6. "Lavoro dell’informazione" come fonte di valore
Qual è il significato di questo sviluppo per la teoria marxista del
valore? Bisogna innanzitutto chiarire (controcorrente) che la dottrina
del valore-lavoro appartiene in quanto tale all’economia classica
borghese e che Marx l’ha riformulata come teoria della crisi, rendendola
dinamica. Il "vortice della trasformazione" (Hutter) sta nell’idea
che "i lavori privati, esercitati indipendentemente fra loro ma dipendenti
sotto ogni aspetto in quanto parti della divisione sociale del lavoro,
vengono ridotti continuamente ad una misura socialmente proporzionata.
Infatti, nei rapporti di scambio fra i loro prodotti, contingenti
e sempre oscillanti, il tempo di lavoro socialmente necessario per
la loro produzione viene imposto, con la forza, come una legge di
natura, all’incirca come la legge di gravità quando una casa crolla
sulla testa" (MEW 23, 89). Il salto della scienza a forza produttiva
principale, e il corrispondente aumento della produttvità del lavoro,
secondo Marx, spinge un modo di produzione economico che si regola
mediante il valore-lavoro ai propri limiti storici (MEW 42, 600 e
sgg.; cfr. W.F.Haug 2000). Questa teoria diventa falsa se la si intende
come una teoria del crollo. Apre invece una pista se la si intende
come teoria della crisi.
Shapiro e Varian ritengono che il prezzo dei beni dei prodotti dell’informazione
si orienti "secondo il valore individuale che gli uomini accordano
al singolo prodotto" (Schmidt 2000b). A questa dottrina soggettiva
del valore, così individualizzata, li induce la constazione che il
prezzo dell’informazione, quando questa diventa merce di massa, "tende
a coincidere" per via della concorrenza "con i costi di produzione
per unità – vale a dire con lo zero" (ibidem). Così l’analisi
marxiana secondo cui il lavoro cesserebbe di essere "la fonte maggiore
della ricchezza" sembra confermata nel caso della merce informazione.[22]
Ma è un’apparenza che inganna.
Se nel fenomeno delle merci digitali il crollo dei costi per unità
in presenza di una tiratura crescente è spinto all’estremo, ciò accade
perché il loro valore è determinato dal lavoro di sviluppo (Entiwicklungsarbeit).
Il modo in cui si forma il prezzo dipende, di volta in volta, dai
rapporti e dalle tattiche del mercato e dai monopoli esistenti. A
complicare e nascondere questa situazione c’è poi il fatto che l’uso
non richiede necessariamente l’acquisto. Il rapporto tra proprietà
e valore d’uso dei beni di questo tipo si può descrivere come un modello
avanzato di biblioteca pubblica e senza costi di consultazione. La
fede nel nuovismo rende spesso ciechi di fronte al ripresentarsi di
fenomeni già da tempo noti. Ciò che Klotz ritiene specifico per i
"beni dell’informazione" digitali, era valido già per il libro nelle
biblioteche del XVIII secolo: "i prodotti dell’informazione devono
essere sviluppati (entwickelt) per diventare utilizzabili da tutti".
Presa parola per parola, questa definizione vale addirittura per tutti
i tipi di prodotti: qualsiasi prodotto deve "essere sviluppato solo
una una volta per diventare utilizzabile da tutti". Per questo, Platone
attribuisce la produzione dei singoli prototipi che chiama idee, a
Dio (Repubblica, 596 c). Klotz intende qualcosa di diverso
da quanto dice, cioè la sovrapposizione del carattere "valore d’uso"
al carattere "proprietà": i beni di consumo che non siano di consumo
nel lungo periodo, devono essere riprodotti e, in particolare, comprati
di nuovo.
