
dei margini delle nostre mappe. Ed è vero che, in merito, esiste
una corrente di pensiero molto più suggestiva di quanto la gente
possa immaginare. Oltre a Fourier e a Morris e anche a qualche
allusione, qua e là, di Marx ci sono gli scritti di Kropotkin,
degli anarcosindacalisti Pataud e Pouget, di vecchi anarcocomunisti
(Berkman) e di nuovi (Bookchin). La Communitas dei fratelli Goodman
è esemplare nellillustrare quale forma consegue da una
data funzione (scopo), e cè qualcosa da recuperare dagli
stessi confusi apologeti della tecnologia alternativa/appropriata/intermedia/conviviale
come Schumacher e specialmente Illich, una volta disattivate le loro
macchine fumogene. I situazionisti come Vaneigem nel Trattato
del saper vivere ad uso delle giovani generazioni, e lantologia
dellInternazionale Situazionista sono tanto implacabilmente
lucidi quanto esilaranti, anche se non superano mai completamente la
contraddizione consistente nel sostenere da una parte il potere dei
consigli operai e dallaltra labolizione del lavoro. Tuttavia,
la loro incongruenza è preferibile a tutte le versioni del sinistrismo
ancora in circolazione, i cui adepti appaiono come gli ultimi difensori
del lavoro, ciò evidentemente in quanto se non esistesse il lavoro
non vi sarebbero lavoratori, e in assenza di lavoratori, chi mai potrebbe
organizzare la sinistra?
Pertanto gli abolizionisti si trovano in tale prospettiva ad essere
nettamente soli. Nessuno può dire quello che potrebbe risultare
dalla liberazione del potere creativo, ora frustrato, dal lavoro. Può
accadere di tutto. Lestenuante dibattito del problema dellopposizione
tra necessità e libertà, con i suoi risvolti teologici,
si risolve praticamente da sé una volta che la produzione di
valore duso sia coestensiva allapplicarsi di una piacevole
attività ludica.
La vita diventerà un gioco, o piuttosto una molteplicità
di giochi, ma non come accade ora un gioco a somma zero.
Unintesa ottimale sul piano sessuale è il paradigma di
un gioco produttivo. I partecipanti esaltano il piacere luno dellaltro,
non viene assegnato alcun punteggio, e ognuno vince. Più dai,
più ottieni. Nella vita ludica, il meglio del sesso verrà
integrato nella parte migliore della vita quotidiana. Il gioco generalizzato
porta allerotizzazione della vita. Il sesso, a sua volta, può
diventare meno urgente e disperato, più giocoso. Se giochiamo
bene le nostre carte, possiamo prendere dalla vita molto di più
di quanto ci mettiamo; ma solo se giochiamo per davvero.
Nessuno dovrebbe mai lavorare. Lavoratori del mondo
rilassatevi.
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