Questa serie di contributi cercherà di affrontare
la questione del futuro dei giovani come viene percepito e definito
dal mondo adulto. La prospettiva di fondo è che oggi la cultura degli
adulti, di fronte allimpotenza di progettare il futuro delle
nuove generazioni, copre questa mancanza con unideologia, una
serie di slogan e di parole dordine, che servono a tacitare
le coscienze ma non hanno alcun riscontro nei comportamenti reali.
Lideologia è quella che viene definita della solidarietà
e si compone di slogan quali terzo settore, volontariato, formazione,
autoimprenditorialità. Si tratta di uninterpretazione
post-moderna del vecchio concetto di Welfare State. Questa idea, di
matrice nord- europea, impegnava lo Stato socialdemocratico a garantire
a tutti i cittadini standard minimi di benessere dalla culla
alla tomba. La traduzione italiana del concettosperimentata
dagli Anni Settanta alla fine degli Ottanta- è diventata quasi subito
quella di Stato Assistenziale: un impegno dello Stato
a garantire assistenza a tutti i bisognosi. Si badi bene: non benessere,
sviluppo, emancipazione, bensì assistenza. Le vicende dellultimo
decennio sono note a tutti. Il deficit costante dello Stato, il progressivo
rifiuto della ideologia socialdemocratica e la parallela consumazione
di milioni di posti di lavoro, hanno creato un mixing culturale di
sovietismo pervasivo e burocratico e di liberismo selvaggio: il peggio
dei due sistemi di civilizzazione della modernità. Per il quale lassistenza
è sottoposta al dominio del centro, che controlla, lesina, rallenta
ogni contribuzione sociale; il lavoro va inventato; tutte le attività
immateriali e sociali del benessere (cultura, crescita, lavoro, ecc.)
sono lasciate a carico dellindividuo e del suo censo. Naturalmente
questa ideologia non è consapevole, né può essere dichiarata. Essa
viene mascherata da un velo chiamato solidarietà, che si compone dei
tasselli sopra elencati, ma la cui natura ideologica è resa evidente
dalle osservazioni dei comportamenti politici, legislativi ed amministrativi
concreti.
1.
Terzo settore.
Questa dizione comprende linsieme delle organizzazioni,
profit e non, che operano nel settore dei servizi alla persona e dei
servizi immateriali. Il terzo settore è nato come linsieme delle
piccole imprese impegnate nei servizi sociali, cioè rivolti al socius
(assistenza, cultura, ecologia, cittadinanza), poi ne sono state incluse
le associazioni di volontariato puro (dalla Croce Rossa
ai gruppi di auto-aiuto), poi le federazioni e le confederazioni,
i consorzi e le reti, nazionali e multinazionali. Oggi il terzo settore
è una forza economica e soprattutto politica non inferiore agli altri
settori (di produzione e scambio) del mondo post-industriale. Tutte
le analisi relative alla diminuzione dei posti di lavoro, individuano
in questo settore la soluzione a breve e lungo termine della crisi
occupazionale. Tutte le politiche sociali, prima pubbliche, ora vengono
attuate attraverso questo settore. Molti sforzi di orientamento scolastico-professionale
vengono diretti a stimolare i giovani verso questo settore. La tradizionale
beneficenza, ridefinita solidarietà o sponsorizzazione, è diventata,
insieme al gioco dazzardo, una delle fonti primarie di finanziamento
dello Stato e delle sue politiche sociali. Il terzo settore è oggi
il braccio operativo dellautorità statale o comunitaria per
tutte le azioni assistenziali, sociali, formative e culturali. Possiamo
affermare che lunico settore ancora (per poco) estraneo a questa
concentrazione è la Scuola, pubblica e privata, dellObbligo.
In questo settore sono comprese organizzazioni
che operano nellimmateriale (cura, assistenza, tempo libero,
cultura, ecologia, cittadinanza, sport, arte, ecc) di tipo diverso:
·
le associazioni di volontariato puro, autofinanziate
e senza alcun operatore retribuito
·
le cooperative di lavoro con 5/6 soci-dipendenti
·
le cooperative con 1.000 e più dipendenti
·
i gruppi che gestiscono servizi pubblici in appalto,
e presentano un organico fatto di soci, dipendenti, obiettori, tirocinanti
e volontari
·
le confederazioni o i consorzi che raggruppano oltre
700 imprese
·
le federazioni internazionali operanti in 20 e più
Paesi
·
gli studi professionali di giovani laureati
·
le piccole società erogatrici di servizi sociali o
immateriali, composte da collaboratori a gettone
·
le associazioni culturali e dinteresse, totalmente
finanziate dagli Enti Locali
·
le cooperative di tipo B, che vedono al
loro interno una quota di soggetti a disagio (malati di mente, ex-
tossicodipendenti, disabili, ex -carcerati)
Carattere peculiare di questo settore è loperare
in assenza totale di un mercato, che non sia quello politico. Non
esiste concorrenza, la libertà del cliente-utente-consumatore è limitata
al binomio accettazione-rifiuto del servizio, non esistono regole
anti-trust, non esiste sindacato, non esistono criteri di qualità.
