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Il portafoglio formativo progressivo come nuovo strumento di valutazione delle competenze di M.Pellerey / Parte 1 | Parte 2

Sia in campo scolastico, sia in quello universitario, della formazione professionale e della formazione e aggiornamento del personale docente e dirigente della scuola si va diffondendo sempre più incisivamente una trasformazione di prospettiva, che trova indubbi riscontri in ambito internazionale europeo e nordamericano. La transizione in corso porta a valorizzare come centrale il concetto di competenza rispetto a quelli più consueti e tradizionali di contenuti disciplinari, di materie scolastiche, di discipline di studio, ecc. Parallelamente, emerge la necessità di modificare anche la prospettiva assunta nel contesto della valutazione e della certificazione. Risulta, infatti, ben difficile l'impegno di documentare e certificare le competenze effettivamente acquisite, basandosi solo sui tradizionali modelli di valutazione. Questo contributo intende approfondire sia il concetto di competenza, sia, soprattutto, quello di valutazione delle competenze, presentando uno strumento di lavoro ormai abbastanza diffuso nei paesi più industrializzati. Il discorso verrà sviluppato utilizzando una terminologia che può essere facilmente applicata sia alla scuola, sia alla formazione professionale, sia alla formazione continua e all'aggiornamento del personale docente e dirigente della scuola.

1. Le competenze e le pratiche formative dirette alla loro acquisizione
"Con il termine competenza intendo l'insieme delle capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemente da come tali capacità sono effettivamente utilizzate. Con il termine prestazione mi riferisco alle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica situazione. La differenza è cruciale per discriminare cosa un sistema è in grado di fare in linea di principio, da quello che effettivamente fa in una situazione concreta" (Bara, 1999, 239). Una delle concezioni di competenza più diffuse nel mondo della formazione considera le diverse prestazioni che il soggetto è in grado di mostrare o portare a termine in un ambito particolare del sapere, del saper fare, del saper essere o del sapere stare insieme con gli altri solo come indicatori di competenza. Questa, per sua natura è invisibile, ma può essere individuata attraverso una famiglia di prestazioni che permettano di inferirla presente nel soggetto. Tale famiglia è tanto più vasta e differenziata, quanto la competenza appare più complessa e flessibile. La natura di una competenza può essere descritta anche utilizzando il concetto di schema. Per Piaget lo schema è la "struttura invariante di una operazione o di un'azione", che consente accomodamenti minori di fronte a una varietà di situazioni che si riferiscono alla stessa struttura. Esistono, però, diversi tipi di schemi e differenti livelli del loro sviluppo. Le abitudini elementari sono certamente degli schemi d'azione, ma in questo caso si tratta di schemi semplici e abbastanza rigidi. Così lo schema "bere da un bicchiere" permette di adattarsi alle diverse forme, ai diversi pesi, volumi e contenuti. In genere gli schemi operativi implicati in una competenza, soprattutto di natura professionale, si apprendono dalla pratica, ma ciò non significa che non si appoggino su nessuna teoria. Anzi. Ciò che permette di collegare tra loro le varie esperienze operative e una sorta di riflessione critica che è tanto più efficace, quanto più sostenuta da categorie e quadri concettuali adeguati. E in questo progressivo organizzarsi e stabilizzarsi degli schemi d'azione gioca, in maniera assai rilevante, anche la componente affettiva. Infatti è del tutto evidente l'incidenza della risonanza emozionale e della percezione del significato e valore delle esperienze pratiche sulla loro accettazione o sul loro rifiuto. Gli schemi, poi, possono integrarsi progressivamente in un abito. Un abito è un "piccolo insieme di schemi che permettono di generare un'infinità di pratiche adattate a situazioni sempre rinnovate, senza mai costituirsi in principi espliciti" (Bourdieu, 1972, 209); si tratta di un "sistema di disposizioni durature e trasportabili che, integrando tutte le esperienze passate, funziona in ciascun momento come una matrice di percezioni, di apprezzamenti e di azioni, e rende possibile il portare a termine compiti infinitamente differenziati, grazie a trasferimenti analogici di schemi che