Giuseppe Caravita (www.airec.net)
Estratto da Internet come gioco a guadagno condiviso - Parti 1 | 2 | 3 | 4 | 5
2 - Due fiumi
Ma riprendiamo il filo della narrazione da quella particolare comunità attiva, o "noosfera", che dagli anni `50 si sviluppava intorno all'informatica. Tanti libri sono stati scritti sull'argomento. Io ne ho apprezzato soprattutto uno: "Hackers" di Steven Levy (Hacker, gli eroi della rivoluzione informatica, Shake Edizioni Underground, Milano 1996). In esso si racconta in modo magnifico, lungo il tracciato di alcuni personaggi chiave, dell'innesco dell'esplo razione della "frontiera" da parte di menti giovani (e libere). E si delinea con efficacia il profilo crescente, a valanga, del processo di contagio su altre menti. Un fenomeno diffusivo della frontiera che negli anni `70 cominciò a debordare dai laboratori di universitari e industriali della computer science, fino a divenire l'ondata del personal computing. Il primo grande "gioco a guadagno condiviso" che precedette, sul piano sociale, il fenomeno Internet. Ma che pose le sue basi di massa, e gran parte del suo tessuto culturale, per la fase successiva. Meglio specificare: nei primi anni `90 avviene la confluenza tra due grandi fiumi. Il primo è il personal computing, il secondo il networking universitario. E la confluenza avviene semplicemente perché, ambedue figli dello stesso mare della "noosfera", i due fiumi paralleli si erano progressivamente ingrossati (reciprocamente sinergici) al punto che li divideva solo un esiguo argine. Se vogliamo indicare un punto di svolta critico, possiamo dire che Tim Berners-Lee, fisico del Cern, fece saltare questo argine nel 1989, con l'invenzione del World-Wide-Web. Da allora il fiume è uno solo, grande come il Rio delle Amazzoni.

2.1 - I valori del progetto rete
Guardiamoli questi due fiumi, partendo dal networking che fin dagli anni `60 aveva preso a svilupparsi ramificandosi dentro i centri di ricerca, i laboratori universitari, le imprese dell'High- Tech. Più (all'inizio) e sempre meno (poi) correlato ai progetti di difesa nell'era della deterrenza nucleare. La prima Internet nasce su questi progetti. In primo luogo sull'idea di se stessa: una rete di comunicazione capace di continuare a funzionare anche in caso di attacco atomico, nel tremendo caso di intere città annullate in vari punti della nazione, e conseguenti parti dell'infrastruttura di telecomunicazioni volatilizzate. Scenario molto realistico nel `62, quando intorno a Cuba si incrociarono, per qualche giorno, le navi di Armageddon. Lo stesso anno in cui l'Arpa (l'agenzia per la ricerca del Pentagono) avviò il progetto Arpanet, che dieci anni dopo sarebbe sfociato nella "rete di reti". Provate a pensare al problema. Risolvibile forse con l'infrastruttura telefonica degli anni `60? Con le centrali elettromeccaniche che aprivano e chiudevano circuiti statici di connessione analogica? No. L'unica soluzione era quella di usare, al loro posto, la flessibilità dei computer programmabili. Capaci di "parlarsi" tra di loro, di scambiarsi le informazioni lungo percorsi multipli, riconfigurabili sulle condizioni di comunicazione via via riscontrate. Di correggere errori trasmissivi (quantomeno i più comuni), di accettare velocemente l'ingresso di nuovi "nodi", semplicemente aggiornando la "mappa" degli indirizzi tenuta costantemente nella memoria collettiva della rete. In breve: il Transfer Control Protocol (Tcp) che nel 1973 fu ufficialmente posto da Winton Cerf come standard fondante di Internet, come suo codice genetico di base. E' opportuna una piccola riflessione sulla straordinaria architettura del Tcp. Tutti i "nodi", nella sua architettura sono alla pari, tutti cooperano