O meglio esistono tutte queste variabili ma solo in riferimento al
sistema politico. La concorrenza è fra cordate ideologiche (partiti,
correnti, leaders, famiglie, ecc.). Il fruitore del servizio è considerato
un beneficiato dal quale si pretende un comportamento remissivo, cooperativo,
subalterno. Le uniche barriere ai grandi trust sono date dalle spartizioni
ideologiche e territoriali. Professioni, mansioni, contratti sono
gestiti in maniera del tutto privatistica: il lavoro nero ed il precariato
sono la regola, peraltro fondata sulla fedeltà e lappartenenza
ideologica. Letteralmente nessuno fra gli attori del sistema è portato
a richiedere la qualità delle prestazioni. Non gli Enti committenti,
che hanno come solo obiettivo il risparmio ed il controllo formale.
Non gli utenti, che vivono le prestazioni loro erogate come pura elargizione
liberale, anziché come diritto. Non la comunità e la società, che
richiedono essenzialmente la recinzione, il controllo e lesclusione
del disagio; e relegano limmateriale ed il sociale nella sfera
dellindividuale e del privato. Non gli operatori, che registrano
la loro entrata e permanenza nel terzo settore come sottoposta al
solo vincolo della fedeltà ideologica. Non i managers e gli imprenditori
del privato sociale, che sono schiacciati nella morsa di un committente
che non vuole la Qualità e di un utenza che non sa nemmeno che esiste.
Questo quadro un po impietoso non vuole assolutamente
sminuire le isole del privato sociale che, del tutto a loro spese,
si sforzano di cercare la qualità, per un ricerca di senso e per il
desiderio di soddisfare effettivamente i bisogni immateriali. Il fatto
è che si tratta appunto di isole molto limitate, fragili e solitamente
emarginate. Né il quadro intende indicare lesistenza di un mente
perversa che progetta e pilota la situazione, per interessi di qualche
occulto potere forte. Lo scenario descritto è anzitutto un sistema
culturale, che pervade lintera società e col quale tutti (potere
statuale, potere civile, cittadini, mass media) colludono.
1.2. Lorganizzazione dimpresa nel
Terzo settore.
Abbiamo già sostenuto che il problema non va visto come un disegno
occulto di forze dello sfruttamento, ma come un equivoco culturale
della società. Il terzo settore è pieno di persone in buona fede,
che si sacrificano con gratuità, che vicariano un regime totalitario
e vorace ed una società che aborre le responsabilità. I leaders delle
organizzazioni del Terzo settore hanno molti limiti, ma è pur vero
che gestiscono sistemi che il contesto mina gravemente. Intanto non
esiste a nessun livello unombra di pianificazione. Esistono
appalti, fatti da Enti Locali o Pubblici, per servizi della durata
di 1 mese. I Progetti finanziati dalle varie politiche sociali hanno
per solito durata annuale, ma poiché lapprovazione arriva con
ritardi dai 3 ai sei mesi, la durata diventa semestrale. In secondo
luogo, la tendenza attuale è quella del risparmio sopra ogni altra
considerazione, per cui le gare sono fatte al ribasso del prezzo:
non è raro che per vincere un appalto, occorra pagare operatori qualificati
6.000 lire orarie lorde. Quando la cifra è più alta, viene espressamente
esclusa la possibilità che lorganizzazione carichi sullappalto
i costi generali, il che la costringe a tangentare i compensi
agli operatori con giri conto che rasentano spesso lillegalità.
In terzo luogo, i pagamenti dovuti al Terzo settore, vengono attentamente
condizionati ai problemi di cassa dello Stato e delle Regioni, per
cui ritardano a volte di anni. Basti un esempio, su tutti. I finanziamenti
concessi dalla Legge 309 (prevenzione della tossicodipendenza) per
lanno 1995 (sic!) sono a tuttoggi in attesa di erogazione.