permettono di risolvere problemi della stessa forma" (Ibidem, 178-79). In questa linea di pensiero, una competenza può essere allora caratterizzata dall'orchestrazione di un insieme di schemi, ciascuno dei quali è una totalità costituita, che sottende un'azione o un'operazione relativa a un campo operativo particolare. Una competenza di una certa complessità mette in opera più schemi di percezione, di pensiero, di valutazione e d'azione, che implicano inferenze, anticipazioni, trasposizioni analogiche, generalizzazioni, stime di probabilità, diagnosi a partire da un insieme di indici, ricerca di informazioni pertinenti, formazione di una decisione, ecc. D'altra parte, all'inizio della loro genesi molte competenze hanno origine da ragionamenti espliciti, decisioni coscienti, tentativi e incertezze. Sulla base di questo insieme di azioni e di operazioni può a poco a poco sviluppare uno schema complesso, talmente interiorizzato da costituire un nuova componente stabile di una "pratica incosciente", cioè di una competenza ormai naturalmente e immediatamente messa in atto in una varietà di situazioni, anche poco familiari. In questo contesto risulta di conseguenza abbastanza chiara la natura di pratiche formative che mirino, con una qualche speranza di successo, all'acquisizione di competenze intese come schemi d'azione più o meno complessi e capaci di adattarsi e rimodularsi nell'affrontare situazioni nuove moderatamente sfidanti. Tali pratiche devono essere progettate sulla base di un bilancio iniziale delle competenze già effettivamente acquisite e disponibili da parte dei formandi, che risultino rilevanti per l'acquisizione delle competenze verso cui è diretta l'azione formativa. In secondo luogo il loro sviluppo è legato al progressivo coinvolgimento dei formandi in esperienze pratiche che abbiano risonanze affettive positive e che siano sostenute dalla costruzione di quadri concettuali adeguati in base ai quali venga favorito il costituirsi di schemi d'azione sempre più integrati, articolati e stabili.

2. Lo sviluppo delle competenze
Si può subito tentare di tracciare un primo quadro di riferimento relativo allo sviluppo delle competenze, che aiuti non solo a cogliere il loro processo di maturazione e/o di acquisizione, ma anche a valutarne i livelli raggiunti. Una prima serie di osservazioni si appoggia sulla constatazione che lo sviluppo di una competenza implica che non si può osservare una prestazione corrispondente finché tale competenza non sia matura. Tuttavia, il fatto che non osserviamo una prestazione attesa non indica l'assenza di competenza (molte possono essere le ragioni per questa assenza: distrazione, stanchezza, sovraccarico emozionale, ecc.). Solo la presenza di una prestazione è prova dell'esistenza della competenza relativa. Il non rilevamento di una prestazione, di per sé, non vuol dire nulla. [...] la mancata osservazione di una prestazione attesa può essere compresa solo in presenza di una teoria forte, che prevedendo il deficit, lo spieghi esplicitamente in termini di competenza o di prestazione" (Bara, 1999, 140-141). D'altra parte occorre distinguere tra un fallimento sistematico a svolgere un compito, che è usualmente indice di un problema a livello competenziale, e fallimenti occasionali, attribuibili a cause specifiche ma eliminabili con un diverso approccio, che sono indicatori di un problema a livello di prestazione (Ibidem, 241). In altre parole, alla questione "se sia sufficiente la presenza di una prestazione corrispondente a una competenza per poter indurre il possesso di quest'ultima", occorre rispondere: che ciò dipende dall'astrattezza della competenza, cioè dal suo livello di complessità e di generalizzabilità (o adattabilità a situazioni variate). In genere una competenza sufficientemente complessa e astratta implica una famiglia di prestazioni legate a contesti moderatamente differenti. Come precedentemente notato, in una competenza sufficientemente complessa si possono distinguere tre dimensioni fondamentali. La prima è di natura cognitiva e riguarda la comprensione e organizzazione dei concetti che ne sono direttamente coinvolti. La seconda è di natura operativa e concerne le abilità che la caratterizzano. La terza è di natura affettiva in quanto coinvolge convinzioni, atteggiamenti, motivazioni ed emozioni, che permettono di darle senso e valore personale. L'acquisizione della dimensione più propriamente concettuale sembra seguire un percorso di sviluppo che procede