con tutti per raggiungere il risultato (la comunicazione), lo standard è "pubblico" (aperto a chi voglia servirsene e connettersi). Non vi è un padrone, un gestore dominante, un centro di controllo centralizzato. Ironia: nell'epicentro militare del campione capitalistico del mondo nacque l'architettura informatica più "comunitaria" e egualitaria che si potesse immaginare. Ma anche architettura aperta, libera, e cooperativa. In termini informatici precisamente traducibili in: standard aperti, peer-to-peer, cooperative computing. Dietro il gergo tecnologico traluce la base filosofica della rete. In una parola: democrazia. Messa nel silicio dei bit da uomini di buona volontà. E non alterata dalla successiva gerarchia Ip, funzionale soltanto al mutuo riconoscimento dei nodi di rete. L'Ip è in pratica il sistema di numerazione e di riconoscimento dei nodi di Internet. Si basa su una gerarchia di "domini" a cascata e di un protocollo, il Dns (Domain Name System) che abilita alcuni "nodi" della rete (domain name servers) al riconoscimento degli indirizzi e di instradamento (routing) dei messaggi tra i vari nodi. Il tutto attraverso tabelle di indirizzamenti continuamente aggiornate dalla stessa rete dei Dns. Una rete democratica, facilmente espandibile, basata sulla reciprocità e su standard gratuitamente pubblici. Che già nei primi anni `70, uscita dal segreto militare dell'incubo nucleare, andò immediatamente oltre il suo status di strumento per singoli progetti. Divenne il luogo per il primo grande "gioco a guadagno condiviso" che la estese. Il gioco della "noosfera" scientifica, la prima (ovviamente) a sposare la rete, come nuovo motore del suo win-win conoscitivo. Nei primi anni `90 l'Internet scientifica era già divenuta pressoché "invisibile" ai suoi stessi utenti. Non pochi utenti universitari, di fronte alla mie domande meravigliate, rispondevano: "Internet? Ah sì, stai parlando della posta elettronica! Ma quella la usiamo tutti i giorni, è normale. Perché dai tanta importanza a Internet?". Eppure era ed è importante. Prima di Internet, per esempio, ogni risultato di ricerca doveva essere pubblicato su una rivista, o su una newsletter. Quindi settimane o mesi per ottenerne la stampa e la diffusione. Poi presentato e discusso in un convegno. E infine, eventualmente, era oggetto di ristretti carteggi postali tra poche menti. Con Internet cambiava tutto. Un giro di e-mail istantanee, in tutto il modo, per riassumere la scoperta o l'avanzamento fatto. L'indicazione del sito Ftp dove poter accedere ai primi lavori preliminari, la richiesta di commenti istantanei, la possibilità che il processo si estendesse subito a qualche giovane ricercatore o studente con spunti brillanti. L'avvio di progetti coordinati, in cui vari team esplorano diverse parti del progetto di ricerca, sulla base di una strategia via via concordata e con minori replicazioni o scoperte di "acqua calda". La conoscenza e la ricerca, insomma, più aperta, globale e cooperativa di un ordine di grandezza. E anche l'accesso più facile a risorse pregiate, quali elaboratori potenti (fino ai supercomputer, su cui poter risolvere computazioni critiche). Oppure, per lo studente, la meravigliosa sorpresa di trovare un utile e cortese messaggio di risposta alla domanda inviata al mitico luminare di oltreoceano. E magari di qui anche un primo, e fecondo, interesse reciproco. Quante facce ha il diamante del gioco a guadagno condiviso? La risposta non è alla portata di un singolo narratore come me. Ma nell'ecosistema delle miriadi di vite. E il primo ecosistema fu proprio quello di chi Internet la creava. Gioco di ricerca e sviluppo auto-sostenuto dalla stessa utilità dello strumento-frontiera.