La novità dei prodotti digitali del lavoro intellettuale, rispetto
al libro a stampa, è il concreto modo di distribuzione e il carattere
mediatico dell’apparato della "lettura". Se per le merci digitali
il loro consumo può sembrare gratis, questo vale anche per l’accesso
in abstracto. Occorre, certo, la rete informatica per la loro
distribuzione e un terminale provvisto di programmi adeguati che costituisce
l’interfaccia per il consumo. Il terminale e i programmi devono essere
pagati, come l’accesso privato dell’utente, cosa che valeva anche
in passato per il libro. Ma quando vengono messi a disposizione gratis,
in fondo non accade nulla di diverso rispetto a una biblioteca pubblica
senza costi per l’utente. Anche se dal punto di vista dei singoli
privati "i costi marginali della diffusione e distribuzione del sapere
digitale" sembrano "praticamente nulli" (Klotz 2000a), perché non
richiedono nell’immediato nessun atto di riproduzione materiale, tali
però non sono dal punto di vista sociale. I costi sono esportati nella
società; essi non si manifestano più concentrati in un punto, ma distribuiti
in molti punti nello spazio e nel tempo, e in parte nascosti con dei
trucchi.[23] Non dovrebbe sorprendere se l’impiego di materia
nel modo di produzione e distribuzione digitale di libri risultasse
in totale maggiore che nel procedimento tradizionale della stampa
e della rilegatura per via delle apparecchiature necessarie allo scopo.[24]
Già soltanto il rapido invecchiamento tecnico ed estetico delle apparecchiature
e il consumo energetico sono fonte di preoccupazioni.
Klotz ritiene che si debba rinunciare all’idea di "una produttività
basata su grandezze quantitative" poiché con la produzione di beni
informatici sembra giunto "un tempo della mente e dello spirito al
posto del tempo della macchina". Siccome per molti liberi collaboratori
esterni o impiegati di tante (per lo più giovani) imprese online (IT-Betriebe),
resi partecipi con quote azionarie e altrimenti sottopagati, "i confini
tra tempo libero e di lavoro, tra luogo di abitazione e di lavoro,
tra apprendere e lavorare, tra lavoro e riposo, tra occupazione dipendente
e occupazione autonoma" oscillano, la teoria classica del valore-lavoro
sembra, anche per questo aspetto, perdere il proprio oggetto. Da Marx
in poi dovrebbe essere chiaro che questa teoria non potrebbe in nessun
caso descrivere un caso singolo. Essa va presa come una teoria di
campo (cfr. su ciò Haug 1996, 52 sgg.). Il dramma di un valore medio
è che non può essere compreso come un fatto tecnico, ma è piuttosto
un risultato in cui agiscono, in maniera correlata, condizioni tecniche,
il livello di qualificazione della forza lavoro e il fabbisogno sociale.
La teoria marxiana del valore-lavoro non descrive, quindi, dati di
fatto immediati, ma è piuttosto una teoria della mediazione e del
processo e, al tempo stesso, una teoria della crisi. Il tempo di lavoro
dei "lavoratori simbolici", dilatato all’estremo, non è perciò un
argomento che possa mettere fuori uso la riformulazione della teoria
del valore-lavoro in termini di teoria della crisi. A complicare ulteriormente
la questione c’è la ricerca nel settore online di profitti straordinari
a breve termine. Il modo in cui il profitto straordinario sembra contraddire,
nel singolo caso, la teoria del valore-lavoro, può essere compreso
in verità solo sulla base di questa, così come uno squilibrio può
essere compreso solo come deviazione da uno stato di equilibrio. Marx
ha risolto il problema in principio.[25]
7. Speculazione e profitti straordinari
La prospettiva del denaro facile in borsa sembra tanto più reale,
quanto più è condivisa. La fede in essa, se si diffonde, la rende
frizzante anche se non per lungo tempo. La storia, non ancora conclusa,
dell’"imprenditore seriale".[26] Peter C.Rudin mostra in
maniera esemplare il nucleo attraente dei fantasmi della speculazione.
Nel 1975 fonda un’impresa per la quale 14 anni dopo, quando con 50
impiegati fattura 13 milioni di franchi svizzeri, ottenne un importo
milionario a una solo cifra. Nel 1993 fonda una nuova impresa che
dopo quattro anni, con 60 lavoratori e un fatturato di 14 milioni
di franchi svizzeri, vende per una somma dieci volte superiore. Nell’aprile
del 1999 fonda di nuovo un’altra impresa con l’intenzione, dopo due
anni e mezzo e con lo stesso fatturato e numero di lavoratori, di
fare soldi. "Questa volta non venderà la sua azienda a un’impresa
estranea, ma entrerà in borsa dove conterà un ricavato in cifre milionarie
a tre cifre" (Bovensiepen 2000). In confronto alla sua prima impresa,
avrebbe ottenuto, con un sesto del tempo, un prezzo di centinaia di
volte superiore e in cambio dello stesso valore; e questo verrebbe
spiegato con la formula senza sostanza e valida per ogni occasione,
secondo cui il prezzo di mercato di un’impresa viene "determinato
molto più dalle aspettative future che non dai risultati conseguiti
in passato" (Hutter 2000). La notizia è però del febbraio 2000, a
due mesi del primo "crollo da strapparsi i capelli" (Tzermias 2000c)
delle quotazioni: l’illusione di moltiplicare il denaro a ritmi esponenziali
si infrange davanti alla realtà e alle cambiate "aspettative future".