secondo un ritmo ternario di questo tipo: ­ si parte da una conoscenza che risulta in generale più globale e confusa; ­ attraverso un processo di differenziazione progressiva si giunge a una maggiore comprensione, precisione terminologica e articolazione concettuale; ­ in seguito a un processo di riconciliazione integrativa si costruisce una organizzazione concettuale più strutturata e stabile (Ausubel, 1978). Quanto alla dimensione della competenza più riferibile alle abilità, sembra che lo sviluppo segua un percorso articolato su tre livelli: ­ assenza di competenza in quanto il soggetto è sistematicamente incapace di prestazioni corrispondenti; ­ presenza di una prestazione riferibile alla competenza solo con l'aiuto di soggetti già competenti (zona di sviluppo prossimale della competenza); ­ presenza di una prestazione (sufficientemente autonoma) che permetta di inferire la presenza della competenza (Vygotskji, 1976). In tale percorso giocano un ruolo importante tre processi: l'osservazione riflessiva, la concettualizzazione astratta e la sperimentazione attiva (Kolb, 1973). Quanto alla dimensione di natura motivazionale e valoriale sembra che la percezione del valore e del significato di una competenza implichi non solo una adeguata pratica ripetuta, ma soprattutto un riscontro emozionale positivo e una riflessione critica, che ne evidenzino il senso e il valore per la propria crescita e maturazione personale.

3. Livelli di competenza professionale: dal principiante all'esperto
Al fine di evidenziare i diversi livelli possibili di competenza in un ambito non solo professionale è risultato utile esaminare le differenze che esistono tra le prestazioni di un principiante e quelle di un esperto. In questo ambito, una delle distinzioni più chiare riguarda la diversa organizzazione delle conoscenze possedute. I principianti spesso possiedono una buona parte degli elementi di conoscenza necessari per affrontare il problema e, pur riuscendo a ricordarli successivamente, manifestano, tuttavia, una loro scarsa organizzazione funzionale e, di conseguenza, rigidità nell'impostare una strategia operativa. Gli esperti evidenziano, invece, una valida e completa organizzazione gerarchica di tali elementi, basata spesso su criteri di generalizzabilità, di implicazione e di sotto e sovraordinamento derivati dalla propria esperienza professionale. Di fronte a un problema gli esperti tendono a impiegare una buona parte del tempo nel cercare di inquadrarlo in uno schema risolutivo più generale, per poi passare, spesso per analogia, alla considerazione del caso particolare. Una caratteristica peculiare degli esperti sta poi nel fatto che le conoscenze sia di natura concettuale che operativa, sono organizzate più sulla base dell'esperienza precedente nella soluzione di problemi, che a partire da una organizzazione logica. Queste conoscenze svolgono in primo luogo una funzione interpretativa della situazione problematica: esse servono a comprendere e inquadrare concettualmente il caso, per poi ricercare nella memoria situazioni analoghe e le strategie che in tali casi sono state adottate. Sulla base dell'esperienza sono stati infatti costruiti schemi interpretativi e operativi che possono applicarsi a una molteplicità di situazioni specifiche. Tenendo conto anche di queste ricerche, i fratelli Dreyfus (Dreyfus e Dreyfus, 1986) hanno sviluppato un'analisi del concetto di esperto e di expertise, che conduce alla identificazione di cinque livelli di competenza.

a) Livello del principiante.
Il soggetto tende a seguire regole e principi comunicati dall'esterno senza tener conto in modo esplicito del contesto in cui opera; si presenta in genere privo di flessibilità e di esperienza.
b
) Livello del principiante avanzato.
Il soggetto riesce a collegare quanto studia, o ha studiato, con l'esperienza che sta progressivamente sviluppando nel contesto della sua attività e a selezionare i comportamenti da adottare, a partire da una iniziale capacità di tener conto delle esigenze peculiari della diversità delle singole situazioni problematiche.
c
) Livello della competenza.
Le prestazioni sono basate su principi abbastanza generali derivati non solo dallo studio, ma soprattutto dall'esperienza, e sanno adattarsi in maniera congruente alle diverse circostanze. I soggetti sanno specificare, in modo adeguato rispetto ai casi particolari affrontati, gli obiettivi della loro azione e i mezzi per raggiungerli.
d
) Livello di competenza avanzata.
