CONOSCERLI PER AIUTARLI: DA UN’ESPERIENZA: Un Metodo | I quattro stadi del disorientamento |
"Il contenuto senza metodo porta al farneticare, il metodo senza contenuto ai vuoti cavilli; la materia senza forma al sapere pesante, la forma senza materia a un delirio vaneggiante." Goethe

ANZIANITA’ E DISORIENTAMENTO

Vi sono luoghi, nel percorso evolutivo dell’uomo, che esulano dal concetto convenzionale di spazio e di tempo. Sembra che l’essere umano, nel momento in cui si appresta a chiudere l’esperienza del proprio ciclo vitale, sia indotto a ridestare sensazioni lontane, antichi vissuti, collocando il corpo in un non-luogo carico di rinnovate sensazioni ricercate in un vissuto esperito. Sembra che, quasi per una sorta di riequilibrio funzionale, l’ego razionale ceda spazio all’immaginazione.

Il mio intendimento si ripropone il compito di trattare di cose che investono la sfera affettivo-comunicativa di anziani che, colti da demenza senile, si incamminano verso il disorientamento nello spazio e nel tempo.

Se un tempo infatti l’anziano, in una società che soleva dirsi patriarcale, era considerato depositario di immense conoscenze dovute al proprio bagaglio esperienziale, se veniva attentamente ascoltato dalla famiglia, ma pure dall’intera community che gli conferiva lo status di saggio, oggi l’anziano viene invece visto come intralcio in quanto giudicato inefficiente sotto il profilo produttivo da una Società che basa le sue considerazioni in termini di profitto.

Si deve aggiungere che, la Società post-moderna, è inserita in un sistema iper-complesso che evolve con accelerazioni tali da richiedere un riadattamento soggettivo, tanto repentino quanto drastico. Appena cinquant’anni fa, il figlio parlava col proprio padre in base ad un sistema di valori condivisi, questo consentiva una comunicazione efficace che evolveva verso una reciproca comprensione. Oggi tutti si accorgono che, se da un lato le aspettative di vita si sono fortemente allungate in termini di mortalità, dall’altro lato viviamo il paradosso per cui scarti generazionali di meno di dieci anni pongono in evidenza modus-vivendi estremamente differenziati e spesso incomunicanti gli uni con gli altri.

Se pensiamo che comunicare significa "mettere in comune", comprendiamo bene perché la comunicazione sotto questo profilo è cosa ardua e costellata di interrogativi. La società odierna infatti, ha ben poco da mettere in comune con l’anziano che, incompreso, vive il senso frustrante della inadattabilità sistemica, convogliando questo senso di inadeguatezza verso pratiche depressive che tendono ad un esasperato solipsismo.

L’anziano dunque investe una problematica che in primis è culturale. Parafrasando Kurt Lewin: "Si appartiene a qualche cosa cui si da…..", ci appare evidente pure il fatto che, non avendo nulla da dare in termini di profitto, l’anziano si sente un non-appartenente, da cui deriva quel costante senso di emarginazione, solitudine esasperata, quel senso di frustrazione dovuto alla netta e costante sensazione di essere piuttosto un peso, non più una risorsa conoscitiva.

Se dunque si appartiene a qualche cosa cui si da, è ancor più doveroso rimarcare che, non tanto l’anziano deve ricercare questo senso di appartenenza, quanto invece siamo noi, persone capaci e produttive, a dover compiere uno sforzo sotto l’ottica della com-prensione per poter appartenere al loro mondo. Solo in questo modo è possibile una efficace comunicazione.