2.2 - Il futuro personale
Accesso alla risorsa pregiata. Questa mi pare la chiave migliore per introdurre la visualizzazione del secondo fiume, quello del personal computing. La sua fonte, è ben noto, fu alternativa, fuori di ogni circuito del "computer establishment". Nacque dai circoli amatoriali, come l'Homebrew computer club dove Steve Wozniack e Steven Jobs presentarono, una sera, le meraviglie della scheda madre interfacciata a lettore floppy (per allora una assoluta novità), capace di divenire un autentico computer personale, completo di sistema operativo su disco e di programmabilità tramite linguaggi di alto livello, come il "facile" Basic tradotto per microcomputer da un altro appassionato studente, William Gates di Seattle. Apple 1, prodotto in un proverbiale garage, ma soprattutto Apple 2 furono sistemi informatici, a differenza del loro primo predecessore Altair (un box chiuso e quasi inservibile, privo di periferiche), che rispettarono spettacolarmente le antiche leggi democratiche di "apertura" citate sopra nel caso di Tcp. Le creature di Wozniack, che in questo seguiva le esigenze di esplorazione della comunità dell'Homebrew, erano aperte sia dal lato hardware che software. Il progetto della scheda madre era pubblico e così il suo (rudimentale ma efficiente) sistema operativo, incluso il linguaggio Basic iniziale. Chiunque avrebbe potuto sviluppare periferiche aggiuntive, estensioni, e soprattutto software applicativo. E fu proprio quanto avvenne, e in misura maggiore rispetto ad altri primi personal, come i modelli della Tandy o Radio Shack che utilizzavano per il software periferiche a nastro molto meno efficienti del floppy drive (peraltro quest'ultimo inventato nei molto altolocati laboratori Ibm). L'Apple, quindi, fu un sistema architettato e prodotto sulla base delle esigenze di una comunità aperta (l'Homebrew che si espandeva esponenzialmente in quegli anni, e ben oltre i suoi confini locali). Per questo risultò superiore a tutti gli altri personal. Nel suo Dna (che sarà poi anche quello del Pc Ibm, sistema ricalcato sull'Apple) c'era lo spirito della libera ricerca, dell'hacking, dell'esplorazione condivisa. Lo stesso che, in quegli anni e dopo, avrebbe mosso l'open-source e Internet. Nel 1978-`80 Apple 2, la "bicicletta della mente" (nello slogan coniato da Jobs) divenne così uno standard mondiale per un dilagante gioco a guadagno condiviso: mettere le mani sul proprio computer, potersi inventare il futuro da sé. E allo stesso tempo partecipare, come distributore, sistemista, sviluppatore a un gioco di mercato in esponenziale crescita, del tutto incurante di qualsiasi recessione, persino quella, molto dura, innescata negli Usa dalle prime riforme neoliberiste di Ronald Reagan nei primi anni `80. Un esempio. Consideriamo uno studente di informatica dei primi anni `80, in una media università italiana (non certo ricca quanto il Mit, già allora dotato di accessibili minicomputer Unix). Un ragazzo dalla forte cultura tecnica che segue corsi su concetti difficili, e che ha un estremo bisogno di sperimentarli, di esercitarli. Può accedere però solo a un burocratico sportello, in un sala del centro di calcolo universitario, in cui si presenta con il suo bel pacchettino di schede perforate in cui ha pazientemente "scritto" il suo programma, ben attento a non scompaginare le centinaia di schede in precisa e univoca sequenza. Consegna il pacchetto e dopo un certo tempo (anche giorni) viene a ritirare il risultati: pochi minuti di tempo macchina di un mainframe e la stampa di un tabulato con qualche segnaccio in rosso del professore. Pochi tentativi, malagevoli, penosi. Poi l'acquisto faticato del personal: un altro mondo. Esercitazioni in tempo reale, nuovi linguaggi disponibili. E poi videoscrittura, persino lo strano Visicalc per eseguire simulazioni numeriche (il primo foglio di calcolo) e ancora...giochi. Dagli scacchi, al Pacman via via fino ai simulatori di volo. E la grafica a colori sui primi Apple 2, Macitosh, il publishing personale, il mouse, le finestre, la programmazione a oggetti incarnata in una macchina straordinaria.... La frontiera, il futuro sotto le dita, la passione che