Si ha una notevole capacità di inquadrare le situazioni da affrontare, cogliendole nella loro complessità, e riconoscendo analogie e differenze che esse hanno con situazioni simili affrontate nel passato.
e) Livello dell'esperto.
Il soggetto riesce a cogliere agevolmente un quadro completo e articolato delle situazioni da affrontare e ad agire per affrontarle in modo fluido, appropriato e senza sforzo. Fino a un certo punto la condotta umana è una condotta guidata da regole più o meno efficacemente e profondamente interiorizzate; ma da un certo punto in poi, in base alla ricchezza di esperienza e di situazioni affrontate efficacemente, si acquisiscono disposizioni interne, o abiti, che mettono in gioco capacità di intuizione e di giudizio che non potranno mai essere descritte da una rappresentazione formale o da un sistema rigido di regole. Una conferma di queste indicazioni deriva anche dalle analisi compiute da M. Polanyi (1990), che hanno dato luogo al concetto di conoscenza tacita o personale e da D. A. Schoen (1993), che ha sviluppato quello di professionista riflessivo. Polanyi, nella rilettura dei processi di acquisizione delle competenze metteva in risalto il ruolo della persona e del suo mondo interiore nell'interazione con la realtà oggettiva e osservava: "lo scopo di un'operazione utile si raggiunge osservando un insieme di regole, non conosciute come tali dalla persona che le osserva" (p. 135), di conseguenza "un'arte non può essere specificata nei dettagli, non può essere trasmessa mediante prescrizioni... può essere trasmessa soltanto mediante l'esempio del mastro dell'apprendista" (p. 139). Mediante l'introduzione del concetto di conoscenza tacita egli ha valorizzato la dimensione soggettiva dell'accumulo di esperienze, della loro concettualizzazione e categorizzazione, di una schematizzazione personale delle varie situazioni, problemi e strategie di soluzione. È un insieme di principi che sono utilizzati nel corso dell'azione e che si possono cogliere solo in tale contesto. In gran parte si tratta dunque di regole euristiche empiriche o informali, che hanno la caratteristica di derivare dalla riflessione e dall'elaborazione personale quanto si è dovuto affrontare nel passato. D'altra parte Schoen ha sviluppato efficacemente questa tesi di Polanyi evidenziando come la crescita della competenza professionale sia legata in particolare allo sviluppo di una capacità di riflessione nell'azione, oltre che di riflessione prima e dopo di questa. Nel pensiero che si svolge nel corso dell'azione vengono in effetti attivati e sviluppati:
a
) l'uso di strumenti, di linguaggi e di repertori d'azione utilizzati per descrivere le situazioni complesse e interagire con esse;
b) sistemi di valutazione che portano da un lato a impostare i problemi da affrontare e dall'altro a una vera e propria conversazione con la situazione in atto;
c
) teorie di fondo che permettono di dare senso ai fenomeni e di interpretarli;
d
) i ruoli nel contesto dei quali i professionisti si trovano e svolgono i loro compiti.