IL DISORIENTAMENTO

Bisogna ricordare che, gli anziani ultraottantenni, per una percentuale che supera il 50%, si incamminano lungo la strada del disorientamento. Alzheimer, malattie vascolari, parkinsonismi, etc, causano spesso un deterioramento cognitivo che lentamente rende la persona completamente dipendente. Se la memoria e la parola sono i primi tesori che il bambino scopre di dover affinare per apprendere e per comunicare, per uno strano caso sono pure le funzioni cognitive che di sovente, per prime si deteriorano. In queste condizioni, l’anziano disorientato, si trova in uno stato di angoscia dovuto principalmente alla paura di "smarrirsi" e non trovare più ciò che ha di più caro, la famiglia, gli amici, la considerazione, la propria storia, il suo sé. Da questo senso di angoscia frustrante, nasce l’aggressività, il pianto, le crisi di panico, il vagabondeggio, i movimenti ripetitivi, il biasimo verso tutto ciò che li circonda ed un senso di cruda solitudine pervade il loro animo. In queste condizioni di smarrimento, l’anziano chiede di essere ascoltato, chiede aiuto, chiede che i suoi sentimenti vengano "riconosciuti" e "legittimati". Egli, seppur disorientato, riesce a distinguere benissimo un rapporto con un’altra persona realmente presente, da un rapporto superficiale e fuggevole. E’ consapevole della realtà che lo circonda allo stesso modo in cui un dormiente è consapevole della mosca che gli solletica il naso. Sa cogliere una presenza reale, e solo instaurando un rapporto basato su presupposti fiduciari è possibile la comunicazione. Se lasciato solo quindi, egli regredisce in cerca di luoghi ambigui nelle pagine del libro della propria storia, ne esamina di continuo le incrinature, sfuggendo ad un presente doloroso che lo avvolge di solitudine ed inutilità. In, Introduzione alla psicanalisi, scrive Freud a proposito della patogenesi: " Se gettiamo per terra un cristallo, questo si frantuma, ma non in modo arbitrario; si spacca secondo le sue linee di sfaldatura." Ed anche nell’anziano disorientato, quei punti fermi del proprio vissuto, quei luoghi che, con un moto costante e perpetuo l’anziano rivisita, non sono dati arbitrariamente ma sono linee di sfaldatura caratterizzate dall’incontro della propria storia individuale con l’ego emozionale. Egli tenta di esprimere, di spremere fuori i propri sentimenti, solo se ha vicino qualcuno che riesca ad ascoltarlo sinceramente, senza emettere giudizi. Cerca qualcuno che riesca a condividere i suoi sentimenti. Spesso vediamo l’anziano comunicare i propri sentimenti riferendosi ad oggetti e persone lontane, appartenenti al suo passato, diviene egocentrico perché la realtà spesso non ha nulla da offrirgli, nulla di cui ha realmente bisogno. Quando non possiede più un linguaggio, il suo dire si fa poetico, le parole si mescolano in un gioco surreale simile al sovrapporsi dei colori in una tela di un pittore astratto, ed attraverso questa mescolanza casuale, attraverso suoni e movimenti corporei, l’anziano esprime se stesso alla ricerca di una identità.

Gli anziani sono depositari di un grande tesoro maturato sul filo dell’esperienza, la saggezza, e chi sta accanto a loro sa che in nome di questa saggezza essi perdonano sempre gli errori che si possono commettere rivolgendosi a loro in modo inadeguato. E’ attraverso l’esperienza di chi oramai sa’ che guardano il mondo. La poesia vale più di mille parole e ci parla di umiltà.

Al proposito c’è una poesia di Yeats, "Fergus e il Druido" con cui mi piace chiudere. Fergus è un re, un potente, ma stanco cerca il Druido, depositario di saggezza. Fergus chiede la saggezza al posto del potere. Il Druido dona a Fergus un sacchetto pieno di sogni. Fergus apre il sacchetto ed i sogni lo avvolgono. Ora gli è dato il sapere, ma avverte la sua condizione nella pienezza, ed il potere si fa umile:

"Fergus. Vedo la mia vita andare alla deriva come un fiume

Di mutamento in mutamento. Sono stato molte cose –

Una verde goccia nei flutti, un raggio di luce

Su una spada, un abete su una collina,

Un vecchio schiavo che muoveva una pesante macina,

Un re seduto sopra un trono d’oro –

E tutto questo era terribilmente bello;

Ma ora non sono niente, tutto avendo conosciuto.

Ahimè, Druido, che grandi trame di dolore

Stanno nascoste nel tuo sacchetto color d’ardesia."