rapidamente diventa opportunità di lavoro, valore personale che cresce nel contributo al valore stesso di un ecosistema di attività che si sviluppa rapidamente intorno al personal computer. Ibm, nel 1981, seppe capire il successo e il gioco innescatosi intorno alla macchina "aperta" Apple 2. E vi ricalcò il suo Pc prendendo da terzi il meglio sul mercato di componenti disponibili. Da Intel i processori, da Digital Research e da Microsoft il software di base. Lei, la regina del "not invented here" si sottomise al nuovo linguaggio ecosistemico. E fu il più grande successo delle sua storia: espanse esponenzialmente la nuova industria, certificando il Pc anche nelle imprese e nelle professioni, fino a 100 milioni di utenti stimati al 1984. Ma era l'individuo, il singolo, al centro della nuova industria informatica. E l'esplorazione diretta o mediata di un nuovo dominio di possibilità il suo fulcro. Con un evidente e massiccio effetto di feedback positivo: quanti più giovani venivano attratti dalle potenzialità del Pc tante più idee nuove si incarnavano in software aggiuntivi (e anche soluzioni hardware). Tanti più "sviluppatori" arricchivano la "piattaforma" Pc e ne aumentavano l'attrattività, consolidando la forza di aziende come Microsoft e Intel, detentrici degli standard chiave del Pc. E a loro volta queste ultime (ma anche Ibm, Apple, Sun....) facevano di tutto per nutrire, aiutare, persino vezzeggiare e divertire queste strategiche comunità di "utenti attivi", questi ecosistemi di giochi a guadagno condiviso. Lo sviluppo "sociale" di una industria non è mai stata tanto evidente come nel caso del Pc. E la sua confluenza con Internet tanto naturale. Nate dalla stessa "noosfera" condividevano lo stesso Dna. Che il primo fiume fluisse sotto il segno di Unix-Tcp/Ip e il secondo sotto quello di Dos o di Mac era irrilevante. Bastò che Internet fosse liberalizzata, a fine anni `80, dal solo status di rete tra Università e centri di ricerca perché la confluenza avesse luogo, e in modo massiccio, persino esplosivo.

3 - Le comunità virtuali di "conversazione"
Subito prima, peraltro, i movimenti tellurici premonitori su ambedue i versanti erano già cominciati. Dalla fine degli anni `70, il networking via Pc aveva già dato luogo alla fioritura spontanea di decine di migliaia di Bbs (Bulletin Board Systems), semplici nodi telematici di comunità (quasi sempre costituiti da un Pc, un software, spesso gratuito, di comunicazione per conferenze e per e- mail, qualche linea telefonica con relativo modem, il tutto gestito spesso a casa dall'appassionato). A poco a poco queste Bbs cominciarono a "federarsi" tra di loro, in circuiti come Fidonet o Onenet, autentiche "catene di S. Antonio" che replicavano di continuo i contenuti e i messaggi che via via si accumulavano sulle singole Bbs. The Well, il "pozzo" di Sausalito fu la prima di queste comunità elettroniche. Fu il primo caso, evidente, del gioco a guadagno condiviso possibile con il nuovo strumento telematico autogestito. Nella sua esperienza (che tuttora continua) si notano i caratteri ancora più generalizzanti rispetto alla precedente fase, ancora focalizzata sul versante culturale scientifico-tecnologico (sia nel fiume Internet universitario che Pc). A The Well non partecipano in primo luogo tecnologi o ricercatori, ma intellettuali, artisti, creativi, scrittori. The Well è il primo luogo in cui si sviluppa la "grande conversazione" (teorizzata poi da opere come il Cluetrain Manifesto). The Well è lo spazio del "free speech", della tesi paradossale, dell'interpretazione fuori dagli schemi, del contradditorio serrato, emotivo, della "flame". Ma anche della ricerca di nuove forme di espressione, di idee, di storie, di progetti. The Well entra nella vita delle persone, avvia comunità anche fisiche (grazie al suo status locale, di comunità prevalentemente residente a S. Francisco e che tiene periodici meeting), mostra la "profondità" possibile nella comunicazione multipla via comunità virtuale ma anche la sua forte carica di "addiction", di gioco interpersonale anche negativo. Su The Well si statuiscono le prime "best practices" delle comunità di conversazione: pregi e difetti