L’impulso alla speculazione del nuovo mercato è spinto dalla prospettiva
di profitti straordinari, di quelli che Karl-Heinz Paqué chiama, in
modo eufemistico, "guadagno dei pionieri". Il professore di economia
di Magdeburgo spiega la disoccupazione al di sopra della media nelle
regioni orientali della Germania con la tesi che i posti di lavoro
si devono mantenere con i "guadagni da pionieri", cioè con "una ricerca
sempre orientata al mercato e con l’applicazione commerciale delle
innovazioni", cosa che nella Ddr "era stata distrutta dell’economia
pianificata". L’economia normale sarebbe perciò solo in in misura
irrilevante un’economia proiettata verso profitti straordinari. La
new economy si raffigura come uno stato d’eccezione, cioè come instabile.
"Economia del tempo nella quale si risolvono in ultima istanza tutte
le economie". Un’epoca di smottamenti e di crisi economiche di movimento
è solo la parodia di questo principio marxiano: in uno stato permanente
di eccezione è il vantaggio temporale il fattore decisivo. "Gli effetti
della rete trasformano spesso piccoli vantaggi di tempo in fattori
di dominio del mercato. Si arriverà a una vera e propria concorrenza
per i beni di monopolio che hanno una durata temporale" (Hutter 2000).
E siccome i prodotti digitali "possono essere replicati, modificati
e distribuiti sempre più velocemente, questo intervallo di tempo profittabile
diventa sempre più breve" e "la concorrenza diventa sempre più concorrenza
per il tempo" (Klotz 2000a). "Economia del tempo", quindi, nel senso
che in essa si risolve, in ultima istanza, la new economy. Ogni vantaggio
è temporaneo e i vantaggi temporanei sono tutto. Fino a che una molteplicità
di settori e la pulsazione nei diversi settori di questi stati d’eccezione
alimentano l’aspettativa di precipitare in futuri immaginari, le previsioni
congiunturali restano buone. Il presidente dell’istituto di Kiel per
l’economia mondiale, Horst Sieber, ipotizza che "l’alto tasso di crescita
in America stia ritornando attraverso la tecnica informatica e delle
comunicazioni a un salto quantitativo, a partire dal quale dovrebbe
iniziare una nuova onda tecnologica, un nuovo ciclo di Kondratiev
di lungo periodo". Poiché "nei beni della reta informatica gli utenti
sono interdipendenti in senso positivo", Horst Sieber prevede un dominio
dello stato d’eccezione "finché la rete non abbia raggiunto la sua
diffusione definitiva e da qui non nascano innovazioni tecnologiche".
8. Internet e idee di potenza
Il rischio deve essere fantasioso per osare. Sono le fantasie di profitto
che fanno rischiare l’esistenza di capitali monetari in nome di profitti
fantastici. Ma nella misura in cui la new economy è un’economia di
beni digitali riproducibili con l’ammortizzamento dei costi fissi
e per i quali il prezzo di monopolio è svincolato dal valore, nessun
altro limite interviene al potere di quelle fantasie sull’immaginazione
degli investitori all’infuori delle strategie di fantasie in competizione.