4. Su alcuni problemi di progettazione e conduzione delle pratiche formative dirette all'acquisizione di competenze: il ruolo della valutazione
Come abbiamo evidenziato precedentemente, la competenza effettivamente posseduta da una persona non è direttamente rilevabile. Tuttavia è possibile inferire la sua presenza non solo genericamente, ma anche qualitativamente, sulla base di una famiglia di prestazioni, che svolgono il ruolo di indicatori di esistenza e di livello raggiunto. La prima conseguenza di questa concezione della competenza riguarda la possibilità stessa di valutarla. Non è possibile, infatti, decidere se un soggetto possieda una competenza sufficientemente complessa sulla base di una singola prestazione. Solo nel caso di competenze elementari che mettano in gioco schemi d'azione di tipo ripetitivo, oppure assai semplici applicazioni di regole e principi, è possibile valutarne l'acquisizione osservando un'unica prestazione. In effetti, in genere, ci si limita a verificare se il formando ha acquisito uno schema d'azione, sia essa prevalentemente intellettuale, di natura mista o essenzialmente pratica, e se è in grado di mostrare una prestazione che risponda ad alcune precise regole e principi operativi e che venga attuata nello stesso contesto che ha caratterizzato il suo apprendimento. Se la situazione risulta assai diversa da quella ormai familiare, oppure si debbano applicare le norme apprese per analogia, emergono immediatamente difficoltà gravi, spesso insormontabili. In questo modo si può cogliere solo una forma assai restrittiva di competenza, anzi, secondo la definizione avanzata, non si tratta di una vera e propria competenza, anche se ancora modesta. D'altra parte in ogni programma formativo diretto all'acquisizione di vere competenze, soprattutto se implicate in maniera essenziale nel programma formativo, è cruciale la scelta della modalità di valutazione che i responsabili della progettazione e conduzione di tale programma debbono fare sia per quanto riguarda le competenze iniziali già validamente e stabilmente possedute, sia per quanto concerne il costituirsi progressivo di quelle che sono oggetto di apprendimento. Occorre anche aggiungere che intrinseca al processo formativo stesso è la promozione di un'adeguata capacità di autovalutazione del livello di competenza raggiunto. Ciò per varie ragioni. In primo luogo, perché occorre sollecitare e sostenere lo sviluppo di competenze autoregolative del proprio apprendimento. In secondo luogo, perché la constatazione dei progressi ottenuti è una delle maggiori forze motivanti all'apprendimento. Di qui la necessità di una analisi del repertorio di strumenti e metodologie di valutazione, in una parola dei dispositivi di valutazione, che la ricerca e la pratica hanno evidenziato come validi ed efficaci nel rispondere a tali esigenze. Le buone pratiche formative in genere tengono conto di una pluralità di strumenti. Se ne possono citare a titolo esemplificativo due meno comuni.

a) In primo luogo, tenendo conto del nostro contesto, occorre segnalare l'osservazione sistematica. Questa comporta una previa definizione delle categorie osservative, cioè di quegli aspetti specifici che caratterizzano una prestazione e sui quali concentrare l'attenzione per poter decidere se una certa competenza è stata raggiunta o meno. Dal nostro punto di vista questa metodologia è certamente utile, ma non è possibile risalire dall'osservazione di un'unica prestazione alla constatazione di un'acquisizione significativa, stabile e fruibile di una competenza sufficientemente complessa. Occorre da una parte moltiplicare le osservazioni secondo un piano sistematico che tenga conto di un numero e di una varietà di prestazioni e fornisca un insieme adeguato di indicatori. Dall'altra, occorre verificare la qualità della costruzione dello schema d'azione dal punto di vista critico e motivazionale. Cioè come l'allievo sappia inquadrare concettualmente e giustificare teoreticamente le procedure operative e, inoltre, manifesti di apprezzare il significato e il valore di tale competenza nella pratica professionale considerata.
b
) Una seconda strada valorizza la capacità narrativa del formando, cioè la sua abilità: ­ nel raccontare, giustificandole, le scelte operative compiute o da compiere nel contesto di un problema professionale specifico, coinvolgente le competenze in esame; ­ nel descrivere la successione delle operazioni compiute o da compiere per portare a termine un compito particolare, evidenziando, eventualmente, gli errori più frequenti e i possibili miglioramenti; ­ nell'indicare come egli sia in grado di valutare la qualità non solo del prodotto, risultato del suo intervento, ma anche del processo produttivo adottato.