Infine, e non meno importante, la precarietà è aggravata dal fatto
che, poiché i criteri di assegnazione dei progetti sono in gran parte
legati alle cordate politiche, le organizzazioni sono costrette a
legarsi a questo o quellAmministratore, subendo poi ogni danno
da ogni ribaltamento di alleanze e da ogni precarietà del calendario
politico (sei mesi prima e sei mesi dopo ogni elezione nessuno decide
alcunché, per mesi durante e dopo una crisi di Giunta, nessuno decide,
ecc.).
1.3. Terzo settore e lavoro giovanile.
La descrizione fin qui fatta, ha numerose conseguenze politiche,
sociali, culturali che non possiamo esaminare in questa sede. Ci soffermiamo
solo sui risvolti che riguardano il lavoro giovanile. La tanto sbandierata
potenzialità occupazionale del terzo settore va analizzata alla luce
delle concrete condizioni di lavoro nelle quali si trovano gli operatori.
E dunque vediamo.
·
Le professioni, i titoli di studio, le competenze
formali sono elementi del tutto casuali.
Non presiedono al reclutamento, che si basa sulle conoscenze, i rapporti
di fedeltà, lappartenenza ideologica. Il terzo settore è zeppo
di educatori senza qualifica, animatori senza diploma, psicologi senza
abilitazione, formatori senza specializzazione. Quindi è del tutto
infondato il classico ragionamento che collega la formazione di base
con il lavoro. La maggioranza delle figure operanti nel terzo settore
hanno qualifiche del tutto eccentriche con la mansione assegnata.
La frequentazione dellOratorio, lamicizia del leader dellorganizzazione
o di un capo-partito hanno molto più valore, ai fini dellassunzione,
dei titoli di studio. I quali nemmeno presiedono
alla retribuzione ed al tipo di contratto. La vecchia idea di una
paga e di un inquadramento commisurati alla qualifica è quasi del
tutto ignota al terzo settore, dove il sindacato è praticamente inesistente.
Laureati che svolgono mansioni dequalificate e sottopagate operano
a fianco di soggetti senza diploma di Scuola Media Superiore che svolgono
mansioni da laureati: tutti insieme comunque sono pagati al minimo
o sotto il minimo sindacale, e sono in regime contrattuale di precariato.
In tutto ciò la crescita delle professioni sociali, la deontologia
professionale, la formazione di base e la motivazione alla qualificazione
risultano fortemente indebolite. E intuitivo come la qualità
delle prestazioni e il trattamento degli utenti siano largamente al
di sotto della soglia di sufficienza.
·
Le carriere sono unutopia, la crescita professionale
un caso.
Il terziario sociale è soprattutto costituito da piccole organizzazioni,
che in quanto tali, hanno difficoltà a prevedere carriere verticali
o orizzontali. Diventare dirigente o coordinatore, passare da una funzione
sul campo ad una di ricerca, sono opzioni rese vane dalle dimensioni
della media organizzazione del terzo settore. Le organizzazioni che
crescono di dimensione, o si collegano a livello nazionale e internazionale,
o che sono storicamente già grandi, creano di solito un doppio livello
di carriera. Il livello operativo, sul campo, a contatto con lutenza
per il quale non si prevede alcuna carriera; il livello decisionale
o politico, centrale, strategico, nel quale i criteri di carriera sono
squisitamente politici. Addirittura non è raro nelle grosse organizzazioni,
con una vistosa funzione di collateralismo partitico, che la dirigenza
sia scelta in vista dellentrata nei ranghi politici, o che sia
delegata, come forma di compensazione o pensionamento, dal ceto politico.
Stando così le cose, laggiornamento, la formazione permanente
e la crescita professionale sono casuali, quando non malvisti perché
introducono elementi di irrequietezza e insoddisfazione. Al loro posto
viene preferito lindottrinamento, cioè il tipo di formazione in
uso nelle grandi organizzazioni di massa. Quando fortuitamente la crescita
culturale e professionale avviene, in genere essa trova sbocchi e fruizione
allesterno del terzo settore. Il modo più diffuso di fare carriera
e crescere professionalmente è in genere quello dellavvio di organizzazioni
autonome, generate dal distacco o dalla frantumazione del sistema di
partenza. Ma qui sorgono i problemi presentati nel paragrafo precedente
e che saranno sviluppati nel prossimo articolo sullauto-imprenditorialità.