Queste teorie servono come prostitute[27] a legittimare
le forme del pensiero e della prassi. Nel "Frankfurter Allgemeinen"
Franz Schirrmacher si pone l’obiettivo di "misurare lo spazio d’immaginazione
degli attori della rivoluzione industriale". "Noi abbiamo qui fra
le mani una sorta di Santo Graal", gli risponde in un’intervista il
capo di un’impresa nella tecnologia genetica[28](Whitfiedl
2000). Egli stesso spiega che "l’essenza della rivoluzione contemporanea"
sta "nel mettere la forza originaria dell’evoluzione, il tempo stesso,
nelle mani degli attori" (Schirrmacher 2000). Il consolidarsi di questo
immaginario impronta le fantasie speculative del nuovo mercato ed
ha elevato il lorianesimo a carattere dello spirito del tempo. "Noi"
pertanto potremmo non essere sostituiti dai robot, informa i lettori
del "Frankfurter Allgemeinen" il direttore del Mit-Institut per l’intelligenza
artificiale, "potrebbe non essere più così" dal momento che noi stessi
diventeremo automi (Brooks 2000). Il caporedattore della "Scientific
American" ha profetizzato, dopo aver letto il romanzo di Marge Piercy
Lui, lei, esso, che "le anime sincere dei nostri fratelli cibernetici"
ci potrebbero "un giorno aiutare a farlo meglio" (Rennie 2000). In
queste visioni sull’immortalità – da raggiungere con tecniche cibernetiche
o genetiche – trova la propria droga una nyuova borghesia stimolata
dalla speculazione e che si racconta il romanzo del suo futuro come
una storia d’eterna giovinezza. Più si consolidano questi fantasmi,
più cresce una febbre dell’oro. Questo clima penetra anche nella società
venerabile degli scienziati e medici tedeschi. "Dovunque si appoggi
la vanga, si diventa ricchi", ha detto il presidente Ernst-Ludwig
Winnacker al 121° anniversario della "Scientific American". "Chiunque,
o quasi, sollevi una pietra può trovarci sotto un diamante".[29]
Quando diventano determinanti nell’agire, le fantasie rappresentano
una potenza realmente effettuale. Questo vale per la borsa e per il
comportamento degli investitori. "Il compito decisivo per il successo
delle imprese è perciò il "management delle aspettative" o "l’incandescenza
della speculazione"" (NZZ, _ aprile 2000). Il valore della quotazione
in borsa delle aziende online aumenta quando riesce a colpire "il
nervo della coscienza collettiva, a corrispondere a quelle intuizioni
della psicologia delle masse che stanno alla radice delle fantasie
su Internet nel mercato azionario". Dunque, chi agisce così "può in
veste di eterno cliente online navigare nell’età dell’oro" (Goertzel
2000).
La finzione capitalistica che si manifesta nelle fantasie della new
economy è l’aura del capitale fittizio. Pochi altri concetti devono
oggi essere ripresi e rielaborati come questo principio marxiano.[30]
L’uso dell’ideologia serve a gonfiare il capitale fittizio. Il piccolo
calcolo, l’avarizia vanno in estasi, il diffidare stesso diventa romantico,
se solo il romanzo è scambiato per realtà. La speculazione in borsa
diventa lo sport popolare fin negli strati medi più bassi. Come se
fosse una bella pagella scolastica, la ministra di Stoccarda, Annette
Schavan, ha informato che la percentuale degli azionisti fra gli studenti
di età compresa fra i 14 e i 19 anni si sarebbe, negli ultimi anni,
"più che raddoppiata (dall’1,7% del 1997 al 5,1 nel primo semestre
del 2000)". Ma questa sarebbe una triplicazione. Contare non è il
suo forte, per la presidente dei parlamentari della Cdu. La speculazione
della new economy e del nuovo mercato, aggiunta agli effetti della
mobilitazione di massa nell’acquisto di azioni, ha suscitato un enorme
"processo di ridistribuzione delle risorse, il che avrebbe un effetto
di rafforzamento della crescita" (Hale 2000). Se un imprenditore ha
potuto affermare che la "new economy" sarebbe sospinta dalla "più
grande mobilità di denaro della storia", ciò deriva dal fatto che
nella sola Germania gli investimenti di imprese che operano con capitali
di rischio sono saliti tra il 1990 e il 1999 da 3,2 a 13 miliardi
di marchi (Bovensiepen). Per gli Usa l’economista capo del "Financial
Services" di Zurigo ha calcolato nel maggio 2000 che i capitali del
settore tecnologico investiti nella borsa americana è salita "dal
10% dei primi anni Novanta al 33%" (Hale). Non è la prima volta che
a nuova economia vengano attribuiti autentici miracoli. L’economista
americano Robert J.Shiller descrive come nel XX secolo "le speranze
di una nuova era abbiano portato alle grosse bolle speculative in
borsa e come, in questa età dell’ottimismo, gli uomini abbiano sognato
un futuro tecnologico radioso"; ma descrive anche come poi "sia scoppiata
una bolla speculativa dopo l’altra e gli investitori si siano lasciati
sempre, ogni volta di nuovo, entusiasmare dalla fede in una nuova
era e in una nuova economia" (Tzermias 2000c,d).[31]
Al passaggio al XXI secolo la speculazione al rialzo si aspetta "effetti
esplosivi" di "proporzioni gigantesche" dal fatto che "ogni nuovo
utente di Internet produce più valore dell’utente che è stato già
adescato prima di lui" (Beck 2000a). Robert Kurz (2000) risponde a
questo con una controspeculazione escatologica. Qui è il comunismo
che arriva come un miracolo. Detto brevemente, il capitalismo "distruggerebbe
il proprio fondamento economico" attraverso Internet. La rottura sarebbe
vicina. Gli elementi di razionalizzazione e di abbassamento dei costi
contenuti da Internet, non solo distruggerebbero posti di lavoro,
ma spingerebbero "il capitalismo definitivamente ad absurdum".