Tra questi dispositivi, quello che sembra emergere come uno dei più funzionali nel contesto nella pratica formativa diretta all'acquisizione di competenze di natura professionale è quello che genericamente viene denominato portfolio formativo. Nel seguito preferiremo però parlare di "portafoglio formativo progressivo". Il termine portfolio, usato in ambito internazionale, soprattutto di lingua inglese, deriva dall'italiano "portafogli" (oppure "portafoglio") e, come nel caso del corrispondente termine italiano, può riferirsi sia a un contenitore per raccogliere fogli di carta, disegni, biglietti di banca, ecc., sia alla lista di investimenti finanziari di una persona o di una ditta (portafoglio titoli), sia a un ufficio ministeriale (portafoglio degli Affari Esteri). Dalla metà degli anni ottanta è sempre più invalso l'uso di denominare "portfolio" un particolare dispositivo valutativo che si avvale di una raccolta sistematica, a partire da specifici obiettivi e criteri, dei lavori realizzati da uno studente o da un formando nel corso di una determinata pratica formativa. Questa raccolta costituisce la documentazione di una serie di prestazioni, che permette poi un loro esame, interpretazione e valutazione al fine di inferire il livello raggiunto dalle competenze oggetto di apprendimento. Nella pratica professionale, in particolare in quella segnata da competenze di natura artistica, era già consuetudine raccogliere in una cartella (spesso denominata in inglese book) esempi della propria migliore produzione, a testimonianza appunto delle competenze raggiunte in tale pratica professionale. Qualcosa di analogo si poteva riscontrare nella pratica formativa professionale, specificatamente quando si trattava della produzione dei cosiddetti "capolavori", o in quella dell'apprendistato artigianale. Il portafoglio formativo entra in tale tradizione, riconsiderandola a partire dalle ricerche e dalle esperienze sviluppate nel corso dell'ultimo decennio del secolo ventesimo. Il portafoglio formativo riguarda, dunque, fondamentalmente la raccolta della documentazione attestante ciò che il formando sa, sa fare, sa essere o come egli sa stare con gli altri più che quanto egli ancora non è in grado di affrontare. Esso mira a trasformare la metodologia valutativa in modo da permettere la considerazione non solo di prestazioni finali puntuali, ma anche dei processi e delle strategie messe in opera, dei progressi compiuti dal formando, delle circostanze e dei tempi nei quali le varie prestazioni sono state evidenziate. Inoltre, tramite questo dispositivo è possibile favorire una valutazione longitudinale comparativa realizzata sia da parte del formatore che del formando, mediante il confronto tra quanto manifestato all'inizio di un percorso formativo e quanto è stato via via evidenziato nel tempo. In questo non solo si permette una autentica valutazione formativa, che aiuta il formatore ad aggiustare il tiro sulla base dei risultati via via conseguiti, ma anche l'autovalutazione da parte del formando e la collaborazione e la negoziazione degli obiettivi da raggiungere tra formatore e formando. Per questi motivi e per rispettare una tradizione e terminologia italiana preferiamo parlare di "portafoglio formativo progressivo". La preferenza per il termine "portafoglio", invece di quello di derivazione inglese "portfolio", deriva da tre principali considerazioni: tale termine è già ampiamente usato in un senso assai vicino a quello che viene qui preso in considerazione; è del tutto inutile introdurre una parola anglosassone, che deriva proprio dall'uso linguistico italiano; le due aggettivazioni "formativo" e "progressivo" permettono di evitare ogni equivoco. L'aggettivo "formativo" evidenzia il fatto che questo tipo di portafoglio ha finalità specifiche nell'ambito dei processi e delle situazioni di ordine educativo e formativo. Non solo, ma accentua anche il fatto che la sua valorizzazione si colloca nella corrente di pensiero che sottolinea nell'ambito delle pratiche valutative l'aspetto longitudinale: si mira, cioè, a seguire gli effetti dei processi formativi nel loro svolgersi temporale dalla valutazione iniziale, a quella continua, a quella finale o sommativa. Ciò è accentuato ulteriormente dal secondo aggettivo "progressivo". Il portafoglio così concepito ha quindi un ruolo di documentazione o testimonianza dei progressi che il formando compie verso l'acquisizione delle competenze intese dal programma formativo.