dell'anonimato, ruolo e modi di moderazione, protezione delle individualità dialoganti ("le Vostre storie appartengono solo a Voi" è il motto della comunità), modi di attivazione di progetti creativi e cooperativi spontanei, spazi di volontariato (per esempio: assistenza telematica ai malati terminali) e anche esplorazione di temi "maledetti", dalla pirateria informatica alla sessualità. Un patrimonio che può apparire stupefacente per una sola comunità. Ma che presto fa scuola e si diffonde. La Bbs, come comunità cooperativa, pubblica e aperta prende forza lungo gli anni `80. Dalle grandi Bbs "strumentali" di Apple e Microsoft dedicate a centinaia di migliaia di sviluppatori di software applicativo fino ai più reconditi club telematici iper-focalizzati. E la Bbs viene interpretata, per la prima volta a Cleveland nel 1986, come servizio pubblico per l'intera cittadinanza. Come luogo di aiuto medico, di messaggistica dedicata alla salute. Il server si chiama (non senza ironia) St. Silicon Hospital, e viene inventato da Tom Grundner. Ma poi, rapidamente, si tradurrà nella rete civica, o "freenet", della Città. Via via arricchitasi, ancora in un classico gioco a guadagno condiviso, di nuovi spazi e servizi che nascono dal basso, da utenti che divengono attivi, avviano aree e conferenze, sperimentano se stessi e la comunità sul nuovo strumento-paradigma. Nel 1992 oltre un milione e mezzo di cittadini americani partecipa alla diffusione di freenet nelle città degli Stati Uniti e del Canada. Quasi tutte volontarie (salvo rari casi di reti avviate da amministrazioni pubbliche), quasi tutte sul modello comunitario mutuato da The Well e dalle Bbs tecniche e amatoriali. In parallelo la cultura Pc-Bbs comincia ad affermare i suoi protagonisti commerciali. La migliore descrizione di questa esperienza stata sviluppata da uno dei suoi protagonisti: H. Reighold Comunità virtuali: parlare, incon-trarsi, vivere nel cyberspazio Sperling & Kupfer, 1994. E qui si osserva, netto, il discrimine tra chi innesca giochi a guadagno condiviso e chi invece vuole imporre dall'alto "servizi telematici " prefissati e chiusi. I primi riescono a prosperare, e poi a confluire con successo nel grande fiume della Internet di massa. I secondi si inaridiscono per poi chiudere. Esempio emblematico di questi ultimi è Prodigy, servizio telematico avviato dal gruppo editoriale Knight-Ridder insieme ad Ibm in Florida a fine anni `80. Dopo una prima fase di entusiasmo e di espansione, Prodigy, con la sua iper-moderazione e l'imposizione di contenuti dall'alto (peraltro di una sola fonte) diviene l'epitome, per l'utente telematico americano, della rete "boring" (noiosa), centralizzata, priva di opportunità creative, di free speech, di dialogo e contatto diretto. Troppo "mediata" e troppo poco spontanea muore per abbandono. Al suo posto cresce Aol, l'America On Line fondata da Steve Case su una notevole serie di intuizioni-strategie. Innanzitutto un software "gradevole", a finestre e multimediale in grado di riprodurre e accentuare, nella telematica, l'esperienza visiva del Macintosh a colori e di Windows 3.1. Poi lo spazio alla comunicazione libera, nelle stanze di chat, nelle conferenze "benevolmente" moderate, e soprattutto nell'azione propulsiva di "animatori telematici" selezionati fra gli stessi utenti (i più attivi e con tempo disponibile, a fronte però di paghe basse e di elevati ritmi di lavoro). In "Netslaves" (traduzione italiana: Netslaves, Fazi Editore, Roma 2000)è ben descritta la testimonianza di uno di loro. E che mostra anche, con efficacia, l'ambiente sovraeccitato e sopra le righe, di questa prima comunità di massa, dove il (finto) dialogo telematico con una star del rock promuove migliaia di utenti connessi. Ma Aol va avanti sulla sua strada. Case si rivela uno straordinario imprenditore nell'alimentare la sua comunità di contenuti informativi di fonti diverse, selezionate tra i migliori media Usa, nel promuovere aree di rete "calde" a getto continuo, nell'estendere internazionalmente le sue attività (Gran Bretagna, Francia, Germania....), nel fornire ai suoi utenti connettività su una rete di punti di accesso allora senza rivali. Nel 1993-`94 