Questa profezia da fine dei tempi è una truffa intellettuale per sé
e per gli altri. Nella realtà il capitalismo sta riorganizzando le
dimensioni informatiche e comunicative del suo fondamento economico
a un livello altamente tecnologico.
Anche se Internet, nel comportamento di molti utenti, rinvia "a un
mondo al di là del comprare e del vendere, a un reciproco scambio
senza denaro" e le sue "possibilità di comunicazione" vanno "oltre
il capitalismo", la possibilità non è ancora la realtà. Ritenere che
i 25 milioni che ogni giorno battono le strade della rete siano "individui
consapevolmente socializzati", è illusorio; altrettanto lo è la fede
in Internet "come mezzo universale postcapitalistico" che servirebbe
"soprattutto a una comunicazione di opposizione all’interno della
società capitalistica". Soprattutto! Ma il volo della fantasia procede
oltre: Internet "potrebbe superare la concorrenza attraverso la comunicazione
globale diretta e renderebbe un gioco da ragazzi ciò che per il buon
senso è sempre stato inattuabile in termini pratici: l’interazione
immediata di una società globale che si autoamministra senza denaro
e senza Stato". Questo è lorianesimo al quadrato. Il mezzo di rapporto
in quanto tale dovrebbe distruggere la concorrenza, quindi il rapportare,
mentre il mezzo universale, l’organo di comunicazione/mediazione per
eccellenza, dovrebbe creare l’immediatezza assoluta. Kurz è il profeta
di un al di là polpotiano di ogni mediazione. È l’altra faccia della
new economy.
9. Distruzione di capitale e crisi
Al tempo della speculazione segue il crac. E questo non avviene tutto
in una volta, ma a fasi intermittenti. Per il "nuovo mercato" che
ha funzionato per lungo tempo come "macchina da soldi", quel crollo
richiede considerazioni più realistiche: quelle imprese che "hanno
brillato per l’immagine di sé invece che per le prestazioni, scompariranno
dal mercato con altrettanto rapidità di come sono nate" (Beck 2000b).[32]
La "lista delle aziende online morte" che circolavano in borsa nei
listini tecnologici dopo il "crollo da strapparsi i capelli", agli
inizi del 2000, è un assaggio. Questo significa che, improvvisamente,
"la differenza tra old e new economy" è "completamente irrilevante
per gli agenti in borsa" (Fugger 2000).
Gli investimenti speculativi di "capitali a rischio" in grandi quantità
sono un modo particolare di distruggere capitali. È l’altra faccia
complementare dei profitti straordinari. Nella speculazione dei profitti
straordinari, i patrimoni monetari si offrono volontariamente al pericolo
di distruzione. I piccoli investitori precipitano nella speculazione
gonfiata dalla fantasia. Non ogni capitale "individuale" sottostarà
al pericolo. Tutti contribuiscono ad accendere un fuoco di paglia
generale, dal quale ciascuno spera di potersi sottrarre in tempo utile.
Ma quando il momento è passato e il fuoco di paglia crolla su se stesso,
i piccoli investitori perdono miliardi di milioni. Come se fosse una
"Cash Burn Rate", la distruzione a rate è inscritta nel boom, mentre
la possibilità di crisi nella congiuntura.