5. Caratteristiche generali di un portafoglio formativo progressivo
Come abbiamo visto precedentemente, un portafoglio formativo progressivo è un particolare dispositivo valutativo che, a partire da specifici problemi, obiettivi e criteri valutativi, si avvale di una raccolta sistematica dei lavori realizzati da un soggetto in formazione nel corso di un determinato programma o percorso formativo. Si tratta di un insieme di elementi informativi, che documentano una serie di prestazioni, distribuite nel tempo, che permettono sia nel corso dell'attività formativa, sia alla sua conclusione, l'esame, l'interpretazione e la valutazione del materiale raccolto al fine di poter inferire il livello raggiunto dal soggetto nelle competenze oggetto di apprendimento. Un dispositivo valutativo di questo tipo può essere utilizzato in una molteplicità di contesti, sia scolastici, sia di formazione professionale iniziale, sia di formazione continua. Esso presenta alcuni caratteri generali che risultano comuni ai vari livelli e contesti di utilizzazione. Nella letteratura spesso si insiste sul valore dell'uso di questo tipo di dispositivi al fine di raggiungere una pratica valutativa più autentica. Ciò sta a indicare in particolare che per poter giungere a una rappresentazione adeguata delle competenze raggiunte da un formando non è possibile utilizzare un solo metodo, e tantomeno un solo strumento valutativo, soprattutto quando questo si riferisce a un unico tipo di prestazione. A esempio, l'uso di questionari a scelta multipla, come l'uso di interrogazioni o colloqui orali, se certamente forniscono alcune informazioni utili a esprimere un giudizio valutativo, tuttavia non tengono conto di molte altre componenti significative, rivelatrici di quanto effettivamente posseduto in maniera significativa, stabile e fruibile soprattutto se riferito a competenze professionali sufficientemente complesse. Inoltre si ha una visione statica, legata a un particolare momento e a specifiche circostanze. Si perdono di vista da una parte il processo di apprendimento, le strategie adottate e il guadagno formativo effettivamente raggiunto. Dall'altra, non si tiene conto dell'autoconsapevolezza che il formando ha di quanto è richiesto da un livello adeguato di competenza, dei suoi punti di forza e di quelli di debolezza. Ciò è estremamente necessario quando si abbia di mira lo sviluppo di processi di apprendimento auto-regolati. La formazione è un processo aperto; soprattutto quella iniziale, se deve gettare le basi o i fondamenti sui quali costruire la qualificazione professionale. Questi debbono essere per natura loro sollecitanti un ulteriore sviluppo, approfondimento e affinamento, e basati sia sulla pratica, sia su una riflessione critica ulteriore. E il soggetto deve essere in grado di gestire la propria ulteriore formazione, sia quanto a motivazioni, sia quanto a scelte di obiettivi, sia quanto a regolazione dei propri processi di apprendimento. Una valutazione autentica deve rispondere ad almeno quattro esigenze:
a
) avere a disposizione testimonianze provenienti da una molteplicità di attività e di prestazioni;
b
) sostenere e dirigere sia l'insegnamento che l'apprendimento in maniera più incisiva e motivata;
c
) rispondere alle esigenze poste dagli obiettivi formativi espressi in termini di competenze;
d
) fornire un quadro che permetta una analisi e interpretazione sia di tipo longitudinale, o progressiva, sia di tipo conclusivo, o sommativo. Il portafoglio formativo progressivo appare proprio come uno strumento ideale per rispondere a queste esigenze. Il portafoglio formativo progressivo dovrebbe quindi essere diretto a una raccolta sistematica, anche se non ridondante, di un insieme molteplice di testimonianze derivanti da più attività e prestazioni significative riferibili a una o più competenze. Andranno inclusi, quindi, elementi informativi diversificati sia quanto a tipologia di prestazioni, sia quanto a strumenti di rilevazione e registrazione adottati. A esempio, potranno essere inclusi relazioni scritte, schede di registrazione di osservazioni sistematiche, schede di autovalutazione, progetti solo prefigurati e progetti realizzati, questionari di autovalutazione, disegni e grafici, lavori di gruppo e individuali, registrazioni sonore di presentazioni pubbliche e di discussioni in piccolo gruppo. In qualche caso sono utili anche riprese video particolarmente rilevanti. Un problema centrale riguarda l'organizzazione del portafoglio. Essa deriva certamente dalle finalità perseguite e dal tipo di contenuti che si intendono raccogliere. Tuttavia occorre evitare una raccolta caotica e generalizzata, che metta insieme documenti significativi e insignificanti, senza una indicazione del contesto sia temporale (data) che situazionale (luogo e modalità di lavoro). Ogni buon portafoglio implica una organizzazione di lavori che sono stati selezionati in base alle finalità e ai criteri adottati per costituirlo da parte del titolare della sua gestione. Infatti si possono considerare portafogli totalmente gestiti dal formatore o dal gruppo dei formatori, oppure dal formando stesso, o ancora in collaborazione stretta tra formatori e formandi. A questo problema dedicheremo alcuni paragrafi successivi.

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