Aol conta oltre due milioni di utenti nei soli Usa, e cresce al 60% all'anno. Al punto che il suo modello comincia a interessare direttamente altri protagonisti, come Microsoft (che incorporerà in Windows 95 Msn, Microsoft Network, un clone quasi perfetto di Aol), Apple e altri (tra cui anche Italia On-line, Iol, oggi primo portale Internet italiano di massa, ma nata all'inizio come una Bbs "multimediale" a modello Aol). Qui il gioco a guadagno condiviso è facilmente comprensibile: alla comunità, agli stimoli e ai contenuti mediatici per gli utenti fa riscontro la classica remunera-zione economica per il gestore, via abbonamento, che si aggiunge ai suoi introiti "indiretti" (in primo luogo pubblicitari). Un modello di business, che nel caso Aol, tuttora regge pur nell'attuale periodo più difficile della cosiddetta New Economy. E che in precedenza, negli anni d'oro del grande entusiasmo finanziario su Internet, le aveva consentito di acquisire, lei piccola azienda nata dal nulla delle Bbs nei primi anni `80, il maggior gigante dell'editoria multimediale degli Usa: il gruppo Time-Warner. Ma nel 1994 è la volta, anche per lei, di affrontare la "grande confluenza" tra il mainstream dei Pc e il fiume carsico della Internet universitaria e amatoriale. Che già aveva inglobato, nel suo reticolo di server di discussione libera (le News di Internet) la sostanza delle culture amatoriali di Fidonet e degli altri circuiti Bbs tecnico-amatoriali. Che ora hanno a disposizione, sul terreno della Internet liberalizzata dei primi anni `90, uno strumento di comunicazione e di comunità ben più efficiente. Per Aol il passaggio dalla tecnologia Bbs "non Internet" al Web si rivela relativamente semplice e senza scossoni. Riesce infatti a far migrare velocemente la tecnologia, grazie anche alla loro estrema vicinanza (in pratica una questione di protocolli di comunicazione) e mantiene inalterata la sua formula ad abbonamenti, con "valori aggiunti" riservati ai membri della comunità. Allo stesso tempo Aol crea il suo portale Web, da cui trae ulteriori introiti e visibilità sui potenziali abbonati. Ben diversa la vicenda per Microsoft, che nel `95-`96 deve, di fatto, cancellare la sua prima "incarnazione" di Microsoft network come Bbs alla Aol. E saltare immediatamente sulla traiettoria del Web, investendo a fondo perduto rilevanti risorse (oltre mezzo miliardo di dollari, secondo alcune stime nel periodo 1996-2000) per costruire una sua efficace presenza nei servizi sul Web, con l'acquisizione di Hotmail (caselle di posta elettronica), lo sviluppo di siti di servizio quali Expedia (viaggi), Carpoint (shopping automobilistico) e soprattutto con gli investimenti su Msn (Microsoft Network), ribattezzato come portale Web di Microsoft, che nel 2000 riesce finalmente a posizionarsi nel gruppo dei primi cinque siti leader della Internet di massa. La lezione però, desumibile anche da queste succinte descrizioni, è chiara: la "comunità" di Aol, ereditata dalla precedente fase Bbs e ben gestita nel cruciale passaggio a Internet, consente a Steve Case di appoggiare su una solida base economica la sua strategia di crescita, fino all'entrata nell'empireo dell'editoria multimediale. Ben diversa la traiettoria per chi una comunità non ha fatto in tempo a costruirsela (come Microsoft, spiazzata dalla improvvisa esplosione del web nel `94-`95) o ancora peggio su chi ha puntato tutto sui servizi di accesso a Internet a basso costo, o persino a costo zero (formula Free Internet all'americana, senza contributi da parte dei gestori, ma unicamente finanziata dai redditi pubblicitari sui portali). Queste iniziative (Juno, Netzero, Worldspy, Spinway... 10 ), dall'autunno del 2000 sono progressivamente sparite dalla scena. Aol, quindi può essere interpretato come uno dei maggiori giochi win-win scaturiti dalla fase delle Bbs. In cui gli utenti si avvantaggiano delle classiche esternalità positive di rete (dimensione della comunità, disponibilità di contenuti e di spunti....) mentre il gestore ne ricava, secondo la formula "classica" dell'abbonamento, le risorse per alimentare e far crescere il gioco. Un modello che tuttora mantiene la sua stabilità intrinseca.