Questa distruzione di patrimoni monetari[33] non è l’unica
forma di distruzione di capitale. Un crollo congiunturale, secondo
Edward Luttwark, potrebbe essere provocato nel nuovo mercato dalla
riduzione del prezzo delle azioni al "normale indice di scambio" tra
le quotazioni e il guadagno: è in questo modo che sono "scomparsi,
con una stima ottimistica, almeno 5 billioni di dollari liquidi dall’economia
mondiale" e questo soltanto negli Usa, ai quali poi, come sempre,
seguono le borse europee e così via. "Questo significa meno moneta
(la maggior parte della quale esiste solo elettronicamente), minore
domanda reale di beni di consumo e di investimento, regressione della
produzione e dell’occupazione – cosa inevitabile poiché esiste una
quantità di investimenti improduttivi: in migliaia di uffici con le
loro apparecchiaturem nei software di Internet che nessuno vuole più
avere, e anche nelle fabbriche obsolete nelle quali venogono prodotte
le icone del nostro tempo, i computer e i suoi accessori" (Luttwark
2000). – Follia, ha sottolineato Ben Goertzel: non si può arrivare
al crac perché "la fantasia su Internet nel mercato azionario poggia
su un ottimismo culturale che giudica la rete non solo come un progresso
tecnico, ma anche come un nuovo modello di organizzazione della società.
Fino a che questo ottimismo è giustificato, Internet dominerà sempre
più l’economia e la cultura di massa". Cosa accadrà però quando non
ci sarà più questo ottimismo? Da una ricerca dell’Istituto Allensbacher
risulta che per il 71% dei tedeschi la società contemporanea diventa
sempre più fredda ed egoista; più della metà teme che in futuro solo
i più forti possano resistere; solo il 6% si aspettano più solidarietà
("Frankfurter Allgemeinen Zeitung", 16 agosto 2000).[34]
Anche Luttwark ritiene che una grande crisi come quella del ’29 possa
essere evitata, ma solo perché i governi si ricordano del keynesismo.
– E come per difendersi in tempo da questo tentativo, la "Frankfurter
Allgemeinen Zeitung" ha pubblicato tre giorni dopo una resa dei conti
con il keinesismo (Richter 2000).[35]
I protagonisti della Internet-economia, i produttori di lampi di genio
profittabili, erano fra quelli colpiti dal fulmine del mercato quando
i titoli del nuovo mercato ebbero una deflazione. Essi avevano però
messo in conto salari più bassi e si facevano pagare con azioni della
ditta datrice di lavoro, in attesa di indici borsistici in crescita,
con la fede che anche per loro si sarebbe compiuto "il passaggio da
collaboratori a milionari in breve tempo" (Mühlhaus 2000). Nel giro
di pochi mesi, a volte di una sola notte, "l’arma meravigliosa della
new economy si è inceppata" (ibidem) per il crollo della borsa.[36]
I titoli azionari hanno agito da armi meravigliose nel concorrere
con la "vecchia economia" per quei giovani lavoratori meravigliosi
che, sulle ali delle loto aspettative borsistiche, sono diventati
lavoratori migranti. In quella congiuntura il presidente dei ministri
della Sassonia, Kurt Biedenkopf, ha proclamato il "rovesciamento dei
rapporti tra capitale e sapere": la risorsa scarsa non sarebbe più
il denaro. "Questo significa oggi, il capitale cerca conoscenza" (Bovensiepen
2000).[37]
La realtà è più complessa: le imprese hanno dovuto concorrere per
avere afflussi di denaro e forza lavoro qualificata, ed era il successo
nell’attrarre denaro che rendeva possibile il successo nell’attrarre
lavoro. Investitori e dipendenti dovevano essere avvolti da uno stesso
fantasma. "Gestire i dipendenti e motivare ad alte prestazioni funzione
in modo molto semplice nel mondo online: i dipendenti vengono resi
partecipi ai successi in borsa delle loro imprese con quote azionarie
sul titolo"; essi rinunciano perciò ad aumenti salariali, anche se
non è chiaro cosa ne verrà fuori. Andrew Ross ha descritto in un’inchiesta
sui rapporti di lavoro nella "Silicon-Alley" – una delle oltre 70
varianti delle Silicon-Valley o dei Silicon-villaggi – che i lavoratori
"per metà sono lavoratori con contratto a tempo determinato e che
sperano soprattutto che salga il prezzo delle loro quote azionarie.