·
Le condizioni di lavoro pre-moderne.
Il terziario sociale, ad onta del fatto che è il settore nato
più recentemente, è modellato sulle condizioni di lavoro pre- moderne,
e pre- capitalismo fordista. Gli orari di lavoro arrivano non di rado
alle 60/70 ore settimanali. Le assegnazioni ai servizi, alle mansioni,
ai luoghi di lavoro vengono fatte dautorità, non di rado senza
il consenso o linformazione delloperatore. I licenziamenti
non sono difficili in quanto è raro che gli operatori siano assunti
nel senso legale del termine: le collaborazioni sono basate su accordi
verbali, oppure mascherate da incarico libero-professionale, da volontariato
o tirocinio obbligatorio. Lorganizzazione del lavoro è di tipo
fusionale, nel senso che tutti fanno tutto secondo le
necessità o le propensioni della dirigenza o del singolo operatore,
non necessariamente in base alla competenza formale o sostanziale.
I ruoli sono in genere indefiniti, salvo i due essenziali: leader
e subalterni. La leadership sfugge quasi sempre allo sforzo dellobiettività
e della trasparenza, preferendo la segretezza ed il carisma.
·
Quando il senso iniziale sbiadisce col tempo, cosa
resta ?
Linserimento di un giovane in una organizzazione del Terzo settore
è soprattutto ispirato alla genuina voglia di essere daiuto,
o alla ideologia della solidarietà. Solo in dose minore gioca il bisogno
di fare un qualche lavoretto transitorio per racimolare
unentrata, in attesa di un vero posto di lavoro. Il senso dunque
è a priori attribuito al lavoro sociale, che viene investito di valenze
positive assolute. Impegnarsi nellaiuto agli altri o nella crescita
della comunità è bene per definizione, e mette il giovane e lorganizzazione
in cui entra nella posizione di indiscutibile santità.
A partire da questo assunto, la ricerca della qualità, la professionalità,
la carriera, le condizioni di lavoro vengono considerati problemi
accessori, quando non addirittura volgari ostacoli. Dopo un inizio
solitamente molto euforico, simile allinnamoramento, subentrano
le difficoltà, le frustrazioni, le contraddizioni. Il tempo tempera
lardore e lillusione della santità viene offuscata dalla
routine. Dove trovare il senso dellimpegno dopo cinque, dieci,
quindici anni ? Laddove la partecipazione era puramente volontaria,
la prima crisi si risolve nella fuga. Il turn over nelle organizzazioni
di volontariato puro è altissimo. Laddove essa era considerata unoccupazione
lavorativa, la fuga è quasi impossibile a 35-40 anni e la depressione
vince.
·
La sindrome del burn-out è sempre in agguato.
In questo quadro il Terzo settore, anche se non esistono ricerche
su larga scala che lo provano, sembra avere un tasso di morbilità
sociale e psicosomatica più alto di tutti gli altri settori della
società post-moderna. E stata trovata una specifica malattia
del settore chiamata burning out syndrome. La quale produce
disadattamento sociale e familiare (alto numero di divorzi), disturbi
psicosomatici diffusi, comportamenti di tipo sadico verso lutenza.
Molti casi saliti alla cronaca, di maltrattamenti di anziani e disabili,
di violenza nelle carceri e nelle comunità per tossicodipendenti,
di violenza fisica e sessuale a minori hanno come concausa il burn-out.
·
Ex giovani, maturi per il disadattamento.
Il giovane, entrato a 20 o 25 anni nel Terzo settore, come si trova,
una volta giunto intorno ai 40 anni ? Dopo 10-15 anni di impegno per
la solidarietà, in organizzazioni formalmente non profit,
si trova con uno stipendio solitamente precario sotto ai 2 milioni
mensili, di rado in possesso di contribuzioni pensionistiche, senza
prospettive di carriera, privo di risparmi, con un lavoro dal senso
vacillante. Questa figura già si intravede nelle avanguardie di coloro
(pochi) che hanno iniziato nei primi anni Ottanta. Ma il grosso di
questo esercito (si parla di non meno di 3 milioni di giovani) lo
vedremo nel primo decennio del prossimo secolo, perché il boom del
Terzo settore è iniziato in questultima decade. Milioni di giovani
sfruttati, nel segno della solidarietà, da una società incapace di
farsi carico seriamente dei problemi del disagio, della crescita,
dei bisogni immateriali, che preferisce lideologia e gli slogan
al progetto ed alla responsabilità di cambiare.
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