I dibattiti televisivi pro o contro i governi sono beceri,
isterici e irrazionali. Gli oppositori segnalano che il PIL
aumenta solo dello 0,8% invece che dell'1%. I governativi
si vantano di avere finanziato per x milioni di euro il tal
comparto problematico. Il culmine dell'idiozia si registra
quando una parte ricorda che quando governava l'altra le cose
andavano peggio. Siccome negli ultimi 25 anni hanno governato
tutti, si crea una ripetizione infinita su chi ha lasciato
il Paese nelle peggiori condizioni. Il fatto è che
nessuno fa uno sforzo per usare criteri ragionevoli di valutazione
politica. Proviamo qui.
Il primo criterio di valutazione è che le parole
sono retorica, e sono i risultati concreti quelli che contano.
Non importa quello che un politico dice, ma solo quanto riesce
a incidere sulle condizioni di vita della maggioranza della
popolazione. I "predicatori" non hanno titolo per
stare in un governo democratico, ma solo in uno totalitario.
Importa poco anche se i politici operano "onestamente".
I cittadini di una democrazia accetterebbero volentieri un
politico che ruba o favorisce figli e nipoti, ma riesce a
migliorare concretamente le loro condizioni di vita. Importa
ancora meno quello che un politico fa nel privato. Un politico
avviato alla santità, ma che non migliora in niente
la vita dei cittadini, è solo un prodotto della retorica.
Un politico che dimezza la disoccupazione, raddoppia l'occupazione,
favorisce l'aumento sensibile del PIL, riduce vistosamente
le diseguaglianze, fa funzionare la giustizia e garantisce
la pace e la sicurezza, può anche essere puttaniere
o ninfomane, gay, fedifrago o tossicodipendente, di qualsiasi
religione o colore della pelle.
Il secondo criterio di valutazione è la soluzione
dei problemi. Un governo ha il solo compito di migliorare
la vita del popolo negli aspetti che esso (popolo) considera
negativi. Un governo deve dunque saper cambiare alcuni indicatori
dal livello in cui li trova al suo insediamento, ad un livello
giudicato soddisfacente dal popolo, dopo 5 anni. Se la legislatura
è fissata in 5 anni significa che il governo deve offrire
cambiamenti degli indicatori intorno al 20% ogni anno . Siccome
in certi casi si può puntare ad un effetto "massa
critica", le variazioni del primo e del secondo anno
possono essere inferiori. Tuttavia i cambiamenti dello 0,
o anche del 2-3% l'anno non si possono considerare tali. Un
governo non deve dare segnali o fare piccoli passi, deve dare
evidenze di una veloce (in 5 anni) soluzione dei problemi.
Meno ancora vale l'affermazione per cui il governo "ha
stanziato ben x milioni per un certo problema". Un governo
non è un bancomat. Lo stanziamento di fondi è
la premessa per la soluzione dei problemi, ma non vale nulla
se non è accompagnato da una legislazione efficace,
una riorganizzazione burocratica e azioni mirate. Il governo
non deve dare prova di "buona volontà" (come
un alunno delle elementari): deve fornire risultati.
Il terzo criterio di valutazione è il consenso
della maggioranza. Dicendo popolo intendiamo la larga
maggioranza della popolazione. Il fatto che oggi i governi
si basano sul consenso del 20-30% (solo il 60% vota, e nessun
partito prende più del 30% dei votanti) va bene per
la democrazia formale, niente affatto per quella sostanziale.
Un governo che non si basa sul consenso non solo formale ma
sostanziale, di almeno il 60% della popolazione è un
governo destinato a fallire.
Se l'obiezione a questa affermazione è che nessuna
democrazia oggi ha il consenso sostanziale di almeno il 60%
della popolazione, allora significa che questa democrazia
è diventata inutile e va cambiata radicalmente.
Il quarto criterio è la considerazione della maggioranza.
Un governo che promuove azioni positive verso esigue minoranze
(segmenti di popolazione sotto l'1%) è sicuramente
lodevole, ma non avrà mai la "promozione"
della maggioranza. Un governo che considera "populista"
ogni istanza della maggioranza, non è democratico ma
oligarchico o peggio, totalitario. Un governo (o un politico)
può anche condurre battaglie di principio care alle
minoranze, ma deve anche convincere la maggioranza ottenendone
il consenso attraverso un lavoro culturale.
Il quinto criterio è il rispetto dell'opposizione.
L'opposizione non può dirsi tale solo se critica il
governo perchè qualche ministro ruba, o perchè
qualche sottosegretario passa le serate coi trans. Per opposizione
intendiamo una parte della popolazione che propone modi alternativi
a quelli del governo, per migliorare sensibilmente la vita
della maggioranza. La democrazia è un sistema dialettico
per il quale governo e opposizione hanno un ruolo ugualmente
decisivo, nella ricerca dei risultati migliori, attraverso
la critica, il controllo, il dialogo, il conflitto, la mediazione.
L'opposizione non è solo un ostacolo al governo, ma
un fattore indispensabile alla democrazia. Tutti i regimi
che tendono a svalutare, comprimere, eliminare l'opposizione
sono tendenzialmente totalitari. Come lo sono i regimi che
richiamano all'unità, intendendo con questo termine
il silenzio dell'opposizione. L'opposizione non è la
minoranza, ma la possibile futura alternativa al governo.
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