Il salario medio è di 50mila dollari, la metà all’incirca di quello
che si guadagnava nei vecchi media" (Schneider 2000). Essi formano
"un’armata volontaria a basso salario" con speranza di speculazione.
Nelle varie opzioni di salario, le aspettative future di speculazione
dei dipendenti vengono capitalizzate nella forma paradossale del non-salario.
Questa è la caricatura neoliberale del keynesismo a livello aziendale:
lo scambio con futuri guadagni serve a dilazionare i costi presenti
per i salari – o meglio, lo scambio con aspettative di futuri guadagni
che richiamano l’attenzione del pubblico delle borse su quelle aziende
cosicché aumenti la loro quotazione azionaria.
Un crollo della speculazione, anche se dovesse annunciare una crisi
economica generale, non significa ancora il crollo del capitalismo.
Forse da una crisi grave emergono istituzioni e strumenti di una nuova
regolazione, l’inizio di un nuovo regime di accumulazione con una
propensione alla crisi relativamente più stabile, per dirla in maniera
paradossale.
10. Al di qua della virtualità
Non soltanto la crisi prodotta dal meccanismo del mercato, anche l’al
di qua del virtuale – gli uomini in carne e ossa e il mondo delle
risorse naturali trasformate in valori d’uso – porta all’esplosione
delle bolle speculative di periodo in periodo.così lo sciopero dei
"lavoratori americani delle comunicazioni, descritti dai profeti del
neocapitalismo radicale come un anacronismo" hanno provocato nella
regione di New York il "crollo delle telecomuniczioni" e "mostrato
ai pionieri del futuro e dell’era digitale che al confine con il cyberspazio
ci sono confini analogici alla vecchia moda e molto reali" (Kreye
2000).[38] Contro queste barriere urta la new economy,
quando entrano sulla scena i soggetti con bassi salari, che svolgono
"attività banali come telefonare, consegnare pacchi e pizze, oppure
fare le pulizie" che sono state messe dalla new economy "al servizio
delle forze di spicco". All’improvviso, come è accaduto negli Usa
agli inizi del 2000, "migliaia di lavoratori delle pulizie richiamano
su di sé l’attenzione con un’ondata di scioperi. I "janitors" che
ogni notte puliscono le torri degli uffici dai resti del lavoro immateriale,
sono perlopiù immigrati latinoamericani e lottano per un aumento dei
loro salari da fame. Le impree rampanti si scaricano delle loro responsabilità.
Per i lavori sporchi ci sono sempre a disposizione sottoditte d’appalto"
(Schneider 2000). Se il "contatto con il mondo reale è il tallone
d’Achille dell’economia delle ombre", questa cesura è soltanto il
luogo d’inizio della crisi. Le inquietudini per l’aumento dei prezzi
del petrolio dovrebbero servire a mettere fine ai discorsi sulla dematerializzazione
dell’economia.
"Nelle discussioni a proposito della New Economy si è menzionato lateralmente
il fatto che vi si realizzerebbero soltanto debiti, mentre i profitti
si farebbero per lo più grazie ai vecchi sistemi di un’economia ‘sporca’.
Rispetto a postulati quali ‘Le scuole in rete!’ oppure ‘Acquistare
con un click’ si è presto dimenticato che non si possono inviare gli
studenti a scuola con una e-mail e che i computer non trasportano
libri. Nel quadro futuro di un’economia che si pretende sempre più
leggera, sempre più pulita, si è dimenticato, in altri termini, che
essa vive ancora oggi grazie all’impiego del suo passato fossile.
Al polo nord il giaccio si assottiglia, il prezzo del diesel continua
ad aumentare e la situazione minaccia di diventare incontrollabile,
così almeno si dice. Siamo sempre ancora nella vecchia economia".
(Klaube 2000a)
Il nuovo mercato è il vestito nuovo del capitale dell’imperatore.
Talvolta qualche innocente si mescola alla cerchia dei suoi adoratori
e dice allora ingenuamente che il re è nudo. Oppure, con la voce irrispettosa
di Franziska Augstein, che si è fatta ben consigliare da David Coates:
"La teoria economica è disorientata, i suoi suggerimenti sono attualmente
vaghi ed inconcludenti — ed addirittura più vaghi ancora e più inconcludenti
dei desideri selvaggi dei manifestanti di Seattle, Washington, Londra,
Melbourne e Praga".
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